venerdì 21 novembre 2025

Chi c'è dietro l'attacco al Quirinale? Ombre russe sul 'caso Garofani' ( da L'Unità, di David Romoli)

 

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Non una sola volta, nella concione di fronte ai 17 amici romanisti convenuti all’esoso ristorante della Terrazza Borromini di piazza Navona, il consigliere di Mattarella Francesco Saverio Garofani avrebbe pronunciato la parola “Ucraina”. Tuttavia in questa storiaccia che non passerà senza lasciare segni e cicatrici l’ombra della guerra russo-ucraina spunta da tutte le parti. Che l’intera manovra mirasse a indebolire il capo dello Stato è certo. In quale veste lo si volesse colpire lo è di meno.

Di fatto il presidente è il capofila del fronte euroatlantista e filoucraino, la vera garanzia della tenuta italiana su quel fronte agli occhi dell’Europa. Il giorno prima che la “chiacchierata tra amici romanisti” di Garofani venisse resa nota dalla Verità, giornale non sospetto di trasporto per Kiev, Mattarella aveva imposto a una più cauta Giorgia Meloni di proseguire senza neppure un mezzo passetto indietro sulla linea dell’appoggio strenuo all’Ucraina. Lo stesso Garofani è proprio consigliere per gli affari inerenti al Consiglio supremo, il primo non militare a occupare quella postazione che gli eventi hanno reso la più centrale e strategica.

Come le poco prudenti parole del consigliere siano finite nelle redazioni di alcuni quotidiani, fatte pervenire con una mail di fatto anonima partita da un indirizzo che sembrerebbe collocato negli Usa non è affatto chiaro. Al Quirinale molti sono stati sin dal primo momento convinti che dietro l’indiscrezione pilotata ci fosse uno zampino filorusso. Forse è vero e forse no ma di certo l’intera operazione appare troppo strutturata per poter far risalire tutto al commensale curioso che origliava dal tavolo accanto. Del resto, a leggerlo bene, il comunicato furibondo con il quale lo staff di Mattarella aveva risposto in prima battuta all’attacco del capogruppo FdI Bignami rinfacciava proprio ai tricolori l’aver prestato orecchio ad accuse ridicole. Cioè prestandosi probabilmente per interessi convergenti alla manovra dei filoputiniani contro il presidente.

In ogni caso, quel convitato di pietra che si chiama Vladimir Putin ha condizionato in qualche misura l’intera vicenda. È probabilmente esagerata l’ipotesi avanzata da alcuni commentatori, autorevoli ed esperti, secondo cui il vero bersaglio di Garofani sarebbe stata Elly Schlein e non Giorgia Meloni. In compenso è certo che nelle fantasie del consigliere il percorso per colpire la premier passava per il ridimensionamento o l’abbattimento della segreteria Schlein nel Pd. Il consigliere, del resto, è esponente di spicco di quell’area ex Dc ed ex Ppi, molto vicina a Mattarella, che considera la sterzata a sinistra di Elly non solo perdente ma anche una jattura in sé. Non a caso la premier, pur avendo difeso senza margini di ambiguità il Colle, lo ha fatto senza la rovente e urlata indignazione dimostrata in innumerevoli occasioni precedenti, pur se decisamente meno gravi.

L’addebito politico principale che quell’area tutt’altro che impotente rinfaccia a Schlein è precisamente la tiepida convinzione con la quale sostiene Kiev, il no al riarmo europeo e l’incapacità di tenere a freno sul fronte del sostegno all’Ucraina l’alleato Conte, a differenza di quel che fa Meloni con la sua spina nel fianco Salvini. Mattarella condivide in pieno quelle critiche e proprio questi umori neri sono all’origine della distanza tra Quirinale e Nazareno. Proprio questa disposizione del quadro politico condiziona la reazione del presidente all’improvvido attacco di FdI. Mattarella è furioso. Non ha nessun dubbio su chi fosse il vero oggetto dell’offensiva: lui stesso. Persino la riappacificazione si è rivelata tempestosa, con il Colle furioso per la versione bellicosa dell’incontro diffusa dalle fonti di palazzo Chigi e i capigruppo di FdI costretti a rabbonirlo con un comunicato in cui garantivano la fine delle ostilità contro il consigliere romanista.

Dal punto di vista dei rapporti personali e della fiducia, elementi in politica più importanti di quanto si creda, la ferita resterà aperta e condizionerà le relazioni tra i due principali esponenti delle istituzioni, il presidente della Repubblica e la presidente del Consiglio. Su quello politico invece cambierà pochissimo: certamente perché il presidente rispetta i limiti del suo ruolo istituzionale senza l’elasticità traboccante propria di alcuni suoi predecessori ma anche perché sul fronte che oggi sovra determina tutti gli altri, quello della guerra in Ucraina e dello schieramento con l’Europa, la premier è ancora la leader che più garantisce la linea che il presidente è determinato a seguire.

Certo, Giorgia non è più affidabile come era prima che Trump sostituisse Biden, il presidente teme e sospetta oscillazioni pericolose dal lato americano della divisa bilancia occidentale. Però, per quanto effettivamente adirato sia, la considera ancora quanto di meglio offra il mercato, almeno per ora, sul fronte che considera di gran lunga più rilevante: quello del contrasto alla Russia.

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