La Russia è seduta sull’orlo di un baratro economico. Il rublo rischia di precipitare a 100 - o anche 120 - contro il dollaro, mentre il Fondo nazionale di previdenza sociale è quasi prosciugato. Le casse statali sono vuote, le entrate energetiche in caduta libera e la pressione sul Cremlino cresce ogni giorno di più. Un default mascherato, secondo alcuni analisti. Ma soprattutto, una crisi che Putin potrebbe non riuscire più a gestire da solo. Lo scenario è stato tracciato da Reuters e rilanciato dal portale ucraino Dialog.ua: la valuta russa è appesa a un filo, minacciata da un mix letale di crollo dei prezzi del petrolio, sanzioni internazionali, spese belliche fuori controllo e un sistema finanziario sempre più fragile.
IL CROLLO DEL RUBLO
Secondo fonti vicine al governo russo, la Banca centrale starebbe valutando una svalutazione pilotata della valuta nazionale, nella speranza di ottenere un vantaggio competitivo per le esportazioni e mettere un argine al crescente deficit. Ma è una misura disperata, con effetti devastanti per i cittadini russi. Se il tasso di cambio dovesse superare i 100 rubli per dollaro - e alcune simulazioni governative parlano già di 110-120 rubli - l’inflazione potrebbe diventare incontrollabile. I beni importati aumenterebbero di prezzo in modo vertiginoso, rendendo inaccessibili per milioni di persone automobili, tecnologia, farmaci e perfino alcuni generi alimentari. La gente comune paga il prezzo della guerra. Per il cittadino russo medio, l’effetto è semplice e brutale: impoverimento rapido e irreversibile. Una vacanza all’estero? Inimmaginabile. Acquistare un frigorifero nuovo? Un lusso. Andare in farmacia? Più costoso ogni giorno. È l’altra faccia della guerra in Ucraina: non quella che si combatte con i droni e l’artiglieria, ma quella che logora i portafogli, le pensioni, i salari. I sussidi statali sono sempre più scarsi, mentre le tariffe sui servizi pubblici aumentano e l’accesso al credito si restringe.
BILANCIO IN ROSSO
Il cuore del problema è nel crollo delle entrate petrolifere, da sempre la principale fonte di sostentamento del bilancio federale russo. Il greggio russo Urals, da 70 dollari a barile a gennaio, è sceso a 50 dollari a maggio. Il risultato? Il gettito fiscale legato al settore energetico è calato del 33% solo nel mese di maggio. Nei primi quattro mesi dell’anno, le entrate fiscali derivanti da petrolio e gas sono crollate del 10%, facendo esplodere il deficit previsto per il 2025: da 1,2 trilioni di rubli stimati a inizio anno a oltre 3,8 trilioni. Una voragine. Il governo ha già corretto le sue previsioni, ma neanche i numeri aggiornati bastano più. Le entrate non coprono più le uscite, soprattutto a causa delle spese militari e del sostegno alle grandi aziende statali in crisi. L’ultimo salvagente era il Fondo nazionale di previdenza sociale (NWF), creato nel 2008 per fronteggiare le emergenze. Oggi, quel fondo è quasi a secco. In tre anni di guerra, Mosca ha bruciato oltre due terzi delle sue risorse liquide: circa 76 miliardi di dollari su 115 disponibili sono stati spesi per coprire il buco di bilancio e finanziare le operazioni militari. Secondo le stime più aggiornate, nel NWF resterebbero poco più di 40 miliardi di dollari, quasi interamente in yuan cinesi e oro, strumenti poco spendibili sul mercato interno e ancora meno utili se la crisi dovesse esplodere. La Russia si avvicina a un punto di non ritorno: senza nuove fonti di finanziamento, senza investitori esteri, senza fiducia nei mercati, la tempesta sarà totale.
INFLAZIONE FUORI CONTROLLO
Gli economisti più critici parlano apertamente di scenario “argentina-style”: inflazione galoppante, perdita di valore dei risparmi, corsa al cambio, paralisi dei consumi. Una situazione esplosiva in un Paese dove il dissenso è represso, ma il malcontento serpeggia anche tra le élite. Secondo le simulazioni interne del ministero delle Finanze russo, se il prezzo del petrolio non risalirà oltre i 60 dollari al barile entro l’autunno, il rublo perderà almeno il 30% del suo valore reale, con conseguenze drammatiche per il potere d’acquisto delle famiglie. E qui si apre una nuova domanda, sempre più pronunciata nei corridoi diplomatici occidentali: quanto potrà ancora reggere Vladimir Putin?
Se la guerra continua e la crisi economica si aggrava, Mosca potrebbe trovarsi costretta a un riposizionamento strategico. Fonti diplomatiche a Bruxelles e Washington iniziano a sussurrare quella che fino a poco fa sembrava un’eresia: “Putin potrebbe essere costretto a trattare”, non per motivi militari, ma per sopravvivenza economica. Una trattativa, però, che arriverebbe dalla debolezza, non dalla forza. Con un rublo svalutato, riserve esaurite, un popolo impoverito e un’élite imprenditoriale ormai logorata.
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