Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare - Andy Warhol
Dopo avere amaramente constatato il mancato silenzio, da molti auspicato nei mesi bui della pandemia, e per contro il proliferare della chiacchiera, della comunicazione distorta, sensazionalistica, terroristica, l’inutile clangore e frastuono, la consueta frenesia, l’approssimazione, la mancanza di direttive unitarie; dopo aver constatato la mancanza di attenzione, ossia di cura e amore verso il prossimo che alcuni comportamenti sulla soglia dell’imbecillità hanno rivelato, ci si domanda se sia possibile una svolta dell’umanità in meglio nell’era post-covid, che ci si augura prossima.
Se tale svolta ci sarà, sicuramente un ruolo preponderante spetterà agli insegnanti di ogni ordine e grado, coloro che plasmano le giovani coscienze ed educano, formano, e non solo trasmettono cultura ma sensibilizzano. Poiché l’intelligenza è fatta anche di sensibilità. La comune radice antropologica non è solo algidamente intellettiva, ma anche e soprattutto sensibile.
Credo che la mente non possa essere disgiunta dal cuore, uomini e donne non sono individui dimezzati. Lo è il “Visconte” – dimezzato – il personaggio creato da quel genio di Calvino per dire le nevrosi del Novecento, ereditate dal XXI secolo. Dimezzate sono, ahimè, molte famiglie, i cui figli trovano proprio nella scuola quel luogo che non è un parcheggio, ma una comunità di coetanei e insegnanti con cui trascorrere la maggior parte delle ore del giorno ci si augura in modo sereno. A scuola ogni bambino e ogni ragazzo impara a socializzare, evitando la deriva del solipsismo, incrementato da playstation, televisione e cellulari. A scuola esperisce il mondo e non solo nozioni. Il docente è innanzitutto una guida, un punto di riferimento e non un “pacchetto di servizi” offerti dalla scuola alla famiglia come i punti al supermercato o nei social.
A scuola si impara, giorno per giorno, anno dopo anno, non solo un metodo di studio, ma anche l’autocontrollo, l’autodisciplina e l’esercizio dell’autocoscienza. Perché crescere vuol dire anche e soprattutto essere individui autonomi dal conformismo. Credo che un bravo insegnante non debba essere un capobranco - di branchi ce ne sono tanti fuori dalla scuola nella giungla della vita – certo dovrà essere una figura autorevole, ma non autoritaria. E nemmeno, credo, debba tenere al lazo gli studenti come un gaucho della Pampa argentina. La missione dell’insegnante non puó prescindere dalla passione della libertà, intesa come liberazione dal conformismo, così invasivo, compulsivo e nocivo invece nei social. Senza libertà interiore non può darsi felicità. Senza libertà interiore non si è soggetti. E si è soggetti solo quando si esercita la propria coscienza, nelle scelte, ad esempio, che ogni ragazzo è tenuto a fare già molto presto. Il più grande traguardo dell’uomo l’ha insegnato Socrate: γνῶθι σαυτόν (conosci te stesso), la massima che avrebbe letto il filosofo greco sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, secondo Platone, assurta a imperativo della sua ricerca filosofica. La vita senza conoscenza non ha valore. La conoscenza non è l’utile, il conveniente, la chiacchiera, non avere dubbi. Tutt’altro. Un buon maestro non si stanca di educare alla criticità, al pensiero simbolico, l’unico in grado di generare empatia, miglior antidoto al pensiero unico. Un buon maestro, soprattutto, insinua il dubbio. Perché senza il dubbio la conoscenza non progredisce.
Nel drammatico tempo della pandemia gli insegnanti di ogni ordine e grado hanno lavorato egregiamente senza risparmiarsi, evitando la deriva degli studenti, hanno incoraggiato e risollevato gli animi, hanno ascoltato e contenuto l’angoscia dei propri studenti. Non è stato facile. Ma gli insegnanti l’hanno fatto. Tuttavia, la DAD non è sufficiente, l’hanno ribadito docenti, psicologi e medici: si esperisce il mondo grazie al coinvolgimento di tutti e cinque i sensi. Mi auguro che a settembre gli studenti di tutto il mondo possano ritornare a vivere la scuola “in presenza”. Che ritornino quei gesti così umani e formativi: una stretta di mano, una pacca sulla spalla; gesti che nessuna faccina sullo smartphone potrà mai sostituire. Il virtuale non coincide con il reale. Ma si trattava di un’emergenza e gli insegnanti hanno dato il meglio di sé. Si dovrà evitare, soprattutto, che la popolazione scolastica – bambini e adolescenti – resti iperconnessa troppo a lungo. Gli esseri umani non sono macchine con fili cablati dentro una presa di corrente. Gli esseri umani non sono ancora replicanti o, forse, i migliori, gli spiriti evoluti, lo sono. Ma perché non ci slegano dalle loro corde maniacali, / (…) / Perché devono ignorare le nostre intime ragioni d’esistere / (…) non c’è alcun computer che possa aiutarli / e altra algebrica fascinazione elettronica, se non la coscienza. (Domenico Cara, Disputa di confine).
E, ricordiamo, un buon docente non sarà mai né un tecnico né un tecnocrate. Se qualcuno insinua che il libro è morto, lo stesso la cultura tradizionalmente intesa, be’, tutto questo è smentito dalla fame di cultura e di libri. Mi è capitato di andare in un piccolo paese di montagna e di vedere una teca davanti a un negozio di generi alimentari contenente libri. Un cartello invitava gli utenti a cibarsi di nuovi libri, offrendone di propri. “Non di solo pane vive l’uomo.” (Matteo, 4,4). Il vero baluardo è solo il conoscere, contro l’inerzia e l’indifferenza, solo l’amore, l’avere cura, il prendersi cura e non il depauperamento del pianeta, speculare a quello della coscienza. Come brillano i versi dell’ultimo poeta che, ricordiamolo, prima di essere un grande artista è stato un educatore, un insegnante: “Solo l’amare, solo il conoscere / conta, non l’aver amato, / l’aver conosciuto. Dà / angoscia // il vivere di un consumato / amore. L’anima non cresce più.” (Pier Paolo Pasolini, Il canto della scavatrice).
Negli ultimi decenni la scuola è stata la cenerentola della società, con livelli di disorganizzazione sempre più drammatici, e non certo per colpa del corpo docente. L’emergenza da pandemia credo sia anche un’occasione per ripensare efficacemente il ruolo della scuola nell’attuale società.
Secondo alcune menti illuminate, fra cui il cardinale Bassetti (presidente della Conferenza episcopale italiana) saremmo “il fanalino di coda dell’Europa nella retribuzione degli insegnanti”. Ecco, mi auguro che ci sia una “ripresa” anche e soprattutto della scuola, del ruolo fondante rivestito dall’istituzione scolastica, fiore all’occhiello di un Paese civile.
Dott. Gustavo Cioppa
(Magistrato, già Procuratore Capo della Repubblica di Pavia,
già Sottosegretario alla Presidenza di Regione Lombardia)
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