martedì 18 marzo 2025

Trump-PUtin al telefono ( da La Repubblica). Speriamo che la comunicazione non venga nè interrotta nè disturbata. e Speriamo anche che Trump e Putin se la cavino, ma non ai danni di Zelensky

 


Il Cremlino parla di «passo importante», la Casa Bianca dice «siamo a pochi metri dalla pace, mai così vicini» e già prospetta «un annuncio». Di sicuro la telefonata al vertice prevista oggi fra Donald Trump e Vladimir Putin può segnare la svolta della guerra in Ucraina. O almeno l’avvio di trattative capaci di fare «progressi reali» giacché «le distanze si sono ridotte», come ha detto a Cnn l’inviato americano per il Medio Oriente Steve Witkoff, che di fatto segue pure il dossier ucraino e ha incontrato Putin la settimana scorsa. È il secondo colloquio fra i due leader da quando il tycoon è presidente: ma soprattutto è il primo dai colloqui di Gedda dove Kiev ha accettato di sostenere il cessate il fuoco di un mese proposto dagli Stati Uniti (se la Russia farà lo stesso). Ipotesi definita da Putin « giusta, da sostenere». Salvo aver poi posto numerose condizioni che possono ritardare o far fallire i negoziati.

Mosca non anticipa nulla sul colloquio, mentre Trump qualche elemento lo ha dato: parlando di un ordine del giorno incentrato su «questioni territoriali, centrali energetiche e divisione di alcuni asset». Allusione forse alla questione aperta della centrale nucleare di Zaporizhzhia, oggi sotto controllo russo ma rivendicata dall’Ucraina come priorità. La questione territori è infatti la più delicata dei negoziati. L’aspettativa, anche americana, è che Kiev faccia concessioni in cambio di pace, giacché Putin ha posto il riconoscimento della Crimea e di altre quattro regioni annesse fra le condizioni per il cessate il fuoco. Il presidente ucraino Zelensky finora ha ribadito che «l’integrità territoriale è una linea rossa non negoziabile». Ma secondo fonti del solitamente ben informato Semafor l’amministrazione sta invece ipotizzando di riconoscere appunto la Crimea come russa pur di porre fine alla guerra. Washington, d’altronde, ce la sta mettendo tutta coi segnali di buona volontà (che assomigliano a un cedimento): ad esempio ritirandosi dal gruppo multinazionale che investiga sui crimini di guerra russi.

Kiev è pronta a rinunciare a qualcosa: l’ingresso nella Nato (mentre continua ad aspirare alla Ue). Sperando semmai di rientrare sotto l’ombrello protettivo di una sorta di articolo 5 bis: assistenza in caso di aggressione pur senza formale adesione. Resta aperta la questione peacekeeper, cui lavora la “coalizione dei volonterosi” per impulso di Londra e Parigi. Ipotesi inaccettabile per Mosca, che ha già detto no alla presenza militare di Paesi Nato. Ma pure mette qualcosina sul tavolo: disposta a discutere la presenza di osservatori disarmati, magari sotto l’egida Onu e di Paesi non ostili come Brasile, Turchia o Cina.

The Donald ostenta ottimismo, dicendo di aspettarsi l’ok russo sulla tregua: «Altrimenti sarebbe una pessima notizia per il mondo». Ma fa oure sapere che se il suo omologo rifiutasse scatterebbero nuove sanzioni e dazi. Al contrario un accordo, scrive il Financial Times, potrebbe sbloccare parte delle sanzioni occidentali (Kiev ha già dato l’ok) facendo confluire investimenti in Russia.

Certo, gli ultra-nazionalisti già esortano a non accettare il cessate il fuoco, definendolo «trappola» per dare il tempo all’Ucraina di riorganizzarsi. Sebbene sia evidente che lo slancio russo nella regione di Kursk non aiuta Kiev: la priva di un’importante merce di scambio nella trattativa. Infatti Zelensky già accusa: «Quell’ammasso di forze russe indica che Putin ignora la diplomazia». Sostenendo pure che «prende tempo» a tal scopo.

«L’Ucraina ha avuto il coraggio di accettare la proposta Usa di cessate il fuoco. Ora i russi dimostrino di voler veramente la pace» ribadisce via X pure il presidente francese Emmanuel Macron. Esortando «ad andare avanti con tutti i nostri partner per presentare un piano di pace concreto, che fornisca garanzie di sicurezza all’Ucraina e all’Europa». Ma intanto il piano dell’Alto rappresentante Ue per la Politica estera Kaja Kallas - sottoscrivere un impegno da 40 miliardi per Kiev - incassa il no di Slovacchia e Ungheria e solleva dubbi in Francia ed Italia: «Dobbiamo approfondire molto», dice il ministro degli Esteri Antonio Tajani.

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