Leggiamo oggi, su Il fatto quotidiano, a firma Elisabetta Ambrosi, un interessante articolo che rivela una storia vecchia che anchenoi, avendo insegnato in Conservatorio - che come si sa è frequentato da molti studenti stranieri, specie orientali - conosciamo bene. La storia, in particolare, riguarda l'ammontare delle tasse di iscrizione e frequenza della Accademie di Belle Arti, in Italia: Roma e Milano
Sappiamo bene che gli studenti stranieri tengono molto al diploma conseguito in Italia, al di là del suo diverso valore nei singoli paesi di provenieneza - sappiamo per certo che il diploma di musica è molto apprezzato e pensiamo che la stessa cosa valga anche per quello di 'Belle Arti' - perchè dà loro accesso ad insegnare nelle loro università, che non sono come le nostre, ma che comunque rappresentano (lo diciamo con cognizione di causa, per la musica) uno sbocco lavorativo quasi sicuro, seppure di ripiego, se non si riesce a sfondare nella carriera di cantante o strumentista ( ma in questo secondo caso l'Oriente comincia a dare numeri al vecchio Occidente).
Ora nelle Accademia di Belle Arti si chiede loro, in mancanza del cosiddetto ISEE - la certifcazione del reddito familiare - una tassa molto superiore a quella richiesta agli allievi italiani, non considerando che gli studenti stranieri non hanno tale sistema di certificazione e sono oggetto, da sempre, di un sospetto, che cioè alle loro rappresentanze diplomatiche o consolari in Italia fanno dichiarare quello che vogliono. Tale sospetto era venuto anche a noi, quando spesso venimmo chiamati a valutare i titoli musicali e di istruzione superiore con i quali si iscrivevano nei nostri Conservatori, per essere esentati dalla frequenza di certi corsi, gli allievi del Sud Corea, che in Italia arrivavano, e forse arrivano ancora oggi, a frotte.
Le tendenza quasi generale di allora era di respingerli quanto più possibile. Delle tasse loro richieste non sappiamo dirvi. Ma, invece, vi diciamo che abbiamo sempre considerato tale decisione assurda. Seppure essa ponesse qualche problema, specie per le difficoltà della lingua di quasi tutti gli allievi dell'estremo Oriente che erano la gran parte, a noi parve sempre incomprensibile.
La Ambrosi anche sul problema della lingua fornisce una notizia sorprendente e cioè che agli allievi stranieri è prescritto un corso di lingua italiana a pagamento al costo della modica cifra di 3.000 Euro, che andrebbero ad aggiungersi alle migliaia- fino a 4.000 di Euro- richiesti a Roma o a Milano per iscrizione e frequenza. Si potrebbe obiettare che in molti paesi europei alle accademie non si può accedere senza un previo esame della lingua del paese nel quale si va a studiare. Ma anche aggiungere che questo non vale dappertutto. Se tu hai stoffa , le Accademie ci pensano due volte prima di respingerti. La lingua la imparerai, frequentando.
Lo stesso problema ci ponemmo molte volte anche noi, perchè ancora più difficile da superare per aspiranti cantanti d'opera, per la maggior parte. La nostra proposta era stata di istituire un corso obbligatorio di lingua italiana, fondamentale quanto tutti gli altri corsi specialistici, al quale avrebbe dovuto provvedere il Conservatorio, senza aggravio di spesa per gli studenti.
Perchè la logica alla quale noi ci siamo sempre attenuti nei lunghissimi anni di insegnamento è stata la seguente: dare agli allievi tutto quello di cui hanno bisogno per formarsi bene anzi meglio.
Mentre invece sappiamo che non è stata seguita tale logica, perchè troppo ovvia, e perché avrebbe tolto qualsiasi alibi a tanti insegnanti affaristi, di guadagnare sulla loro pelle. Perché non pochi di quegli studenti non erano poveri; e questo i professori disonesti lo sapevano e in ogni modo tentavano di approfittarne.
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