Leggendo
il programma del prossimo Maggio Fiorentino, 78° della storia, si
resta un pò perplessi dalle opere in cartellone. Certo si tratta di
un festival, ma è un festival ospitato in una grande città ed in
uno dei grandi teatri, nuovissimo - sempre che venga completato - e
con una capienza di tutto rispetto, il che rende tale festival, alle
origini con funzioni diverse da oggi,un festival sui generis.
L'eventuale paragone con Ravenna o Spoleto non può essere fatto.
Sono festival che sperimentano ma in luoghi e spazi piccoli ecc...
Si
programma il Fidelio,
poi un'opera di Britten, Il
giro di vite,
(che, se ricordiamo, era in cartellone l'anno scorso e poi venne
cancellata), Candide
di Bernstein e il Pelléas
di Debussy. Insomma nessuna opera di repertorio. Un festival con tale
fisionomia può andar bene a Martina Franca( dove lavora Triola,
direttore generale del Maggio), può funzionare a Jesi (da dove
veniva il consulente artistico che ora non figura più
nell'organigramma del Maggio, ma che certo ha lavorato a questo
programma; mentre oggi ricopre la carica di coordinatore artistico,
Pierangelo Conte) ma meno a Firenze.
Allora
vien da chiedersi se un festival così particolare non debba tener
presente, nella programmazione, esigenze che riguardano l'interesse
del pubblico; senza fissarsi prevalentemente sugli specialisti e sui
riscontri che opere non molto frequentate esercitano sui critici che,
come è noto, non riempiono i teatri e non pagano neppure il
biglietto.
Bianchi
deve pensare anche e soprattutto a riempire il teatro, non
dimenticando il suo obbligo a presentare spettacoli sempre di
altissima qualità.
Con
queste tecniche negli anni passati, e forse ancora oggi, si
imbarcavano carovane di critici per Palermo e Cagliari, accolti
sempre in pompa magna e ben ospitati, i quali tutti, indistintamente,
scrivevano bene e 'facevano aria' ai nomi degli amministratori,
proprio mentre chiudevano orecchie e occhi su quel che ascoltavano e
che si vedeva in palcoscenico.
Bianchi,
che chiude il corpo di ballo, non può consentire che la
programmazione del suo teatro sia troppo anomala rispetto agli
standard di un grande teatro pubblico, finanziato con i nostri soldi
e che, salvo le specifiche tradizioni storiche, deve anche pensare a
conservare e tener viva la grande tradizione del melodramma,
soprattutto italiana.
Le
collaborazioni poi con Valencia, dove il sovrintendente è in galera
per spese pazze ed altro, per via della compresenza di Mehta, e
quella con Jesi ( ma non c'era di meglio?); e, per un'altra opera,
anche con Tutino, un tempo padrone di Triola, sono cose che gettano
sospetti di congreghe e scambi di favori per riconoscenza,
che al pubblico che paga non interessano, e che sono ancora duri a
morire.
Su
tutto questo sarebbe opportuno che il sovrintendente Bianchi e, con
lui, il sindaco violinista Nardella, facessero qualche riflessione.
Per il resto, buon Maggio!
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