Ha fatto meglio Mediaset a trasmettere il concerto del '90, a Caracalla, dei 'Tre tenori', per ricordare il decennale della morte di Pavarotti. meglio di Rai 1 con quella serata noiosissima dall'Arena di Verona. Quel concerto, che vanta molti padri - e noi ne abbiamo conosciuto almeno due o tre - fu un evento mondiale amplificato dalla tv ed anche dai Mondiali di calcio ( diciamola tutta), doveva restare unico, invece è stato ripetuto infinite volte, procurando fama e soldi ai tre tenori, ed ancora oggi viene imitato da pallidi cloni, che incontrano - come mai ? - il favore del pubblico.
La Rai, dietro sollecitazione di Nicoletta Mantovani, vedova del maestro, la quale aveva dichiarato che per seguire le commemorazioni nel mondo aveva deciso di dimettersi da assessora del Comune di Firenze (ma forse s'è dimessa per scarso rendimento, ed anche per nomina inutile!), ha preparato una di quelle noiose serate dall'Arena di Verona, una specie di raduno di reduci che hanno combattuto con il maestro le battaglie incruente della diffusione della musica cosiddetta classica, e si sono spesi per la causa che 'tutte le musiche sono uguali', e che 'non c'è differenza fra classica a rock, se è buona musica'. Cause, oggi di moda, ma che non servono a nulla o quasi.
E la dimostrazione che non tutte le musiche sono uguali e che per ognuna occorre avere un particolare stile l'ha data, anzi ridata ancora una volta, un inserto di Pavarotti che canta ' Mattinata' di Leoncavallo. Se c'era uno al quale si sarebbe dovuto dire, quand'era in vita: maestro lasci stare quel repertorio, non è fatto per Lei, quello era proprio Lucianone, consigliato al contrario evidentemente anche da Nicoletta, con la quale ha organizzato quelle riunioni oceaniche senza capo nè coda all'aperto. Quando canta Mattinata, romanza solare notissima, egli lo fa, accigliatissimo, corrucciato, anzi proprio incazzato, e con lo stesso piglio con il quale avrebbe potuto e dovuto cantare 'Di quella pira'.
Una intervista alla moglie n.1 di Pavarotti, Adua, apparsa su Repubblica, a firma Bentivoglio, faceva pensare anche questo. Adua , sollecitata dalla intervistatrice , ha anche smentito uno scoop di Valerio Cappelli, di molti anni fa, il quale aveva spiato il leggio del maestro, nel corso di un concerto , scoprendo, a suo dire, che il maestro non leggeva la musica bensì il testo del canto accompagnato da una sorta di alfabeto morse che gli suggeriva la parte musicale. Adua ha detto che suo marito sapeva leggere uno spartito. Cappelli smentito!
Tornando all'Arena di Verona ed alla noiosissima serata trasmessa da Rai 1, cerimoniere il solito abbronzatissimo Carlo Conti, il 'concertone' si snodava secondo una matrice unica, ripetuta ogni volta ad ogni numero: arriva un amico od un conoscente del maestro, racconta qualcosa dei suoi rapporti con il tenore, canta e se ne va. Nel raccontare qualche storiella dei suoi rapporti con Pavarotti - solitamente banali, tutte conosciute, niente di nuovo - quasi sempre, l'amico o conoscente tentava di accreditarsi, con le credenziali del tenore defunto, come il 'massimo che c'è'. Mentre, invece, si capisce da tutto che troppe suole di scarpe dovrà ancora consumare prima di salire sul podio che Pavarotti nel mondo s'era conquistato. Per la sua bella voce e per la sua innata simpatia, meno per la sua statura di musicista. Che non fosse un musicista pari alla sua fama - come ad esempio si riconosce a Placido Domingo - non siamo noi per primi ad affermarlo, è risaputo e s'è detto da sempre.
Chi organizza simili 'seratone' - dal pericolo non sfugge anche quella che stasera è in programma al Colosseo, organizzata da Bocelli - non si rende conto che il rito è stantio e noioso. Non si può pensare che basta una sfilata di divi/e e divetti/e a rendere omaggio ad un personaggio come Pavarotti la cui fama non ha eguali negli ultimi decenni, neanche la Callas, per renderla accattivante e sostenibile. Occorre un'idea, la semplice passerella condita da aneddoti risaputi è vecchia e non regge più.
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