L’imperatrice. Più di Angela Merkel, o di Margaret Thatcher o persino di Golda Meir. Gli alleati di governo ormai guardano a Giorgia Meloni e pensano a una Cleopatra bianca che riesce a piegare il volere di Giulio Cesare-Donald Trump e Marco Antonio-Elon Musk. Oppure, a seconda del grado di critica che le muovono, a una incarnazione nostrana di una grande sovrana come Elisabetta I di Inghilterra o di una imperatrice dispotica come Caterina II di Russia. Nella storia del centrodestra neanche Silvio Berlusconi è mai arrivato a un simile protagonismo. Complice la celebre capacità di farsi “concavo e convesso”, il Cavaliere ha ‘schiacciato’ delfini e alleati sgraditi ma ha anche saputo mantenere rapporti solidi che gli hanno garantito stabilità e sopravvivenza politica nel tempo (uno per tutti il legame con Umberto Bossi).
Il successo della liberazione di Sala supera le tensioni dovute alle dimissioni di Belloni
A poco più di due anni dall’insediamento del suo governo, la leader di Fratelli d’Italia festeggia l’inizio del 2025 con la scarcerazione della giornalista italiana Cecilia Sala, che era detenuta nelle carceri di Evin, a Teheran, dal 19 dicembre. Un successo importante per l’esecutivo e per il Paese, raggiunto, dopo alcune fasi di incertezza iniziale, grazie al viaggio di Meloni a Mar-a-Lago, da Donald Trump, che avrebbe rassicurato la premier – ha rivelato il Wall Street Journal – sulle reazioni in caso di mancata estradizione negli Usa dello svizzero-iraniano Mohammed Abedini, detenuto nel carcere di Opera a Milano. Un risultato ottenuto malgrado le tensioni provocate dalle dimissioni della direttrice generale del Dis (l’organo che coordina i servizi segreti) Elisabetta Belloni, subito prima di Natale.
Un «lavoro di squadra» per un evento «solitario»
Meloni ha accolto la giornalista al suo arrivo in Italia, scortata dal capo dell’Aise, Giovanni Caravelli, lodando Sala per la «forza» dimostrata e ha esultato per l’ottimo «lavoro di squadra». A Ciampino era presente anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani (oltre alla famiglia della reporter e al sindaco di Roma Roberto Gualtieri). Ma nella maggioranza – ed è assai raro – tutti pensano quello che Romano Prodi ha esplicitato in un commento in tv. «Esprimo la mia felicità vera per il ritorno di Sala, la stessa che ho provato quando liberammo il giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo in condizioni analoghe», ha detto il fondatore dell’Ulivo, ospite di Otto e mezzo. «Queste contrattazioni sono sempre molto complesse», ha continuato, «certamente c’è stato da Trump una specie di permesso o di tacito consenso. A differenza della mia esperienza, noi gioimmo tutti insieme, col ministro degli Esteri, il governo e anche i servizi. C’era anche la dottoressa Belloni, che aveva organizzato la liberazione. Oggi è sembrato un evento molto solitario, solo della Meloni».
La premier con il suo blitz da Trump ha tagliato le gambe a Tajani e Salvini
È un fatto che Giorgia Meloni tenda ad accentrare su di sé tutti i dossier più caldi e le decisioni più importanti, fidandosi solo degli stretti collaboratori di una vita e di Alfredo Mantovano, una specie di ‘reggente’ a Palazzo Chigi. Ed è un fatto che abbia dimostrato nel tempo di non fidarsi pienamente dei suoi due principali alleati, Il forzista Tajani e il leghista Matteo Salvini. Ma il blitz da Trump ha letteralmente ‘segato’ le gambe a entrambi. In primis a Tajani che, malgrado sia ministro degli Esteri, quindi competente per la vicenda Sala, è stato informato solo ex post. Ma anche a Salvini, che da mesi cerca di accreditarsi come primo e vero sostenitore di The Donald in Italia, e si è già prenotato un posto per la cerimonia di insediamento del 20 gennaio a Washington.
I problemi dei leader di Forza Italia e Lega hanno alimentato l’assolutismo meloniano
Insomma, Forza Italia e Lega hanno un grosso problema politico. Meloni è riuscita a trasporre nella comunicazione del governo il modello politico e comunicativo che l’ha portata al successo nel suo partito. Da «FdI vince perché Giorgia è brava, è capace, è la migliore», la narrazione dei Fratelli è diventata: «Il governo ha ottenuto questo successo perché Giorgia è brava, è capace, è la migliore». Il messaggio riesce a passare, la narrazione la incorona come ‘imperatrice’. Oltre a un briciolo di fortuna (la congiuntura della vittoria di Trump e della debolezza politica dei principali leader Ue aiuta), questo è avvenuto per i meriti della premier, certamente (nell’anno passato si segnalano il vertice del G7 con Papa Francesco, e la nomina di Raffaele Fitto a vice presidente della commissione Ue, oltre ai successi elettorali in molte Amministrative). Ma non vanno tralasciati i ‘demeriti’ dei due vice. Da una parte, Tajani appare stabile ma poco frizzante nell’operazione di lifting con cui ha resuscitato un partito che poteva morire con Berlusconi ma i cui risultati si dovranno poi vedere a lungo termine. Come ministro degli Esteri poi non è che abbia eccelso e la gestione iniziale del caso Sala è lì a dimostrarlo (per non parlare di quello di Ilaria Salis). Dall’altra galleggia Salvini che, passata la paura del rischio di condanna per Open Arms, ha trasformato la Lega in un partito personale e lascia trasparire stanchezza politica, dietro la sua irrefrenabilità ansiogena. Al Mit, perché bloccato dal processo, è finito nel mirino più volte per la qualità del servizio di Trenitalia e per l’episodio del chiodo piantato male alle porte di Termini che ha mandato in tilt tutto il traffico ferroviario d’Italia.
La delicata partita per il terzo mandato dei governatori
Ma conviene a Meloni affossare due leader già così fragili, alla guida di partiti così deboli? In un sistema in cui la fiducia dei gruppi parlamentari è fondamentale per la sopravvivenza del governo, il nervosismo degli alleati forse non fa bene ad alcuno, a lungo andare. In queste ore la premier ha deciso di far impugnare al Consiglio dei ministri la legge regionale campana che abolisce il terzo mandato per il governatore Vincenzo De Luca. È un tema che riguarda anche la sua coalizione e il leghista Luca Zaia. Sarà interessante vedere nei prossimi mesi come ‘l’imperatrice’ risolverà il nodo Veneto, gestirà le ambizioni del partito di Salvini per il dopo Zaia e quelle del suo partito e di Fi. Anche da questo potrebbe dipendere la sopravvivenza del movimento di Salvini, del centrodestra e dell’esecutivo.
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