Caro maestro Acquafredda,
spero si ricordi di me. Sono trascorsi quasi due anni da quando lei ha lasciato l'insegnamento e, da quel momento, a me è mancata qualunque opportunità di incontrarla, come avveniva settimanalmente, con regolarità, da quando sono entrato in Conservatorio, all'indomani del terremoto, e lei insegnava ancora. Non mi ha dimenticato, vero?
Si ricorda allora di me? Arrivai all'Aquila, portatovi in macchina da un amico più grande di me, la prima volta alla vigilia della inaugurazione della nuova sede del Conservatorio, era la fine del 2009, alla presenza di Riccardo Muti. Già quel giorno feci la mia bella figura con il maestro Muti.
La vita in Conservatorio per fortuna riprese regolare, nonostante la tragedia del terremoto, ed io mi affezionai all'istituto e anche ad alcune presenze. Devo confessarle che, ogni settimana, attendevo con piacere il suo ritorno in Conservatorio, il nostro incontro mi procurava sempre gioia - come penso anche a lei - e mi riempiva di orgoglio perchè vedevo quanto Lei fosse attaccato a me ed interessato alle mie sorti oltre che al Conservatorio ed a tutti i suoi allievi, che la ricordano con grande stima ed affetto. Quanto ai suoi colleghi mi è capitato, seppure raramente, di orecchiare qualche critica nei suoi confronti, ma sussurrata a mezza voce, per timore che io ascoltassi e poi riferissi a lei.
Mi mancano le chiacchiere che settimanalmente facevamo, quasi sempre alla presenza di qualcun altro, interessato come Lei al mio futuro musicale. Si parlava di tutto, della sorte dei giovani musicisti in Italia, della formazione offerta e dei risultati non sempre adeguati alle esigenze del momento. Mi faceva un gran piacere ascoltare lei ed i suoi interlocutori; io preferivo ascoltare in silenzio, salvo i casi in cui lei mi dava letteralmente fiato, ed io intervenivo facendo sempre sentire, anche se timidamente , per il rispetto che nutrivo nei suoi confronti ed anche per immensa gratitudine, la mia voce.
Poi Lei è andato via, per 'limiti di età' - mi disse, letteralmente. Da allora le cose sono cambiate; Lei non si è fatto più vedere in Conservatorio ed io, anche per questo, sono triste. Non lo sente dal tono di questa mia?
Continuo a sentir parlare parlare, non sono interessato a quello che mi tocca ascoltare e, purtroppo, anche per questo sono diventato quasi muto; la mia voce mi riesce difficile tirarla fuori. Potrei dire come gli ebrei schiavi in Babilionia: 'come posso far sentire la mia voce in un paese straniero, in un luogo ostile?'
Lei sa bene dove sono costretto a vivere in Conservatorio, sono rimasto sempre lì, ed ora che non la vedo più, la compagnia alla quale sono obbligato, non potendo cambiare posizione, non mi piace più. Temo per la mia salute mentale e fisica ed anche per il mio canto, che un giorno sgorgava felice, chiaro e limpido, e che ora è rauco ed ansimante.
Caro maestro, perché non torna in Conservatorio per portarmi via con Lei?
sua Phisharmonica
Cara Phisharmonica,
capisco i problemi che la tua permanenza a L'Aquila ti ha creato, dopo la mia uscita definitiva dal Conservatorio, per 'limiti di età' - e solo per questi. Prima ancora che tu mi scrivessi, supplicandomi di riportarti a casa, a casa mia, dove sei vissuta per alcuni anni, sempre guardata e curata con affetto, avevo intuito che la tua attuale collocazione a stretto contatto con presenze non proprio amichevoli, anzi ostili, ti avrebbe ammutolita e inaridita, e per questo avevo chiesto agli attuali vertici del Conservatorio - lo so che non sono più quelli che tu hai conosciuto appena giunta all'Aquila - di rimandarti a casa. Mi è stato risposto che il tuo futuro era lì, anche se io non c'ero più e i vertici erano cambiati. Quasi una costrizione. La tua prigione.
Posso darti un consiglio, chissà che non serva a rendere la tua vita meno triste e disperata? Chiedi di cambiare stanza. Almeno questo te lo concederanno. Potrai non ascoltare più i discorsi che - come mi scrivi - non ti interessano affatto, anzi ti annoiano.
Il tuo ex maestro
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