In questi giorni, come accade ormai periodicamente, allo scoppiare di un nuovo caso che riguarda il mondo italiano del melodramma, ed ora il nuovo caso è l'addio di Muti all'Opera di Roma, si torna a discutere sul futuro dei nostri teatri lirici. Si dice: fra quelli importanti, le cosiddette Fondazioni liriche ( ed anche sinfoniche, per via dell'esistenza dell'Accademia di Santa Cecilia nell'elenco), in Italia ne abbiamo tredici + una. Troppi. L'Italia, che neanche prima poteva permetterseli, ancor meno può permetterseli in un periodo di crisi nera. Occorre ridurne il numero, tenerne solo pochi. Qualcuno, fra i più temerari, arriva anche ad ipotizzare un paese come l'Italia con un solo teatro lirico nazionale ( Scala) ed una grande istituzione sinfonica nazionale ( Santa Cecilia) e gli altri teatri trasformati in sedi di distribuzione, non più di produzione; via perciò orchestre, tecnici ed amministrativi.
Cioè a dire in un paese come il nostro nel quale si hanno due camere parlamentari, ed una è di troppo e nonostante ciò non si riesce a chiudere, benchè costosa ed inconcludente; regioni tante quante sono, e sono tante, ed alcune a statuto speciale divoratrici di montagne di soldi; province oltre cento e tutte insieme un esercito di dipendenti ed eletti, ben pagati che oltre tutto rubano - e l'accusa non è nostra bensì delle magistratura - e ancora 'authority' in ogni campo, anche inutili, e poi enti inutili chiusi ma ancora aperti ecc... ecc... insomma un paese come il nostro che presenta sprechi come un colabrodo, dominato da 'ladroni di Stato', non può mantenere in vita una decina di teatri che rappresentano il nostro vanto agli occhi del mondo, come invece non rappresentano tutte le altre sanguisughe inutili, alcune delle quali soltanto abbiamo ora elencate?
In questa crociata anti teatri - nella quale in passato si sono esercitate anche illustri personalità dello stesso mondo musicale, ma solo fino a prima di mettere piede in tale mondo, dal quale poi hanno tratto benefici artistici e non solo - si esercitano anche alcuni volti noti del panorama culturale italiano, come Corrado Augias, giornalista scrittore che negli ultimi tempi va facendo conferenze su Chopin e Beethoven e Verdi e Traviate, mostrando un dilettantismo che, nel caso dei teatri, dovrebbe consigliargli il silenzio. No, lui interviene e afferma perentorio che 13 +1 sono troppi e che andrebbe ro chiusi parecchi, assumendosi lui il ruolo di memoria storica vivente e mobile della musica e del melodramma.
Il caso dell'Opera di Roma è aggravato dal fatto che il deficit - creato dalla gestione disastrosa sotto Alemanno che ora accusa il sindaco Marino di voler distruggere l'Opera di Roma - che ora è stato 'miracolosamente' sanato da Fuortes, si accompagna all'uscita di Muti che fa perdere al teatro qualunque appeal, se non si trova subito una soluzione adeguata, sia artistica che finanziaria.
Dalle parole, in verità poche, uscite in questi giorni dalla bocca amareggiata di Fuortes, sembrerebbe che a fine anno voglia abbandonare a se stessa la nave e tornarsene al timone più tranquillo di Musica per Roma - che comunque non ha mai abbandonato - dichiarando 'missione fallita'. La congiuntura non l'ha certo aiutato ma lui, sant'iddio, come pensava di andare avanti mettendosi di traverso con i sindacati ed il teatro intero? Lui pensava che tenendo duro avrebbe risolto tutto, ed invece si ritrova di fronte alla prima durissima sconfitta professionale , a seguito della quale ben pochi gli daranno credito per nuove avventure. Per questo non ha mai voluto mollare l'Auditorium, quando avrebbe dovuto farlo e da tempo, per non stare contemporaneamente qui e là, senza far bene né qui e né là.
I sindacati dicono che l'uscita di Muti è un'accusa per il manager e non per loro che a Muti non hanno mai fatto mancare il sostegno. Si vocifera che le richieste, alcune sacrosante del direttore,ma non tutte, in questo momento non sarebbe stato più possibile soddisfare ed altro ancora, frutto magari di malumori e semplici congetture, frutto del classico gioco allo scaricabarile.
Ora entro la fine dell'anno scadono alcuni contratti, oltre quello di Fuortes, come quello del direttore artistico Vlad - attenti colleghi: lui non è il direttore musicale, già fatica a fare il direttore artistico... - quello del direttore del corpo di ballo, Micha van Hoecke; ambedue voluti da Muti e dunque fuori appresso a Muti; per il corpo di ballo, Marino verrebbe assecondato nel suo progetto di riempire di donne il teatro: ci è pronta la Abbagnato (sarà in grado di fare il direttore del corpo di ballo? Non importa, secondo Marin, basta che sia donna e giovane, ed anche bella). Anche con queste sostituzioni, resta il problema principe: a chi dare in mano le sorti del teatro? Serve un nuovo sovrintendente - nonostante Fuortes sia fortemente sostenuto da Marino e dalla Marinelli e forse anche da Franceschini - ed un direttore musicale, e poi un direttore artistico e via dicendo. E, per il caso del direttore musicale non si può cascare dalle stelle alle stalle, come le idee pazze di Marino fanno temere. Si tornerà a parlare di Cristiano Chiarot, già in corsa al tempo di De Martino, quando Alemanno, il ministro e forse anche lo stesso Muti lo preferirono all'ottimo sovrintendente della Fenice?
Ieri avevamo consigliato ai più stretti collaboratori di Marino di internarlo, oggi ci accontenteremmo se riuscissero almeno ad interdirlo, prima che possa nuocere anche all'Opera. Non sappiamo se ci riusciranno. Noi intanto preghiamo e facciamo fioretti per tale causa.
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