Alfano, l'unico fra gli statisti italiani in possesso di tutte le caratteristiche richieste dall'identikit del prossimo Presidente della repubblica - statura di statista, uomo delle istituzioni, conoscitore della macchina dello Stato, caratura e prestigio internazionale - ha fatto un passo indietro in favore di un antoagonista che all'indomani della sua autocandidatura, si è rivelato avere una qualità che lui, candidato perfetto, non ha, e cioè la bellezza che a Casini esce da tutti i buchi. E lo ha candidato assieme all'altro grande elettore che il mondo invidia all'Italia e cioè Cesa.
Ma Alfano non è l'unico a fare un passo indietro a favore di un candidato che reputa più degno. Nella lista compare anche il prof. Settis, studioso, candidato dal Movimento di Grillo, il quale, ha detto che il candidato ideale è per lui Giuliano Amato, ed in suo favore è disposto a ritirare la sua candidatura, laddove venisse nuovamente proposta. Amato perché lui lo conosce bene, essendo stato suo dipendente - si fa per dire - alla Treccani e perché conosce la sua generosità: ha rinunciato alle sue tre o quattro pensioni, da quando è giudice della Consulta, naturalmente le riprenderà quando quel suo mandato terminerà, la qual cosa farà anche da Presidente. E, del resto, prosegue Settis, anche alla Treccani ha rinunciato al suo compenso, e, infine, Amato sarebbe il presidente della repubblica che, a suo parere, presterebbe attenzione maggiore di ogni altro ai problemi della cultura.
ora a proposito della attenzione della Presidenza della repubblica ai problemi della cultura, finora non v'è stato presidente più attento di Napolitano. ma cosa si è ottenuto? Forse di non peggiorare la situazione, certamente senza non migliorarla.
Comunque sulle candidature pende il giudizio divino dell' evasore fiscale Berlusconi, condannato in via definitiva, affidato ai servizi sociali, privato del passaporto e del diritto di voto, estromesso dal Senato, ed impegnato in un via vai fra palazzo Grazioli e palazzo Chigi.
Povera l'Italia, se deve sottostare al giudizio, per la massima carica dello Stato, di un condannato definitivo.
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