Corrado Augias che crede di poter parlare dell'opera lirica con annessi e connessi, solo perchè un suo amico emigrato oltralpe, dilettante quanto lui, lo chiama a parlare di Traviata di Giuseppe Verdi nel teatro che dirige, e dopo che con un musicista di professione ha fatto lunghe, lunghissime, chiacchiere su musicisti famosi, finite poi, disgraziatamente per l'acquirente sprovveduto, in cassetta, si sente autorizzato ad intervenire sulla regia d'opera e non è la prima volta.
Lo ha fatto di nuovo nei giorni scorsi a proposito della sgangherata regia di Damiano Michieletto del capolavoro verdiano, Rigoletto, allestito al Circo Massimo per conto dell'Opera di Roma, dove amministra quel genio di Carlo Fuortes che di musica e di melodramma si intende quanto Augias e ne parla esattamente come lui (magari con qualche ragione in più di Augias, se qualcuno lo ha messo a capo di una fondazione lirica).
Qual era l'argomento del contendere? Esattamente questo: si può lasciar fare ad un regista ciò che vuole di un melodramma dove non solo si racconta una vicenda, ma tale vicenda è espressa in musica e i protagonisti si esprimono e dialogano cantando?
La tesi di Augias e del gemello genio Fuortes è che se il melodramma non si 'attualizza' muore. Cioè a dire - portando il discorso anche in altri settori prossimi al melodramma, benché senza l'apparato scenico e soprattutto musicale e vocale - occorre prestare attenzione a tutti i capolavori del genio umano, perché col tempo tutti indistintamente, devono aggiornarsi, pena l'uscita di scena.
E ciò non riguarda solo quei testi narrativi, come il melodramma, dove la vicenda ed il suo svolgimento sembrano molte volte incongruenti. Se pur incongruenti sono sopravvissuti ai secoli senza perdere smalto ed interesse, non saranno certo quella coppia di geni musicali e qualche regista, pur coerente, ma lasciato fare oltre il consentito, a distruggerli.
Il teatro è il regno dell'impossibile, la sua scena intendiamo. Ciò che però non potrà mai essere contestato è il valore- per il teatro musicale, della musica e del canto. Ciò che ha reso e tuttora rende immortali i grandi capolavori del melodramma e la musica e la vocalità. Elementi che nessun musicista si azzarda a toccare, pur lasciando tutta la libertà possibile nel riscoprire e riproporre la tradizione.
E allora perchè i registi sì? Perchè quei geni del dilettantismo continuano a sostenere, e più grave ancora se lo sostiene chi è preposto alla gestione di un teatro lirico, che senza la modernizzazione registica il melodramma MUORE.
Insomma quei geni non si rendono conto che chi è andato perfino al Circo Massimo dove si rappresentava Rigoletto di Giuseppe Verdi, non ci è andato per vedere cosa aveva combinato Michieletto su un palcoscenico sterminato, bensì per ascoltare ciò che aveva creato Giuseppe Verdi quasi due secoli fa.
E infatti Flores D'Arcais e Piovani incalzano Augias, difensore d'ufficio ma privo di patentino professionale, dell'operato di Fuortes e Michieletto, con argomento tutt'altro che peregrini. Ma anche di fronte a questi Augias non demorde e racconta di aver visto un gruppetto di ragazzi uscire dal Circo Massimo contenti del Rigoletto di Verdi secondo Michieletto, e ribadisce che senza la modernizzazione registica l'opera muore. Che è poi la tesi del filosofo della musica e musicologo Carlo Fuortes.
L'unica condizione che egli pone al regista è la coerenza. Cioè?
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