La cultura italiana può sopravvivere senza Paolo Baratta? La domanda, spontanea, ha una sola risposta, obbligata: No! Senza Paolo Baratta chissà che fine avrebbe fatto o farebbe la Biennale di Venezia, al cui vertice il manager schieratissimo a sinistra, siede inamovibile. Si badi bene, Paolo Baratta non è indispensabile per il governo del paese. E' stato più volte ministro, in vari dicasteri, quasi sempre per periodi molto brevi, al termine dei quali, ai dicasteri in precedenza occupati da Baratta, sono approdati altri, senza che il paese sprofondasse nel baratro, più di quanto o diversamente da quanto aveva fatto nel periodo in cui Baratta era stato ministro.
Il governo del paese ha mille altre carte da giocare, ma la cultura no. Tanto che quando il Baratta corse il pericolo di essere sostituito da Malgara, ai tempi di Galan ministro, mezzo mondo artistico si schierò al suo fianco, costringendo il ministro a confermare Baratta . Ma già allora qualcuno scrisse che il sostituto era talmente inadeguato rispetto a Baratta, che la ventilata nomina era stata fatta per confermare Baratta.
Il quale arriva a Venezia per la prima volta, nominato da Veltroni, nel governo Prodi, nel 1998, e vi resta per un quadriennio; gli succederà Bernabè.
Vi torna per una seconda volta e per un secondo quadriennio nel 2008, restandovi fino al 2011, quando ci fu quella patente mossa falsa di Galan, progettata per la riconferma di Baratta. Non più solo la sinistra fiancheggiatrice, ma forse altri fiancheggiatori da cercarsi in ben diverse congreghe, della cui iscrizione di Baratta, si è spesso detto e scritto. Nel 2011, Baratta vien ancora rinnovato fino al 2015. e dunque son già dodici anni che regna indisturbato al Lido di Venezia.
Fino al rinnovo di queste settimane, incluso, alla chetichella, nella legge di stabilità, che dunque si preoccupa anche della stabilità di Baratta. Che proseguirà per altri quattro anno, fino al 2019, quando Baratta avrà 80 anni e quando, se si dovesse ancora non trovare un suo sostituto comincerebbe per lui il diciassettesimo anno alla Biennale.
E già il futuro governo, dei grillini, è sconvolto dal pensiero di dovergli trovare un sostituto, perchè pensa che la Biennale non sarebbe più la stessa senza Baratta, mentre esultano tutti gli altri. E forse anche la stessa Biennale, dove entrerebbe aria nuova, dopo troppi anni.
P.S. Finalmente è passato il decreto 'milleproroghe'- detto decreto 'della vergogna' - contenente anche il rinnovo dell'incarico a Paolo Baratta per i prossimi quattro anni alla presidenza della Biennale di Venezia ( si tratta del quarto mandato, necessitante di mille e più proroghe), e Natalia Aspesi, ormai vedova di Lissner, non sa trattenere l'entusiasmo per l'amico Baratta, e ne dà l'annuncio solenne, cantando vittoria per la sua permanenza alla Biennale. Tutti, o per lo meno in parecchi criticano la Biennale, ma non il suo presidente. Ci sembra di leggere alcune cronache musicali del medesimo tenore: i solisti non erano all'altezza, l'orchestra ha suonato male, ma il direttore ha ben diretto. 'Da par suo', aggiungono i più temerari.
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