C’è un fantasma che si aggira nell’aula dei gruppi parlamentari, a Montecitorio. E’ quello di Elon Musk, virtualmente seduto accanto a Giorgia Meloni mentre la premier si sottopone – a sei mesi dall’ultima volta – alla conferenza stampa che sarebbe dovuta essere di fine anno. Meloni difende il rapporto con le unghie e i denti, rintuzzando almeno una decina di domande, fino ad ammettere di non essere a conoscenza dell’ipotetica necessità di ricorrere al sistema di comunicazione Starlink per completare alcuni obiettivi del Pnrr evocata dal sottosegretario Alessio Butti.
La difesa di Musk e Trump
La premier “cede” solo quando, il Times, le chiede se condivide l’attacco di Musk alla ministra Phillips. Il resto è tutto legato alla negazione delle ingerenze nella politica nostrana da parte del patron del social X o dell’intesa raggiunta per l’uso dei satelliti di SpaceX da parte dell’Italia. «Musk esprime opinioni, le ingerenze le fa Soros» dice Meloni negando la pericolosità del magnate e puntando il dito contro le opposizioni, ree di non aver avuto nulla da dire quando il banchiere ungherese finanziava «partiti ed esponenti politici per condizionare le scelte politiche». O, ancora: «No, alla lettera scarlatta per Musk». Un atteggiamento, quello difensivista, che la premier sfodera anche quando sotto la lente finisce il suo rapporto con Donald Trump. Meloni infatti minimizza le possibilità che gli Usa abbandonino l’Ucraina al proprio destino e pure che la Groenlandia diventi terra di conquista a stelle e strisce. «Solo un messaggio energico alla Cina» spiega, confermando quanto anticipato dalla Stampa sulla sua presenza a Washington per il giuramento di Trump il prossimo 20 gennaio: «Mi piacerebbe esserci ma sto valutando l’agenda».
"Non guardo serie Tv da due anni”
Lo sforzo di autocontrollo compiuto da Meloni è evidente. I toni restano quasi sempre bassi e il palco di Atreju pare ben più distante della manciata di chilometri che separa il Circo Massimo e Montecitorio. Eppure qualche impuntatura c’è quando i giornalisti le fanno notare che sarebbe gradito che ci fosse qualche conferenza stampa in più o quando è costretta a prendere le distanze da una parlamentare di FdI che aveva definito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella “il capo dell’opposizione”. Assodato che non guarderà la serie tv “M” su Benito Mussolini, che per ora non esclude di ricandidarsi nel 2027 e che ritiene di non aver mai parlato di “complotto”, con qualche fastidio la premier arriva ad esempio ammettere anche di essere d’accordo con l’acquisto – finanziato in parte da Fratelli d’Italia – dell’edificio di Acca Larentia da parte di Casa Pound.
Il resto della conferenza stampa scivola via tra le recriminazioni per il lavoro svolto dall’esecutivo sul fronte delle imprese, l’annuncio della nomina di Rizzi a successore di Elisabetta Belloni, l’idea che il governo non si sottoporrà ad un rimpasto, la difesa del maresciallo Masini coinvolto nei fatti di Rimini e le giuste celebrazioni per il ritorno a casa di Cecilia Sala. «La telefonata alla mamma è stata l’emozione più grande da premier» confessa Meloni che però, dopo aver chiesto più volte alla stampa di ripartire da zero con un rapporto più rispettoso, glissa quando gli si chiedono i dettagli dell’operazione che ha consentito alla giornalista di atterrare ieri a Ciampino.
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