...Nobel per l’economia nel 2008 per i suoi studi in scienza e geografia economica, Paul Krugman ha recentemente pubblicato sul The New York Times una corposa analisi sulle differenze tra Italia e Stati Uniti sulla gestione del Covid, dall’eloquente titolo Perché l’America di Trump non può essere come l’Italia? dal sottotitolo Il “malato d’Europa” ci fa vergognare per il coronavirus.
Sick Man of Europe è un epiteto attribuito dalla metà dell’Ottocento in avanti alle nazioni economicamente più critiche del continente, e non è difficile immaginare i motivi di un’eventuale “malattia” dell’Italia. Instabilità politica, riforme asfittiche, assenza di visione strategica, chiusura culturale, difficile posizionamento in Europa e negli equilibri politici globali, una criminalità organizzata fuori – o sotto – controllo, grave senescenza della popolazione, e si potrebbe continuare.
L’Italia è però, nonostante tutto, percepita come vittoriosa sul Covid. La sua capacità di sentirsi unita durante il lockdown, i canti dai balconi, l’eroismo dei sanitari e la prontezza e la decisione del governo non sono passati inosservati oltreoceano, dove la presidenza Trump non ha saputo gestire altrettanto bene l’emergenza, e la società civile ha espresso più che altro frustrazione.
L’articolo di Krugman è un lamento di sconfitta, che segue a distanza di pochi giorni un ancor più profondo percorso di consapevolezza sul crollo del Presidente, scritto a dieci mani da cinque influenti giornalisti e lanciato pochi giorni prima sulle colonne della stessa testata, anch’esso basato sulla gestione dell’emergenza Covid-19.
Non è solo il Times della Grande Mela: Trump è ormai da molti osservatori considerato “nudo” se non, addirittura, “distrutto”, “da compatire”. Il mix esplosivo tra pandemia ed elezioni presidenziali – per non parlare delle rivolte di Black Lives Matter – popola il terreno di scontro tra le due metà di un paese disperatamente in cerca di una nuova identità.
Tra le tante difficoltà da affrontare, Trump non poteva però immaginare di dover avere l’Italia come termine di paragone: non tanto per gli stereotipi correnti, come la bontà del cibo o la bellezza dei luoghi, ma proprio per la gestione della maggiore crisi subita dalla globalizzazione: il Covid-19.
“A questo punto, possiamo solo agognare al successo dell’Italia nel contenere il coronavirus” ha scritto Krugman. A voler fare del sarcasmo, quello di Krugman è un facile anelito: Trump sembra aver sbagliato davvero tutto, avendo insultato ogni possibile provvedimento di buon senso da applicare in tempo a tutela della popolazione, continuando per di più a sbandierare di aver avuto la migliore risposta possibile all’epidemia.
L’Italia è un paese critico, scrive Krugman. I difetti di un’economia stagnante da almeno due decenni sono sotto gli occhi di tutti, e non c’è bisogno di voltare il coltello nella piaga, aggiungiamo noi. Nonostante l’Italia sia entrata nella pandemia con gravi svantaggi rispetto agli Stati Uniti, ha continuato l’economista, tutte le criticità italiane sono state però compensate da un solo grande vantaggio: “L’Italia non era schiacciata dalla disastrosa leadership americana.”
Le riflessioni pubblicate dal The New York Times non sembrano tuttavia appuntarsi solo a favore di Giuseppe Conte, e a detrimento di Donald Trump. L’Italia sembra aver davvero voltato pagina nella sua immagine politica internazionale:
“Non intendo spacciare facili stereotipi nazionali. Nonostante tutti i suoi problemi, l’Italia è un paese serio e sofisticato, non un palcoscenico da fumetto.”
Krugman ha messo in luce la capacità di tenere duro durante il confinamento, evidenziando anche le scuse chieste ai cittadini dal Presidente del Consiglio italiano per non aver erogato in tempo il sostegno al reddito, in una “suprema combinazione di non-trumpismo”, come ha commentato il premio Nobel.
Non-trumpismo, ma pur sempre con un occhio agli States, quelli autorevoli e paternalistici di un tempo: Conte ha saputo usare modi sinceri e diretti, come quelli della presidenza Roosevelt durante Grande Depressione. I risultati si sono visti. Krugman conclude quindi esprimendo letteralmente la sua “invidia” nei confronti dell’Italia per la gestione dell’epidemia, ma non è questo il maggiore interesse nel suo articolo, per certi versi scontato.
Che sia infatti un indignato economista Dem ad esprimere con decisione ciò che la stampa internazionale ripete più o meno sommessamente da mesi suona né più né meno come un’ulteriore conferma della situazione.
È certamente meno scontato il tono dei quasi duemila commenti che i comuni cittadini – almeno in quanto comuni lettori del The New York Times – hanno lasciato in calce al pezzo, che testimoniano sì un cambio di passo nell’immagine dell’Italia, ma prima di tutto degli Usa con una sincerità che non è quella dei media.
“Non sarebbe più preciso paragonare gli USA alla EU?” Si è chiesto un lettore dalla Bay Area (California). “Lasciamo stare l’Italia,” conclude. “La domanda è perché non riusciamo a essere l’America dei principi costituzionali e dei valori democratici.”
“I politici eletti in Italia possono anche litigare tra loro,” afferma un lettore dal Connecticut. “Sanno però essere consapevoli, memori del retaggio (quello buono) del loro paese e della loro cittadinanza. Si può dire lo stesso dei Repubblicani e di Trump? Credo di no.”
“Sarà anche fuori tema,” scrive un lettore dalla UE, “ma qualcuno potrebbe spiegare a un ingenuo europeo perché tutti negli Stati Uniti si definiscono ‘americani’, e persino i media intellettuali come il NYT parlano continuamente di ‘America’ quando in realtà intendono gli Stati Uniti?”
“Conosco molto bene gli italiani,” scrive un lettore da Chicago. “Siamo lontani dalla perfezione, ma è un paese dove le persone mostrano solidarietà nei tempi difficili. È un posto dove sei apparentemente ignorato dai tuoi vicini, fino a quando non hai davvero bisogno e li vedi arrivare, in un modo o nell’altro.”
Robert, lettore di Philadelphia, ha frequentato molto l’Italia e continua a leggere i nostri quotidiani sul web. “Dopo anni passati a spiegare perché avrebbe dovuto emulare gli aspetti positivi della nostro stile di vita, adesso l’Italia è satura di esempi del fallimento americano.”
“Conte è in contrasto con l’estremo nazionalismo e autoritarismo di un Salvini contro i migranti,” ha scritto una lettrice dal Canada. “Nonostante un debutto debole, Conte ha sollecitato gli altri partiti per formare una coalizione e governare concretamente. È stata un’impresa non da poco.”
Molti commenti hanno messo in luce la “tracotanza” di Kruger nel descrivere gli Stati Uniti in modo fin troppo esclusivo come il Paese di Trump, piuttosto che una nazione più solida e sinceramente identitaria di quanto non lasci vedere la politica del suo attuale presidente. L’immagine dell’Italia ne esce comunque saldamente rafforzata, e con essa quella della UE.
Molti attribuiscono la reazione al Covid al carattere sociale del nostro sistema sanitario, al nostro senso di comunità, all’attaccamento alla famiglia, al valore del vicinato, al rispetto per gli anziani. Tutte conclusioni che per la loro genericità possono far alzare le sopracciglia a chi in Italia vive ogni giorno, ma che al tempo stesso valorizzano i soft skills della nostra comunità nazionale, le nostre competenze trasversali che abbiamo forse per troppo tempo sottovalutato, soprattutto in sede politica.
Si può però essere certi, da questo e altri contesti di opinione pubblica, che poco più di tre anni di presidenza Trump sono bastati per mostrare i piedi d’argilla di un gigante globale, che dopo decenni di “canaglie” globali da combattere, svanite come neve al sole, è finalmente sola con sé stessa e costretta a guardarsi allo specchio. L’appuntamento elettorale di novembre, Usa 2020, sembra davvero suonare come l’ultima chiamata per gli Usa come land of opportunities e maggiore democrazia mondiale.
Un pur nefasto Trump ha intanto un indubbio vantaggio su Biden: può mobilitare un elettorato già coeso su posizioni molto semplici, e lo farà essenzialmente con una campagna negativa contro Biden.
Dal canto suo, lo sfidante in pectore ha di fronte a sé un elettorato meno precisamente definito, tutto da aggregare, e dovrà scovare positività e strategie politiche ben altrove dal rappresentare una semplice alternativa a Donald Trump.
Per giocare la partita di Usa 2020, Joe Biden deve pescare il jolly – per meglio dire, la jolly – più difficile della politica statunitense: una candidata vicepresidente che sappia essere più influente e potente dello stesso Presidente degli Stati Uniti, come molti osservatori stanno già affermando.
Al fianco di una eminente personalità politica femminile, l’eventuale presidenza Dem dovrà misurarsi non solo con gli effetti del Covid, ma con la peggiore crisi civile e democratica degli Stati Uniti da cinquant’anni a questa parte. L’omicidio di George Floyd e la dura posizione repressiva mostrata da Donald Trump a Seattle e Portland – di cui in Italia si parla molto poco – la dicono lunga sui termini di questo futuro confronto.
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