Il ruolo del Qatar, il canale di dialogo tra intelligence e Pasdaran, la missione di Giorgia Meloni a Mar-a-Lago, sono alcuni degli elementi chiave che hanno portato alla liberazione della giornalista Cecilia Sala dal carcere di Evin, a Teheran. E che riflettono, come davanti a uno specchio, la complessità del caso di Mohammad Abedini, l’imprenditore militare iraniano legato alle Guardie della rivoluzione, arrestato e tutt’ora detenuto in Italia su mandato degli Stati Uniti. Una vicenda che il governo italiano vorrebbe chiudere arrivando alla sua scarcerazione, ma lungo il percorso per centrare questo obiettivo devono essere sbrogliati, uno a uno, i tanti fili che si sono intrecciati in queste settimane.
Secondo la ricostruzione fatta a La Stampa da diverse fonti, gli sforzi di Meloni si sono articolati su diversi piani. Il primo, utilizzare il canale di dialogo col presidente iraniano Masoud Pezeshkian, attivato già in estate nell’ambito dei confronti sul Medio Oriente. Il secondo, individuare una sponda efficace nella regione che potesse “facilitare” ulteriormente le comunicazioni con Teheran.
L’emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani mostra subito sensibilità al caso. Del resto il valore diplomatico di Doha è innegabile, come dimostra la sua presenza in diversi tavoli di trattative, a partire da quello tra Hamas e Israele. Il coinvolgimento di al-Thani risulta incisivo - sembra - anche nella svolta che arriva i primi di gennaio, quando l’Aise, il servizio di intelligence esterno, riesce ad aprire un canale di dialogo con gli omologhi delle Guardie rivoluzionarie, diretta emanazione dell’Ayatollah, coloro a cui spetta sempre l’ultima parola in Iran.
Viene così confermata la disponibilità a un confronto a tutti i livelli, nell’ambito del quale emerge l’interesse di Teheran per Donald Trump e per il ruolo di interlocutrice che Meloni può svolgere con il presidente eletto. D’altronde, l’arrivo alla Casa Bianca di Trump fa paura alla Repubblica islamica, che teme una pesante stretta anti-Iran. E anche di questo si sarebbe parlato nella missione lampo a Mar-a-Lago della premier, voluta per accelerare la liberazione di Sala e discutere di Abedini (di cui gli Usa hanno chiesto l’estradizione).
Dopo la consultazione formale con Joe Biden, il quale - di fatto - si sarebbe fatto da parte vista l’imminente scadenza del suo mandato, il 20 gennaio, Meloni porta all’attenzione di Trump temi che potrebbero essere legati al sistema di sanzioni nei confronti di Teheran e al programma nucleare iraniano (lunedì prossimo l’Iran terrà a Ginevra colloqui in materia col terzetto Francia, Germania e Regno Unito). Un corollario al ragionamento sulla «via di uscita» per la vicenda Sala, che scatta attraverso una sorta di apertura di credito degli Usa all’Italia.
In questa apertura, però, c’è un tema che viaggia sotterraneo e che lega gli interessi dei servizi segreti italiani e americani. Riguarda alcuni degli effetti personali che aveva con sé Abedini quando è stato arrestato all’aeroporto di Malpensa, tra cui due smartphone, un pc, documenti commerciali e bancari. Il loro contenuto viene ovviamente ritenuto d’interesse dall’Fbi, sulle cui indagini poggia l’accusa ad Abedini di aver esportato illegalmente dagli Usa tecnologie utili a scopi militari e di aver supportato le Guardie della rivoluzione (che Washington considera un’associazione terroristica). Ma sono elementi preziosi anche per la nostra intelligence. Perché Abedini - come ha rivelato questo giornale - aveva inizialmente preso da Istanbul un volo diretto a Roma, dove sarebbe dovuto scattare l’arresto. Invece, poco prima della partenza, l’industriale decide improvvisamente di cambiare i suoi piani e di dirigersi a Milano, dove avrebbe poi preso un treno per la Svizzera se non avesse comunque trovato le forze dell’ordine ad attenderlo.
Sorgono, dunque, interrogativi su quali impegni avesse a Roma e sul motivo per cui stesse portando con sé dei documenti bancari. È nota ai servizi, ad esempio, la necessità di Abedini di pagare i dipendenti iraniani della sua azienda “Sdra” con dollari americani. Questo perché li aveva messi al lavoro su progetti legati all’azienda statunitense Analog Device, con cui aveva firmato un contratto mascherando la matrice “iraniana” della “Sdra” con la sua altra società “fantoccio” aperta in Svizzera, la Illumove. La possibilità che volesse rivolgersi a dei negozi di money-transfer in zona piazza Vittorio, a Roma, non viene esclusa dalle nostre fonti. Quel che è stato sequestrato a Abedini potrebbe contenere la risposta, a questa come ad altre domande che si pongono invece negli Usa.
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