martedì 8 dicembre 2020

Prima 'specialissima' della Scala in tv. Spettacolo di qualità eccellente, ma con molti punti deboli

Innanzitutto, erano 24 o 23 stelle della lirica sul palcoscenico del Piermarini per la inaugurazione specialissima, confezionata da Livermore per la tv? Abbiamo sempre letto 24 fino alla vigilia, mentre Bruno Vespa nella sua presentazione ha detto e ripetuto 23. Errore?  No, informazione dell'ultimo minuto: non c'era Kaufmann, per problemi di salute: 'indisposizione', mentre la sua compagna in 'Cavalleria', Garanca, da Napoli a Milano era volata sola  

 Nelle dichiarazioni della vigilia si è messo l'accento sul fatto che alla prima della Scala, la prima volta senza pubblico, si voleva celebrare l'arte, oltre che naturalmente la musica. Tutte le arti: teatro, poesia, cinema ecc...

Lo spettacolo si è aperto con un volo sopra Milano di sera, concluso con l'entrata in teatro, dove  entra, a sorpresa, la 'Musica' monteverdiana, il cui messaggio di speranza:' la musica allevia le pene degli uomini' si è appena percepito  mentre invece sarebbe stato salutare  scandirlo. 

 Poi l'Inno nazionale prima accennato da una addetta alle pulizie sul palcoscenico e poi intonato dal coro dei dipendenti della Scala disseminato nei palchi, ma in tono sommesso . Il coro, quello vero, lo riascolteremo alla fine nel puccininno 'Nessun dorma'. Non era il caso di impegnarlo anche altrove, vista la sua scenografica collocazione? 


 E poi una dopo l'altra le arie, con qualche intermezzo strumentale  ( Rigoletto per partire - troppo tetro - e più avanti il preludio di Carmen) ed una pausa per i balletti: Bolle psichedelico, e poi  i primi ballerini della Scala: musica di Giuseppe Verdi, ballabili dei Vespri siciliani.

L'appunto maggiore riguardante il programma è quello di aver scelto  brani quasi tutti del medesimo 'pathos', con l'unica eccezione forse del Don Pasquale ('So anch'io la virtù magica' cantato da 

Norina-Oropoesa); altro appunto quello di avere in taluni casi confezionato musicalmente delle scene d'opera come nel caso del Don Carlo: troppo lungo e inopportunamente situato all'inizio del lungo spettacolo, per il quale il regista Livermore, chiamato a confezionare uno spettacolo in poco tempo, ha potuto sfruttare per un pò quel treno che aveva usato in Tamerlano.

Ed è l'appunto maggiore  per un concerto, pur spettacolarizzato, ma concerto. La scelta dei brani, la loro durata, e la continua variazione  di sentimenti o di umore degli stessi è la prima regola per passerelle di tal genere, se si pretende di tenere inchiodati alla tv milioni di spettatori. Non è stato fatto e  le conseguenze si rifletteranno nell'auditel - almeno noi la pensiamo così per quel poco di esperienza in materia che ci siamo fatti.

 E veniamo allo spettacolo, di altissima qualità tecnica, messo a punto come le maestranze di un grande teatro sanno fare, guidate da Livermore.

Il quale ha voluto mettere troppa carne al fuoco, legando elementi vocali a immagini che c'entravano come i cavoli a merenda, per usare un gergo da strada. Il caso più emblematico in tal senso Don Pasquale di Donizetti a Fellini a Cinecittà: un set cinematografico, il camion di Zampanò, la protagonista femminile del celebre film  La strada, Gelspomina, e poi quel volo sulla città di Roma in cartolina, a bordo di un'auto d'epoca.

Altrettanto frutto della fantasia del regista l'omaggio a Hitchcock - e non a Chaplin come abbiamo letto - per le arie del Ballo in maschera cantate sul fondale di una celebre scena di Uccelli (regista americano per opera ambientata in America?). 

Per il resto Livermore si è servito dei potenti mezzi che la tv, il cinema, l'elettronica offrono per variare l'ambiente di ogni brano.

 Secondo noi assolutamente fuori posto, stonati, tutti gli interventi, o buona parte di essi a voler essere indulgenti, degli attori che hanno recitato cose incomprensibili - forse solo la Murgia, che attrice  non è, ancora - ha letto qualcosa di teatrale pur puntando alla fine sul ruolo delle donne nella vita e nell'opera. Ma troppo lungo!

 Come inopportuno ci è parso, in tal senso, la decisione di partire con la commemorazione di due defunti, seppure eccelsi nel campo della musica, l'Io son umile ancella, cantata da Mirella Freni, e quelle frasi celebri di Ezio Bosso di cui tutti si approfittano, secondo la regola che consiglia di 'battere il ferro finchè è caldo'. Anche perchè questi come molti degli interventi successivi, con attori di grido, sono scivolati via senza lasciar nessun segno. Perfino quella poesia di Montale letta dalla Marinoni, nella quale si accennava ad una scala,  e  che lei recita scendendo da una scala interminabile, poteva essere considerata una trovata geniale, o non era solo una banalissima associazione?


Ci siamo ancora una volta convinti che  sia un musicista che un regista, nonostante non siano gli ultimi arrivati come nel caso di Chailly e Livermore, non vanno mai lasciati andare a briglia sciolte, hanno anche loro bisogno di controllo e consiglio. E nel nostro caso, sia Chailly per la scelta dei brani, che Livermore  per i suoi 'spettacolini' meritavano qualche freno o, più semplicemente, qualche consiglio.

 Un piccolo, amichevole appunto a Bruno Vespa - non ce ne vorrà, semplicemente perchè conosce la nostra pignoleria, che non riusciamo a scollarci neppure con gli anni, ma sa altrettanto della nostra  amicizia sincera.  Nel corso della presentazione ha detto due cose  di cui non capiamo il senso. Dapprima a Chailly: come fa l'orchestra a suonare brani di periodi così diversi, riferendosi a Rossini e poi a Puccini? occorre una versatilità, che forse l'orchestra non ha e che perciò ha dovuto lavorare sodo. A Vespa ricordiamo soltanto che il repertorio solitamente praticato, anche alla Scala, nell'opera come nella sinfonica, va da metà Settecento a tutto il Novecento. Dunque per l'Orcehstra milanese è pane quotidiano.  E ancora quando si è meravigliato che nel recital di ieri si sono cantati brani di ben 15 opere in tre ore. 

Siccome siamo certi che Vespa ha ascoltato qualche volta anche il Concerto di Capodanno dalla Fenice - tanto per fare il solito esempio che ci  ha coinvolto direttamente per una decina d'anni - vogliamo fargli notare che in quel concerto, in una cinquantina di minuti, noi facevamo cantare brani tratti da  una decina circa, e forse anche più, di opere diverse. Non è perciò così sensazionale che in tre ore se ne cantino da una quindicina di titoli. Questo solo per una sua prossima presentazione alla Scala, non per muovergli rimprovero.

Al momento non sappiamo come sono andati gli ascolti, ma temiamo che non siano stati altissimi, per tutte le ragioni che abbiamo esposto, non senza aver prima ribadito l'altissima qualità dell'intera serata di Sant'Ambrogio, quest'anno tragicamente diversa da tutte le altre, e che ci auguriamo non abbia a ripetersi in futuro, perché starebbe a significare che siamo finalmente usciti dall'incubo del Coronavirus. 


Ora conosciamo i dati auditel:

A riveder le Stelle ha avuto 2.608.000 telespettatori (share14,65%).

Un risultato di cui accontentarsi, sebbene inferiore alle ultime inaugurazione operistiche  milanesi; ma lontanissimo dagli ascolti superlativi, ad esempio, del Concerto di  Capodanno della Fenice dei nostri tempi, quando, quasi regolarmente, si avevano 4.400.000 telespettatori (share del 27-28%),  certamente conseguenza della durata inferiore, ma soprattutto di una accurata scelta dei brani che alla Scala, salvo qualche caso, è sembrata mancare.  ( P.A.)

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