mercoledì 6 gennaio 2016

Pierre Boulez: la contaminazione è segno di stanchezza. In ricordo del musicista appena scomparso

L'occasione di questa intervista  fu data dall'inaugurazione, il 21 aprile 2002, della sala media (Sala Sinopoli) dell'Auditorium di Roma, alla quale Boulez partecipò, invitato da Luciano Berio, con il 'suo ' Ensemble Intercontemporain. In quell'occasione il musicista visitò il grande complesso architettonico destinato alla musica.

"Fa un gran bell’effetto, la sala media (Sala Sinopoli) - attacca Boulez .Dal palcoscenico dove ho provato, rimanda un suono chiaro, con bella risonanza, ed anche l’amalgama di più strumenti è soddisfacente. Naturalmente dovrei stare in sala ed ascoltare di lì per confermare la prima impressione che, comunque, è ottima. Ho visto anche la sala piccola, quella con il palcoscenico (Sala Petrassi). Mi ha fatto impressione il bel materiale con cui le sale sono rivestite. Noi all’Ircam non ci siamo potuti permettere tanto bel legno. Perchè Parigi non può avere una grande sala da concerto come Roma, che ora ne ha addirittura tre? Continuerò a battermi per ottenerla".

A Roma con l’ Ensemble Intercontemporain, Boulez ha visitato il nuovo Auditorium-Parco della Musica, ma non da solo come avrebbe desiderato, bensì in compagnia di un architetto collaboratore di Renzo Piano, e senza nessun giornalista 'indiscreto' al seguito. Il bello però viene ora. Lei maestro cosa ci farebbe?
Per fortuna non devo occuparmene; richiederebbe un grande impegno, ed io non avrei neppure il tempo per farlo. Basandomi sulla conformazione e sulla capienza delle tre sale, si potrebbe destinare la sala più grande - quella da 2800 posti, di prossima inaugurazione - al cosiddetto ‘repertorio’, alla musica più familiare ; la sala media ( battezzata: Sala ‘Giuseppe Sinopoli’, da 1200 posti) potrebbe ospitare un mélange fra musica di repertorio e musica non altrettanto nota per organici cameristici; e la terza sala, la più piccola (da 700 posti , dotata anche di palcoscenico, Sala 'Petrassi') potrebbe rappresentare una fucina per le novità. E poi c’è il grande foyer circolare che abbraccia le tre sale - ci si potrebbe fare una biblioteca ‘itinerante’ legata alle attività delle tre sale; e poi c’è la cavea all’aperto… quante altre idee potrebbero venire.

Basta così poco per farlo funzionare?
Per carità. Occorre cambiare anche mentalità. Ai responsabili musicali consiglio di osservare ciò che hanno fatto i responsabili di musei, per aumentare il numero dei visitatori. E ci sono riusciti. Esistono musei ‘generalisti’, altri specializzati in questo o quello stile; gallerie, infine, che espongono ciò che di nuovo succede nell’arte. Non si può mostrare tutto a tutti in una volta, costringendo anche i più riottosi, ma non bisogna neppure desistere dal tentativo di far conoscere il nuovo.

Perdoni, maestro, ma è proprio quello che Lei fa da sempre: costringere tutti quelli che decidono di venire ai suoi concerti a conoscere il nuovo. Le spiace spiegare perchè, per poterla ascoltare, occorre pagare questa tassa, l’ascolto – obbligato - della sua musica e di quella di pochi altri, come Berio?
La ragione è semplice. Sono una persona molto esigente e dedico il mio tempo solo a ciò che mi interessa veramente, che è poi la musica di oggi, e in particolare quella dei giovani che mi obbliga a pensare in maniera diversa da come ho sempre pensato. A me interessa l’evoluzione della musica e questa evoluzione si ha con le nuove leve. Recentemente ho diretto un opera dell’inglese Geoge Benjamin che ha quarant'anni, dunque quasi la metà dei miei anni; Berio… perchè siamo coetanei; perchè è fra le persone con cui ho maggiore familiarità e perchè posso dire che mi trovo a condividere un percorso musicale assai simile al suo, al punto da invidiargli alcune sue opere che vorrei aver scritto io. Naturalmente Berio non lo dirigo solo a Roma e perché mi ha invitato.

Maestro, conosce Michael Nyman?
No.

E Uri Caine, direttore della Biennale Musica di Venezia(2002); e Arvo Part? li conosce?
No! Dovrei conoscerlo, Caine? Part lo conosco. Ma perché mi domanda di Nyman, Caine e Part?

Semplicemente perché appartengono a quella schiera di compositori che vampirizza troppo spesso i musicisti del passato. Anche il suo amico Berio non è estraneo a questo pratica. L’ha fatto con Mozart, Boccherini, Schubert, ed ora anche con Puccini. Cosa pensa di chi si rivolge troppo spesso alla musica del passato, e non per studiarlo o per prendere in prestito qualche tema?
Non intendo giustificare nessuno. Semplicemente le dico che non mi interessano e perciò non me ne occupo. Nella storia tutte le volte che non si riesce a trovare un rimedio presente ci si rivolge alla 'biblioteca'. Ma la biblioteca deve avere uguale sorte della fenice, il mitico uccello: deve bruciare. Un fenomeno analogo alla cosiddetta contaminazione fra generi. Non è nuovo, lo si registra anche nelle arti visive: quando un genere mostra segni di stanchezza, gli artisti si rivolgono ad altri, in cerca di possibili modelli. Il passato è prezioso ma non può pesare come un macigno sul presente e costituire un'ipoteca sul futuro. Quando morì Schoenberg scrissi un saggio che intitolai “Schoenberg è morto!”. Naturalmente la mia non era una scoperta. Mio intento era ribadire che la storia della musica non finiva con Schoenberg e che Schoenberg non poteva costituire un impedimento per chi desiderasse andare avanti. Agli apocalittici di oggi voglio dire che occorre giudicare ‘a distanza’ e non nell’immediato. E questo vale anche per la musica

Cosa resterà della musica del secondo Novecento. Può, già oggi, azzardare una profezia?
Certamente 'Gruppen' di Stockhausen; 'Sinfonia' di Berio e i 'Concerti per violino e pianoforte' di Gyorgy Ligeti.

E John Cage , secondo Lei, non ha significato nulla nella musica del Novecento? Cage, l’ho conosciuto ed anche molto amato. Tutti subimmo il suo fascino. Ma devo ammettere che John è stato più geniale nella vita che nelle opere. Ha avuto idee importanti ma non i mezzi per realizzarle. Il piano ‘preparato’, ad esempio, è soltanto una trovata, per effetto del nuovo timbro e basta. Stesso discorso per il concetto di ‘opera aperta’. L’Europa conobbe Cage e l’America a Darmstadt , un luogo d’incontro fondamentale per i giovani musicisti. E non è vero che Darmstadt unificò il linguaggio di tutti i musicisti presenti. Devo anzi dire che avvenne il contrario, in quel luogo d’incontro tutti i musicisti trovarono la forza per proseguire per la propria strada. Faccio un esempio: Luciano Berio non sarebbe lo stesso senza la cultura italiana di provenienza. Per tutte queste ragioni ritengo necessario continuare ad incontraci .

Alla musica si domanda spesso di dire o fare cose che forse non può dire né riesce a fare. E’ ragionevole pensare che la musica - linguaggio universale, come si sottolinea in tempi di guerra - possa abbattere barriere, odii, antagonismi?
Tante volte in passato si è tentato di ‘politicizzare’ o ‘religionizzare’ la musica; la musica non fa politica né proseliti. E tuttavia ciò che da qualche anno, assai coraggiosamente, tenta di fare Barenboim, costituire cioè un’orchestra di giovani israeliani, arabi e palestinesi è molto meritorio e va fatto. Serve almeno a far riflettere i giovani, almeno i giovani, sulla possibilità di superare particolarismi ed antagonismi, lavorando gli uni assieme agli altri. Questo esempio almeno occorre darlo.

Cosa spinge il musicista a scrivere ancora oggi musica?
L’utopia. Il dialogo dell’utopia con la realtà è uno stimolo importante per l’artista. Occorre essere coraggiosi e curiosi. E i musicisti molto spesso non hanno nè coraggio né curiosità. E’ un rimprovero severo che mi sento di fare a tutti, compositori ed interpreti, senza distinzione. Il loro scarso coraggio e l’assenza di curiosità fanno molto danno al pubblico. In Italia avete interpreti come Abbado, Chailly, Pollini. Tutti e tre sono musicisti sempre curiosi e molto coraggiosi e il pubblico li segue fedelmente anche quando presentano musica moderna o contemporanea, la qual cosa fanno con una certa regolarità. A volte leggendo i programmi dei concerti di certi notissimi pianisti, mi domando se siamo nel 2002 oppure nel 1880. E man mano che passa il tempo mi scopro sempre più impaziente verso questo stato di cose.

Insomma con qualche Abbado, Chailly e Pollini in più, la musica moderna e contemporanea risolverebbe i suoi problemi di pubblico e di accettazione?
Non basta. Una istituzione musicale non deve interessarsi esclusivamente al concerto, che tuttavia resta un fatto centrale nella vita musicale. Occorre stimolare in tutte le maniere soprattutto i giovani e gli studenti. Le case della musica non possono comportarsi come dei 'restaurant' che osservano un orario rigido di apertura e chiusura, al di fuori del quale non c’è verso di far aprire la cucina. Il concerto resta il piatto forte, ma il contorno deve avere più peso. Intorno al concerto occorre inventarsi qualunque cosa per incuriosire, specie quando il pubblico è più disponibile, come nel fine settimana: aprire le prove ai giovani, spiegare tutto quello che possono capire di un brano musicale non particolarmente facile – io stesso l’ho fatto con molto successo a Londra, per la serie ‘Discovery Concert’ della London Symphony Orchestra, spiegando e dirigendo Bartok. Pian piano si può far capire al pubblico, almeno a quello più attento, che esistono vari punti di vista sulla medesima musica; in occasione dell’esecuzione di musica nuova, si dovrebbe effettuare una registrazione dal vivo, in maniera da offrire immediatamente l’opportunità di far riascoltare, seppure in disco, una musica che dal vivo sarà possibile riascoltare forse dopo anni e anni. Occorre muoversi e subito anche nella pedagogia musicale visto che la scuola non lo fa; noi musicisti dobbiamo darci da fare, dobbiamo investire sul futuro, ne va di mezzo anche la sopravvivenza della musica stessa, oltre che nostra.

Il cosiddetto repertorio - Bach, Mozart, Beethoven, per intenderci- non la interessa affatto?
No, per carità. Io sono un caso molto speciale. Sono innanzitutto compositore e, in subordine, direttore, e direttore in primis della musica di oggi. E per la musica del passato, solo di quegli autori e di quel repertorio che non ritengo ancora valorizzati a dovere. Lo faccio anche spesso per riequilibrare il peso di certi autori ed opere nella storia generale della musica. Non c’è ragione perché io diriga autori che altri fanno già bene e forse meglio di come farei io. Dirigere il repertorio è un regalo che io faccio al pubblico. E un bel regalo per essere apprezzato non può essere fatto ogni giorno, ma solo in particolari occasioni.

E quali sarebbero queste occasioni particolari per meritarci un suo cadeau musicale estratto dalla tradizione?
Mi hanno invitato, a Salisburgo, per questo gennaio, per un concerto di Mozart con Pollini e i Wiener. Di per sé dirigere Mozart, nonostante la presenza di Pollini, che è un musicista assai stimolante, per me non è sufficientemente interessante. Sono riuscito ad inserire nel concerto le due 'Kammersymphonie' di Schoenberg. Con quest’accostamento il concerto è diventato stimolante, ed ho accettato. Penso che lo sarà anche per il pubblico. Un altro esempio. A Chicago, dirigo la 'Grande Messe des Morts' di Berlioz, che lì, stranamente, non è stata mai eseguita. Ecco, ancora una ragione valida per tornare al repertorio: presentarlo ad un pubblico ‘vergine’. La prossima Pasqua, a Lucerna, dirigerò la 'Sesta' di Mahler e, nella stessa serata, anche due strabilianti capolavori del Novecento, con evidenti echi mahleriani: i 'Tre pezzi per orchestra' op. 6 di Alban Berg e i 'Sei pezzi' op.6 di Anton Webern, nella versione originale. Ma, insisto, se non posso accostarmi al repertorio alla mia maniera preferisco dedicarmi a ciò che veramente mi interessa: la musica d’oggi, compresa la mia. Le dò una primizia: tornerò ancora a Bayreuth nel 2004 per dirigere Parsifal. E sa perché? Per il forte valore simbolico di quel teatro. A Bayreuth, con Wagner, vado a ritrovare la sorgente della modernità. Voglio dire all’Europa che come Wagner riuscì a costruire lì il suo ‘teatro dell’avvenire’, è giunta l’ora che anche noi ci decidiamo a costruire il teatro del nostro futuro!




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