L’unico beef gradito ai non carnivori, che spesso masticano più volentieri l’inglese che le proteine animali (specie se fornite dai bovini), è quello che in slang americano significa disputa. Lo spostamento semantico non si deve al fatto che una disputa può diventare più sanguinosa di un filetto poco cotto, ma, pare, ai litigi fra allevatori di bovini, che spesso si accendevano intorno alla quantità e al prezzo del manzo, del beef, appunto. La premessa eccentrica serve solo ad accendere un pizzico di curiosità, a insaporire una disputa che, come la carne di manzo, quando è troppo bollita, diventa stopposa. Proprio come il beef fra la destra italiana, attualmente al potere (dove, visto lo stato dell’opposizione, resterà per i prossimi 30 anni) e il mondo della cultura e di quella parte di mondo dello spettacolo che più se la tira. E spesso a ragione, vista la manifesta inadeguatezza della controparte, riassumibile in due parole: Pino e Insegno.
Quando destra e sinistra litigano sulla cultura quasi sempre c’è di mezzo la Rai
La disputa ha iniziato a manifestarsi nella forma attuale più di 40 anni fa, con la vittoria di Silvio Berlusconi e, a mio avviso, con il conseguente sbarco della destra alla Rai che a quel tempo era la prima industria culturale del Paese, creata e fino ad allora governata e amministrata da partiti che, pur con tutte le loro differenze ideologiche, le lottizzazioni e il malaffare, erano gli stessi che avevano scritto la Costituzione ed erano uniti dall’antifascismo, all’epoca condizione non sufficiente ma necessaria. La Rai non è solo poltrone e prebende: chi la controlla ha in mano i gusti e i consumi culturali degli italiani, anche quando spengono la tivù e leggono un libro (dell’autore o dell’autrice che hanno visto in tivù o da cui è stato tratto lo sceneggiato di prima serata) oppure vanno al cinema (a vedere un film prodotto dalla Rai e/o lanciato in quello show o servizio del tiggì). Valeva negli Anni 90, ma vale tuttora, tant’è vero che ancora quando destra e sinistra bisticciano sulla cultura, quasi sempre c’è di mezzo la Rai: il programma confezionato per il comico “amico di”, lo scrittore censurato da un programma, il personaggio storico esaltato in una fiction, il conduttore che invita questi e non quelli, eccetera.
Geppi Cucciari e l’Übercazzola di Giuli
C’entra anche nello screzio più recente, quello che vede protagonista proprio una star di Rai 3, Geppi Cucciari, cecchina specializzata in ministri della Cultura. All’ultima cerimonia di presentazione dei candidati ai David di Donatello al Quirinale, ha impallinato Alessandro Giuli come aveva fatto con il suo predecessore, Genny Sangiuliano, al Premio Strega. A stuzzicare Geppi non è stata la nostalgia di Giuli per ideali di estrema destra come l’Übermensch, ma perché il suo unico vero ideale sembra l’Übercazzola, da lui implementata a ogni apparizione pubblica.
Patetica la reazione del ministro («la sinistra aveva gli intellettuali, ora ha solo i comici»), peggio ancora la burbanza del suo quasi-sosia Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura alla Camera: «In quale altro Paese d’Europa una cabarettista introduce un ministro irridendolo? Solo in Italia, e con la peggiore sinistra».
Mollicone e il ministro della Cultura prendano esempio da Meloni
Mollicone è soprattutto noto per aver accusato Peppa Pig di diffondere la cultura gender, e viene da chiedersi se il vero delitto di Peppa fosse il gender o il fatto di diffondere la cultura. Cosa che ai fasciosovranisti di oggi riesce veramente, ma veramente male, anche se controllano Rai, giornali e istituzioni culturali. Del resto gli uomini di destra cui spetterebbe di risollevare la cultura e lo spettacolo sono così digiuni di entrambi da non sapere, fra le altre cose, che non è lo sfottò di una valorosa comica a renderti ridicolo, ma l’incapacità di incassare con grazia. Lo sa bene, invece, la loro leader, Giorgia Meloni: pure lei svelena contro la sinistra, ma le parodie e le prese in giro di Propaganda Live le ha sempre sempre accettate senza fare un plissé, anzi, a volte con un sorriso complice. Ecco perché lei è la leader – e il resto è solo beef.
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