lunedì 24 novembre 2025

Ucraina. L'affare della ricostruzione come spartirselo., e altre questioni di poco conto, come la sorte di Zelensky ( da Lettera43,di Stefano Grazioli)

 

Ucraina, se la priorità è come spartirsi il business della ricostruzione

L’accelerazione diplomatica degli ultimi giorni, voluta dagli Stati Uniti e legata da una parte al deterioramento della situazione sul campo per Kyiv e dall’altra alle turbolenze interne nell’ex repubblica sovietica, ha rilanciato la possibilità di un’intesa fra Ucraina e Russia per la risoluzione del conflitto. Al piano in 28 punti proposto da Donald Trump, coordinato dagli inviati speciali Steve Witkoff Kirill Dmitriev, è seguita la controproposta dell’Unione europea e dei volenterosi. Dalla sintesi, sulla quale dovranno mettere l’ultima parola la Casa Bianca e la Bankova, uscirà la proposta definitiva da sottoporre al Cremlino. Sarà poi Vladimir Putin a decidere se aprire veramente al dialogo e optare per la possibile fine della guerra oppure continuare il conflitto, approfittando della debolezza ucraina e dello smarcamento fattuale degli Usa e degli stessi europei, che nonostante la propaganda sembrano aver già tirato i remi in barca.

Kirill Dmitriev e Steve Witkoff (Ansa).

Chiusa la questione territoriale, la priorità è il business della ricostruzione

Questa fase delle trattative, cominciata prima fra Mosca e Washington e continuata con l’impegno di questi giorni fra Kyiv e gli alleati occidentali, ha messo in evidenza come un ruolo fondamentale per la ridefinizione degli equilibri negoziali lo stiano giocando gli aspetti economici: anche Volodymyr Zelensky e i volenterosi europei paiono essere ormai rassegnati al fatto che la questione militare e territoriale sia praticamente chiusa, con la Russia avviata a mantenere i territori occupati dalla Crimea al Donbass, e parti degli oblast di Zaporizhzhia e Kherson. Le priorità sono proiettate al business della ricostruzione, con una torta gigantesca da oltre 750 miliardi di euro – somma stimata in difetto per i costi necessari a rimettere in sesto il Paese – da spartirsi, e non certo in parti uguali.

Volodymyr Zelensky (Ansa).

L’utilizzo dei fondi congelati russi

Nel piano Witkoff-Dmitriev sono gli Usa a fare naturalmente la parte del leone e le concessioni russe sono relativamente limitate, considerando il fatto che è Mosca che sta vincendo la guerra, e non Kyiv, il cui potere contrattuale è molto limitato. Secondo le intenzioni statunitensi il progetto di ricostruzione e collaborazione futura si dovrebbe articolare su vari livelli, per una riqualificazione globale dell’Ucraina che passerà attraverso investimenti, modernizzazione e sviluppo delle infrastrutture, e sfruttamento delle risorse naturali; particolare attenzione dovrebbe essere riservata all’utilizzo dei fondi congelati russi, 100 miliardi di dollari che gli Stati Uniti potrebbero investire per ricostruire l’Ucraina, incassando il 50 per cento dei profitti. L’Europa dovrebbe intervenire con altri 100 miliardi e sbloccare i fondi. Il resto degli asset di Mosca attualmente congelati dovrebbe essere invece investito insieme da Usa e Russia per rafforzare le relazioni tra Casa Bianca e Cremlino, aumentare gli interessi comuni e non ritornare quindi a situazioni di conflitto. Nel piano dell’Unione europea e dei volenterosi è invece previsto che l’Ucraina sarà completamente ricostruita anche attraverso i beni sovrani russi che rimarranno congelati finché Mosca non risarcirà i danni subiti da Kyiv. La differenza non è di poco conto, ma rientra in quella serie di condizioni che difficilmente chi ha chiuso la guerra in perdita potrà imporre: in definitiva gli alleati occidentali, se vorranno proporre un piano realistico alla Russia, dovranno tener conto dei rapporti di forza attuali, abbandonando la narrazione sul concetto di aggressore-aggredito che al termine di un conflitto conta poco o nulla rispetto a quella vincitore-vinto. La questione è esistenziale soprattutto per la leadership a Kyiv, con in gioco la sopravvivenza politica di Zelensky e del suo cerchio magico, in primis del suo alter ego e capo negoziatore Andriy Yermak.

Il capo dell’Ufficio presidenziale ucraino Andriy Yermak (Getty Images).

L’incognita sul futuro di Zelensky

Non si tratta unicamente di resistere alla presidenza e in parlamento con l’arrivo di nuove elezioni, ma di iniziare a gestire il processo di distribuzione della torta da posizioni ancora favorevoli. Nonostante gli scandali che hanno investito la leadership ucraina – da quello del settore energetico svelato con l’operazione Mida ai prossimi che colpiranno il settore militare, uno su tutti quello legato a Fire Point, l’azienda che dovrebbe produrre il supermissile Flamingo – il presidente in carica è ancora in grado di amministrare la totalità delle risorse e degli aiuti in arrivo: resta però da vedere se da parte statunitense ed europea nella fase di transizione verso gli accordi finali di pace, ammesso e non concesso che il Cremlino opti per la chiusura del conflitto, Zelensky verrà considerato un partner affidabile oppure se il cambio della guardia alla Bankova sarà più rapido del previsto. A Kyiv la resa dei conti, che passa attraverso la giustizia selettiva e gli sconti fra gli organi istituzionali, amministrativi e giudiziari, legati ai vari poter forti dentro e fuori il Paese, è in pieno corso.

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