Si sono appena concluse al Teatro Nuovo Carlo Felice di Genova tutte le prove del Premio Paganini che da nove anni non laureava un vincitore. L'ultimo, nel 2006, era stato un giovane violinista cinese. Poi niente più. Ora la direzione artistica del premio è stata affidata a Fabio Luisi, dopo Cesare Mazzonis, che l'ha tenuta negli anni senza vincitore.
I numeri: 101 i candidati al premio - giapponesi, coreani, cinesi statunitensi soprattutto; 8 appena gli italiani - in 30 alle preliminari, 16 alle semifinali - nessun italiano -, 6 alle finali. Ha vinto il sudcoreano, diciannovenne, In Mo Yang. I sei partecipanti alle finali provenivano da Germania,Giappone, Lettonia, Russia, Usa, Corea del Sud. Provenienti da nazioni che hanno grandi tradizioni nelle scuole violinistiche: USA, Estremo Oriente (anche e poi studiano negli USA), Russia, Germania. E l'Italia?
La giuria, presieduta - come abbiamo detto - da Fabio Luisi era prevalentemente composta da direttori artistici ed agenti, un critico, e solo un paio di violinisti, se non andiamo errati. E già questa è un'anomalia. Un concorso, così prestigioso, dalla storia gloriosa, non va considerata come un'audizione per agenti e per direttori artistici, qual è sembrata questa messa insieme da Luisi. Anche perché non è affatto detto che la gran parte dei componenti sapesse qualcosa del violino e del violinismo, in senso tecnico oltre che musicale, critico compreso. Si potrebbe obiettare che questo non vuol dire nulla o quasi, e che la storia ed il futuro di un concorso li fanno i vincitori. Se il giovane coreano avrà una carriera fulgida, tale fulgore immancabilmente si riverserà anche sul Premio Paganini per gli anni a venire, anche quando della giuria ci si sarà del tutto dimenticati.
In Italia il Paganini l'hanno vinto solo due illustri violinisti: Salvatore Accardo e, dopo molti anni, il suo allievo Massimo Quarta.
Ciò che comunque colpisce esaminando questa edizione del Paganini, è la latitanza dei giovani italiani. La nazione che ospita il Concorso può presentarsi con soli 8 concorrenti su 101, tutti assenti già alle preliminari, alle quali partecipavano 30 concorrenti? Anche se non si può dire che la carriera di un musicista dipenda in maniera determinante dalla vittoria ad un concorso, la situazione violinistica italiana, cosi come si è presentata alla giuria del Paganini, desta qualche preoccupazione. Possibile che nessun italiano sia tanto bravo da essere preso in considerazione dal Paganini? Vero è che ora sono in circolazione alcune bravissime violiniste, dalla Tifu alla Marzadori alla Dego che non sono passate dalla forche caudine del Paganini, e che comunque in Italia potrebbero ancora esserci negli anni a venire ottimi violinisti, come ha detto più d'una volta Salvatore Accardo, quando gli hanno chiesto un parere sul panorama violinistico internazionale, lui che insegna a Cremona e che ha visto passare nella sua aula quasi tutti i violinisti oggi in carriera.
Ma forse quando si vede che i cartelloni delle maggiori istituzioni musicali italiane sono infarciti quasi esclusivamente di artisti stranieri, e poco o nessun spazio hanno gli ottimi strumentisti italiani che quindi lavorano in prevalenza all'estero, forse un pò di sconforto viene. Perchè lavorare tanto, sacrificarsi per anni ed anni, se poi non si viene presi in considerazione nella stessa nazione in cui si è nati e ci si è formati? Sacrificarsi solo per la musica? E' poco.
Se non si cambia passo, l'Italia potrebbe a breve essere del tutto marginale al grande giro internazionale della musica. Se Franceschini e Nastasi, invece che lavorare per accentrare il potere e per fini diversi da quelli istituzionali e cioè per la difesa della cultura italiana innanzitutto in Italia, e , di conseguenza, prendessero in seria considerazione come risolvere tale problema, forse gli verrebbero perdonate le già numerose imperdonabili cantonate delle quali ha brillato la loro presenza al Collegio romano.
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