giovedì 28 settembre 2017

Mario Bortolotto. Critico, intellettuale e uomo double face

Bortolotto se ne è andato ieri; aveva novant'anni. Proprio ieri, abbiamo ripescato una foto che lo ritraeva con il 'Mario' veneziano, Messinis, suo amico,  in occasione dei festeggiamenti in Laguna per gli ottant'anni dell'altro. En passant, ci siamo anche detti: chissà che fine avrà fatto. Da molto non lo vedevamo. E oggi apprendiamo la notizia della sua morte, avvenuta, guarda caso, ieri. Strane coincidenze.

Qualche settimana fa abbiamo letto la lunga intervista che  Gnoli gli aveva fatto per Repubblica, senza che ne ricevessimo una bella impressione. Bortolotto sembrava stanco, financo scocciato e  anche cinico - non era una novità il suo cinismo; del resto, non era da lui nascondere  sentimenti, stati d'animo o giudizi  anche severi su chicchessia. Altre volte lo sguardo, la sua proverbiale distrazione o disinteresse da esibire quando qualcosa non gli garbava, sposata al silenzio, raccontava più di qualunque parola.

 E oggi, di proposito, abbiamo voluto leggere quello che hanno scritto o dichiarato alcuni esponenti od amici che l'hanno nel tempo conosciuto semplicemente o frequentato. Fra i primi Alessio Vlad, che Il Foglio ha mandato ad intervistare, con il quale dubitiamo altamente che Bortolotto si sia lasciato andare a confidenze e a discussioni sulle sue scelte musicali, senza per questo mancare di cortesia verso un esponente del mondo musicale, a maggior ragione perchè della città in cui viveva e il cui teatro, l'Opera, egli frequentava, se interessato alla programmazione.

Sicuramente  altri avrebbero potuto dire o scrivere di lui, specie  quel gruppetto di ex giovanotti che per anni sono stati suoi amici anche 'di merende' e  che gli facevano, affettuosamente e disinteressatamente, da chauffeur.
 Pensiamo a Guido Zaccagnini e Pietro Gallina, i fedelissimi, il più recente Jacopo Pellegrini, e qualche altro. Ha avuto Bortolotto un strettissima amica, Giovanna Lomazzi,  gran signora,  con la quale faceva anche viaggi in ogni parte,  ma che viene sempre interpellata  solo quando si parla della Callas, anch' ella sua amica, che  da molti anni vive e lavora al nord e quindi ha diradato la sua frequentazione con Bortolotto,  ma sul quale però molto potrebbe raccontare del privato.

 Leggendo i giornali di oggi  abbiamo anche appreso che  l' Adelphi  dell'amico Calasso, sta preparando, per i primi mesi del 2018, una raccolta di scritti 'sparsi' o dispersi ( e ritrovati), perchè la produzione di Bortolotto, stante la sua pigrizia, è stata negli anni assai vasta.

Anche per Piano Time, che inventammo e dirigemmo negli anni Ottanta ( 1983-1989, ne uscimmo agli inizi del 1990), Bortolotto scrisse saggi straordinariamente acuti (su tutti, uno riguardante l'opera di Richard Strauss, ed un secondo sulla discografia di Boulez)  e pagine fulminanti, come quella suggerita da una dichiarazione su Maderna dello stesso Boulez, breve ma che metteva la parola fine alle tante discussioni sul Maderna 'compositore'  ( intitolata: Quell'elefante leggerissimo ) -  che, secondo Boulez, era inesistente,  o quasi, per la lacunosità e la impossibile decifrazione. Era, insomma, il suo, il caso di una mente che andava più veloce della penna, come Boulez pensava anche di Cage, con la differenza che la mente di Cage era velocissima, e la mano in qualche modo le stava dietro, quella di Maderrna non altrettanto.

Quella acutissima pagina, motivata dalla dichiarazione che proprio noi avevamo raccolto (Bortolotto non voleva crederci,  specie quando seppe e gli confermammo che Boulez aveva parlato così lucidamente, a Villa Medici, da noi interpellato sull'argomento, durante una pausa da più importanti lavori) Bortolotto l'ha almeno un'altra volta pubblicata, sul Foglio, riprendendola dalla rivista stampata, perchè l'originale  di quello, come di altri articoli che non sappiamo se ripubblicati, battuto a macchina con le correzioni ed aggiunte a mano, lo conserviamo noi  gelosamente. Ancora. E saremmo anche felici ed onorati di fornirli alla Casa editrice Adelphi per la prossima collezione di articoli. Sull'assenza di errori nelle pagine stampate su Piano Time, possiamo mettere la mano sul fuoco,  perchè gli articoli di Bortolotto, dopo la normale correzione di redazione, venivano supervisionati da noi stessi, per evitare telefonate sgradite con le quali ci bacchettava per qualche refuso - la lettura, decifrazione e ribattitura dei suoi articoli non erano lavoro facile. ( Piano Time di refusi ne aveva, ma oggi alcuni quotidiani nazionali ne hanno in quantità superiore. E' il progresso, signori!)

Come arrivò a Piano Time Bortolotto? Un solo particolare non ricordiamo bene e cioè se prima  ne parlammo, per averlo fra i nostri collaboratori, con Guido Zaccagnini che lo frequentava abitualmente, come abbiamo detto, perchè facesse da nostro ambasciatore, o se il suo approdo a Piano Time fu anteriore alla venuta di Zaccagnini, per nostra chiamata, a lavorare in redazione( Una specie di serpentello in seno, benchè innocuo, che noi  facemmo crescere!  Mentre, ricordiamo bene, Lui ci parlò  e fece conoscere un compositorino di belle speranze, Michele Dall'Ongaro, al quale facemmo scrivere qualcosa, e che poi è diventato, dopo il suo approdo a Radio Tre,il datore di lavoro dell'amico Guido)

Una cosa però la ricordiamo con precisione. Dopo che ci aveva promesso che avrebbe cominciato a collaborare, GRATUITAMENTE sia chiaro,  ma il quando e  il come non era stato ancora concordato, ci invitò nella sua casa di Trastevere,  perché faccia a faccia il direttore della rivista, gli spiegasse cosa si attendeva da lui. Quell'incontro, lungo, fu il più affabile e rilassato - Bortolotto metteva ansia a tutti anche con i suoi silenzi - dei tanti che  negli anni successivi  avemmo con lui fuori casa, a concerto o all'opera, o anche semplicemente a telefono.

 Ci accordammo che lui poteva scrivere di qualunque argomento, e che i suoi articoli mensili, regolari, finivano in una rubrica intitolata: La pagina di Bortolotto. Ricordiamo anche che ci prese gusto, tanto che più di una volta, oltre la consueta rubrica, ci mandò qualche saggio; uno, in particolare, di una ventina di cartelle su Richard Strauss, del quale scrisse anche in occasione dell'uscita della bella monografia di Quirino Principe; tra noi e Principe ci fu qualche screzio, per colpa di Bortolotto, perchè quella sua recensione non era proprio ciò che  fra collaboratori di una medesima rivista ci si aspetterebbe. Una recensione attenta e minuziosa, nella quale faceva le pulci, egli nella parte del 'pedante', a qualche inesattezza del precisissimo Principe. Perfino antipatico fu quella volta.

Ci chiese, una volta, di avere dall'editore che lo  distribuiva in Italia la partitura del Saint Francois di Messiaen, andato in scena in quegli anni,  senza spiegarci la ragione. Noi, naturalmente gliela procurammo e facemmo recapitare quella partitura, monumentale ed ingombrante, speranzosi che ne sarebbe venuto fuori un saggio per la nostra rivista. L'opera  era andata in scena a Salisburgo. Ma sinceramente non ricordiamo che cosa ne venne fuori. Forse nulla. Ma con lui, lo sapevamo,  inutile insistere, occorreva attendere che lui decidesse di scrivere, anche se non era in quegli anni occupatissimo e impegnato con altri giornali. Piano Time fu l'unica rivista per la quale scriveva.

In anni recenti lo abbiamo rivisto ancora appoggiato al suo bastone, qualche convenevole e nulla più, con lui  noi non avevamo più la familiarità di una volta, come invece l'hanno mantenuta  Zaccagnini  o, di lontano, Gallina, che negli anni recenti, nei mesi freddi, l'ospitava in Brasile, dove Pietro s'era trasferito stabilmente. E dove lui ci andava molto volentieri, oltre che per la mitezza del clima e la familiarità con Pietro, anche per la sua passione per la musica sudamericana, per i suoi ritmi.

Perchè il teorico dell'avanguardia musicale italiana aveva il suo doppio nell'estimatore della musica caraibica, come dell'operetta, che amava immensamente  e più della musica che aveva spiegato nel suo Fase seconda, a metà anni Sessanta, facendosi innumerevoli nemici.  Nella  cerchia dei 'bortolottiani' della prima ora, fedeli nei  secoli - anche perchè la sua frequentazione, più della sua amicizia , arricchiva chi ne era capace di coglierne i frutti, sono entrati col tempo anche altri. E non sempre disinteressatamente da ambo le parti.

 Stiamo pensando a quel 'compositorino di belle speranze 'di un tempo, oggi assiso  sulla poltrona più importante dell'Accademia di S. Cecilia, per anni  gran manovratore della musica in radio (Rai),  e in ragione  di tale incarico, in grado di contribuire alla fortuna o sfortuna di compositori, magari anche con l'ausilio teorico di Bortolotto. Di lui leggemmo proprio sul Foglio, anni fa, un panegirico spropositato, in occasione di alcune esecuzioni di sue musiche, accanto a quelle dei grandi americani del nostro secolo, alla Biennale veneziana, dove Bortolotto era regolarmente presente come ospite, per il suo passato di esegeta, più che per il presente. Ricordiamo che scrisse: ho scoperto uno dei più grandi compositori dei nostri tempi; il suo nome è Michele Dall'Ongaro.  Come se non lo conoscesse da prima, lui e la sua musica.  Anche perchè  a Radio Tre egli aveva fatto importanti cicli di trasmissioni,  commissionatigli dallo stesso grande compositore,  che, diversamente da noi per Piano Time, gli erano state sicuramente ben retribuite, come meritava del resto. Ma quel panegirico era talmente esagerato che solo chi non conosceva il cinismo di Bortolotto poteva prenderlo sul serio. Lo stesso Bortolotto, scrivendolo, si sarà divertito un mondo e riso a crepapaelle.


1 commento:

  1. grazie! solo Lei poteva tirarci fuori da questa recente melassa giornalistica ( Foglio escluso), stracolma di refusi su opere, dati e date ( persino il giorno della nascita è stato confuso dal principale quotidiano italian): del Professore restano le opere, su cui occorrerà tornare e ritornare. E una miriade di programmi di sala, dai tardi cinquanta al duemila, che prima o poi troveranno la strada dell'editoria. Quanto al culto della battuta mordace, alle idiosincrasie e alle spigolature, non ravvisando attorno a noi degni eredi di Dossi o Rovani, lasciamo che riposino nella memoria (e tesoro) di chi, arcifamoso o sconosciuto, di antica amicizia o di più recente conoscenza, abbia avuto la chance di conoscerLo e frequentarlo nelle residue fraschette di Trastevere; anche negli ultimissimi due anni in cui il genio continuava a fare strepitose apparizioni ma sempre più strenue e coraggiose su uno scenario fatto di naturale decadenza del corpo.

    RispondiElimina