Barricate di tutte le emittenti radio televisive italiane, dalla Rai a Fox, contro Franceschini che starebbe per far varare dal governo un Decreto legge che imporrebbe, per quote, addirittura doppie rispetto a quelle vigenti, e obbligatorie, gli investimenti in opere italiane ed europee, delle emittenti televisive. Alle quali, di conseguenza, devono riservare adeguato spazio nella loro programmazione, dove ora primeggiano i prodotti americani.
In una lettera di protesta, le emittenti redio televisive, capeggiate dalla Rai, fanno notare che esiste già una quota di prodotti italiani ed europei e che tale quota non si può aumentare, per due ragioni. La prima è che il pubblico preferirebbe ( loro dicono: preferisce) film e serie americani, e assai meno gli uni e le altre italiani; e la seconda sarebbe( loro scrivono: è) che i prodotti italiani sono più costosi.
Franceschini si difende portando a modello il caso della Francia, dove le percentuali dei prodotti francesi sono della stessa misura, se non maggiore, che il ministro vorrebbe introdurre (imporre per legge) in Italia.
Le emittenti rispondono che il modello francese non può essere né importato né imitato in Italia, per la semplice ragione che i nostri cugini hanno un pubblico doppio del nostro e gli investimenti pubblici nel settore sono il quadruplo di quelli italiani. Avrà capito Franceschini il senso della lettera? Dacci più soldi e noi ti daremo più quote, ma se le risorse stanno al palo, scordati di pretendere quote maggiori delle presenti che sono già abbastanza alte, nella loro visione.
Nei fatti oggi al cinema ed alle serie italiani ed europei viene solitamente riservata, dalle emittenti italiane la 'seconda' serata. Franceschini vorrebbe imporre per decreto che a quegli stessi prodotti sia riservata la 'prima' serata.
Attualmente le emittenti televisive sono obbligate ad investire nei prodotti 'made in Italy' il 10% del loro fatturato annuale, Franceschini vorrebbe portare tale percentuale al 20% . E per la Rai, in particolare, la percentuale che oggi è già al 15, dovrebbe arrivare nel giro di due anni, al 30%.
Franceschini, detto in cifre, vorrebbe che gli investimenti che oggi si aggirano sui 700 milioni di Euro circa, passassero a 1,2 miliardi circa a regime nel 2019 con un incremento di 500 milioni circa che le emittenti ritengono assolutamente insostenibile. Chi non si attiene, sarà raggiunto da sanzioni abbastanza gravose, e superiori anche a quelle comminate a chi viola, nelle trasmissioni, la tutela dei minori.
Ah, le quote! Franceschini vorrebbe imporre alle emittenti radiotelevisive italiane quote che ci sembrano assai simili a quelle 'rosa'. In ogni istituzione pubblica ci deve essere uno spazio riservato alle donne che per troppo tempo, pur essendo maggioranza nel paese, sono state sempre trattate come fossero 'minoranza', specie negli incarichi di vertice. Le quote, purtroppo, fanno sempre una brutta impressione, anche quando sembrano essere l'unico modo per riformare un sistema che fatica a modernizzarsi. Anche perchè non è che le donne - che secondo Riccardo Muti, in base alla sua esperienza, ritiene siano 'più attrezzate' degli uomini che salgono sul podio: ma che avrà voluto dire? - rappresentano di per sé, a seconda delle quote, la modernità o meno di un paese ecc...
Comunque noi che da molti anni ci battiamo per una presenza maggiore di artisti italiani nelle istituzioni musicali del nostro paese, dovremmo applaudire Franceschini ed invitarlo a fare altrettanto in campo musicale; se non ad applicare le stesse percentuali, quantomeno la medesima logica; perché anche il settore musicale, è bene ricordarlo, senza il finanziamento pubblico, per quanto al di sotto di molte altre nazioni europee, non potrebbe sopravvivere, neppure esistere.
Nel caso delle istituzioni musicali, abbiamo tante volte dimostrato che non esistono quote riservate agli italiani e che in molte stagioni, anche di istituzioni importanti, gli artisti italiani quasi sono esclusi del tutto. Come è possibile?
Negli anni passati, ma in quelli più recenti, ricordiamo di aver fatto e proposto un esame dettagliato di alcune stagioni musicali; come ad esempio, quelle di Santa Cecilia e dell'Orchestra Nazionale della Rai, rilevando in tutta evidenza che in quei cartelloni la presenza di artisti italiani era quasi pari allo zero; dove perciò una quota intorno al 20% sarebbe quantomeno auspicabile e sacrosanta.
Le istituzioni, interpellate sulla questione, hanno sempre risposto che gli artisti stranieri sono sempre più bravi e quindi da preferire, ed oltretutto costano meno degli italiani. Ambedue le affermazioni sono state puntualmente smentite da gente del mestiere, che ha assicurato che gli artisti italiani sono bravi quanto, se non più degli artisti stranieri e costano meno o al pari dei loro colleghi. Dunque sbugiardati!
Ma allora perché si continua a tenerli alla larga dai cartelloni italiani finanziati con soldi pubblici?
Le ragioni possono essere, e sono, tante. Innanzitutto - è bene dirlo senza timore - potrebbero esserci strani traffici fra direzioni artistiche ed agenzie di rappresentanza e case discografiche. E' calunnioso pensare che girino mazzette o ci siano interessi di genere diverso da quello artistico e musicale?
C'è poi la pochezza di molti direttori artistici, incapaci di valutare le qualità di un musicista che si presentasse ad un'audizione, e per questo si fidano ciecamente - non potendo fare altrimenti - delle agenzie, le quali non essendo istituzioni di beneficienza badano ai c... propri. C'è un mercanteggiamento fra agenzie e istituzioni: ti dò la star ma ti devi prendere anche il comprimario, ed alle mie condizioni. E, già che ci siamo, ti prendi l'artista che ti dò io e prendi anche il suo programma (il massimo nelle tournée).
Ma c'è anche la storia che il cognome straniero fa sempre più effetto di uno italiano, e se giovane ancor di più; se poi si tratta di una musicista femmina, anche carina oltre che brava, non c'è storia.
Per queste ed altre ragioni si verifica anche che un giovane artista appena laureato in un concorso internazionale, se straniero arriva come un razzo nelle nostre sale, se invece è un italiano: gli si fa fare una trafila deprimente e sfiancante.
Se non credete a quello che vi stiamo dicendo, domandatelo a Mario Brunello, vincitore di concorso a Mosca, snobbato in Italia. Oggi è onnipresente, se l'è meritato e sudato, ovvio; ma all'epoca della vittoria, noi allora direttore di Piano Time, fummo forse l'unico a difenderlo a spada tratta, invitando le istituzioni musicali italiana a dargli lo spazio che tale vittoria prestigiosissima gli meritava. Anche Brunello dovette attendere.
Ci sono anche casi strani, dove le capacità di un artista, sembrano avallate e moltiplicate da episodi ed elementi che riguardano la sua vita privata, come nel caso di un pianista iraniano che va raccontando ogni volta la sua storia di esule, ed anche per questo è presente nei cartelloni delle istituzioni italiane, con una operazione di marketing ben architettata ed anche riuscita.
Noi non vogliamo spingerci a dire che in Italia si deve fare come in Francia, dove gli artisti francesi, hanno nelle istituzioni musicali una specie di monopolio; ma senza arrivare al monopolio, sarà possibile domandare , forse anche pretendere, che i nostri artisti non siano praticamente esclusi in patria? Che ne dice Franceschini?
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