Quando leggiamo, nell'intervista che ieri Giuseppina Manin ha fatto a Martha Argerich, uscita sul Corriere, la domanda seguente:"Quanto è difficile essere una leggenda del piano?", ci viene da inventarne una anche noi, di tenore simile, da porre eventualmente ad un'altra 'leggenda' del nostro tempo, Kim Kardashian , leggendaria per tutt'altri primati, senza attenderci la risposta: " è difficile convivere e portarsi sempre appresso quell' incontenibile, e per questo leggendario, davanzale, e il suo assicuratissimo lato B, dai quali non si può mai staccare"? Sempre di una 'leggenda' si tratta, anche se diversa dalla Argerich. Lei il 'piano' può lasciarlo a casa, dimenticando per qualche momento la sua 'leggenda', la Kashkashian no.
Perchè quella domanda alla Argerich? La Manin gliel'ha rivolta perchè - immaginiamo - ai suoi occhi pareva contenesse filosofica profondità?
Mentre non la rivolgerebbe a chi può essere considerato 'leggenda' delle miniere o dei pompieri, perchè in questi diversi settori, perderebbe - ai suoi occhi- mordente e interesse.
Che altra risposta si attendeva la Manin, oltre quella, prevedibilissima, che la Argerich le ha offerto, con la postilla - questa sì interessante - della confessione di essere stata un madre non proprio leggendaria (come un recente documentario sulla sua vita, realizzato da una sua figlia, ce l'ha mostrata ) con il proposito però di riscattarsi almeno come nonna 'leggendaria'?
Alla Argerich, così avara nel concedersi - noi l'abbiamo intervistata un paio di volte anni fa, mentre di recente, non siamo mai più riusciti ad avvicinarla, nonostante le promesse - si sarebbero potute porre chissà quante altre domande. Sarebbe bastato proseguire ad approfondire il racconto della sua vita, così avventurosa, fuori dagli schemi, per rendere la rara intervista assai più preziosa. Invece no: "quanto è difficile essere una leggenda del piano"?
La Manin , anche lei 'leggenda del giornalismo', con la quale, a differenza della Argerich, sembra convivere senza tante difficoltà, perdonerà il nostro modestissimo appunto.
Il quale, però, nasce dalla convinzione che le interviste, specie a persone non banali ed inutili - e la Argerich è persona dalla ricca personalità e grande storia - sono occasioni preziosissime che non vanno sciupate. In simili interviste occorre scavare, anche sena pietà, porre domande inopportune - che sono sempre meglio di quelle idiote e banali - e non lasciare mai cadere un discorso se offre spunti per ribattere.
Anche noi di interviste, anche a personaggi famosi della musica, ne abbiamo fatte a centinaia. Evidentemente anche noi avremo, specie in gioventù rivolto domande altrettanto idiote. Solo che le abbiamo volutamente cancellate dalla nostra memoria, forse per la vergogna. Mentre, per un forte senso di autostima professionale non riusciamo a dimenticare alcune domande 'inopportune' , nonostante il tempo trascorso. Possiamo ricordarle. Tre almeno, ci vengono subito in mente.
A Paul Sacher, la più insolente ( ma eravamo molto giovani, e perciò potremmo essere scusati): "senza i suoi soldi sarebbe diventato direttore d'orchestra ed avrebbe potuto assumere un ruolo centrale nella storia della musica del XX secolo"? Tanto insolente che non ricordiamo più la risposta di quel gran signore.
A Vladimir Ashkenazy: "nessuno mai le ha detto, quando studiava, e nei primi anni di carriera che con quelle manine era meglio non pensare alla carriera di pianista"? Anche in questo secondo caso non ricordiamo la risposta.
Infine a Tony Pappano che incontrammo al Covent Garden, all'indomani della sua nomina a direttore musicale dell'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia. Nell'intento di smorzare il suo entusiasmo, secondo noi eccessivo, per tale nomina, gli facemmo notare: non sono mica i Wiener Philharmoniker? E lui prontamente - qui la risposta la ricordiamo bene: "certo, ma anche io non sono Karajan".
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