“Viaggiate, che poi diventate razzisti”, recita un vecchio adagio. Viaggiare per studiare, ancor di più, dovrebbe essere una delle cose più sacre al mondo. In ogni civiltà, i giovani e la conoscenza sono le fondamenta su cui si costruisce il domani. Quando una nazione smette di proteggere, accogliere e nutrire i suoi studenti – specialmente quelli che arrivano da lontano per contribuire con idee nuove – è come se cominciasse lentamente a scavarsi la fossa.
Una nazione figlia del genio “straniero”
Per quanto violenta, in declino, complessa possa apparire oggi la nazione americana, il dato di fatto della storia è che gli Stati Uniti sono nati dall’immigrazione e hanno fatto dell’immigrazione la loro forza, il nucleo centrale della loro potenza. Erano solo 4 milioni per l’82% d’origine inglese gli abitanti degli Stati Uniti censiti per la prima volta nel 1790, inclusi quasi 800mila schiavi. Dal 1820 al 1870 entrarono in America circa 6 milioni di immigrati che hanno fatto degli Stati Uniti ciò che sono oggi. Così come tutti quelli che sono venuti dopo.
In quasi 250 anni di storia sono i numeri a mettere in evidenza come gli Usa siano stati alimentati da genti provenienti da una serie di altrove lontani dal Nuovo Continente. Ognuna di quelle ondate migratorie ha assolto particolari funzioni nella crescita americana. Gli immigrati di fine Ottocento furono la manodopera generalista per lo sviluppo industriale, quelli degli anni Trenta e Quaranta, in fuga dall’Europa, irrobustirono le élite politiche e culturali; i migranti messicani del Dopoguerra infoltirono le schiere del settore agricolo; dagli anni Ottanta, gli immigrati asiatici accrescono la potenzialità scientifica e tecnologica americana. Buona parte di questi immigrati sono stati studenti che sognavano di studiare in America, per restarci o per imparare e tornare indietro poco conta. “Senza i suoi studenti internazionali, Harvard non sarebbe Harvard”: è quanto ha affermato la più antica e ricca università privata degli Stati Uniti nella sua causa contro l’amministrazione Trump, che sta cercando di impedire all’istituzione d’élite di iscrivere migliaia di studenti internazionali.
La crociata contro gli studenti internazionali
La “forza attrattiva” delle università americane non è mai stata solo un fatto culturale o simbolico: è stata una precisa strategia di potere, perseguita con coerenza per gran parte del XX secolo. Paradossalmente, la logica che oggi anima questa crociata anti-universitaria in nome di una caccia alle streghe in salsa new cold war ricorda proprio ciò che condannò il blocco sovietico alla stagnazione: durante la Guerra Fredda – va ricordato ai deboli di memoria – uno dei fattori decisivi della vittoria americana fu proprio la forza del proprio sistema universitario, usato anche come mezzo di soft power.
L’amministrazione Trump ha recentemente revocato la certificazione del programma Student and Exchange Visitor Program (SEVP) dell’Università di Harvard, impedendole di accettare nuovi studenti internazionali e mettendo a rischio lo status legale di quelli già iscritti. La decisione è stata giustificata con accuse di antisemitismo e presunte influenze straniere all’interno dell’ateneo. Harvard ha risposto presentando una causa contro il governo, sostenendo che tali misure violano l’autonomia accademica e i diritti costituzionali. Parallelamente, il Dipartimento di Stato, guidato da Marco Rubio, martedì scorso, ha ordinato alle ambasciate e ai consolati statunitensi di sospendere le interviste per i visti F, M e J, utilizzati da studenti internazionali. Questa sospensione è parte di un piano più ampio che prevede controlli approfonditi sui profili social dei richiedenti, con l’obiettivo dichiarato di prevenire l’ingresso di individui con legami con attività criminali o estremiste.
Il “valore” degli studenti stranieri negli Usa
A novembre, il rapporto Open Doors 2024 sugli scambi educativi internazionali ha annunciato che il numero totale di studenti internazionali nei college e nelle università degli Stati Uniti ha raggiunto il massimo storico di oltre 1,1 milioni di studenti per gli anni 2023 e 2024. Un numero di cui la nazione dovrebbe giovarsi e rallegrarsi: scegliere un Paese che non è il proprio, affidarsi giovane all’educazione “straniera” è il più grande atto di fiducia che un ragazzo o una ragazza possa compiere: andarsi a prendere a migliaia di chilometri da casa qualcosa che casa propria non può offrire. È un atto di fiducia. Un’adozione. Ma soprattutto, si tratta di un investimento. Che dovrebbe essere un campo in cui Trump-il tycoon dovrebbe essere dieci spanne sopra agli altri. I legami che si creano oggi tra studenti statunitensi e internazionali sono, infatti, la base delle relazioni future nel mondo degli affari e del commercio, della scienza e dell’innovazione, e delle relazioni governative.
Secondo i dati del 2023-2024 di Open Doors, l’India è il Paese che ha inviato negli Stati Uniti il maggior numero di studenti internazionali per l’istruzione superiore, con oltre 331.000 studenti iscritti. Si tratta dello stesso Paese che nelle ultime ore, attraverso la propria ambasciata negli Usa, consiglia ai propri studenti di non saltare le lezioni per evitare di incorrere in procedimenti di espulsione o simili. La Cina è il secondo Paese d’origine con oltre 277.000 studenti, di cui circa 123.000 laureati, che studiano negli Stati Uniti. È la nazione leader per numero di studenti universitari e non laureati inviati negli Stati Uniti. Insieme, India e Cina rappresentano più della metà di tutti gli studenti internazionali nel Paese.
Gli studenti internazionali non arricchiscono solo il tessuto accademico delle università americane: il loro impatto si estende ben oltre i confini del campus, generando decine di miliardi di dollari per l’economia nazionale ogni anno. Secondo i dati pubblicati dalla NAFSA – Association of International Educators, oltre 1,1 milioni di studenti stranieri iscritti negli istituti statunitensi durante l’anno accademico 2023–2024 hanno contribuito con 43,8 miliardi di dollari al PIL americano, sostenendo più di 378.000 posti di lavoro in vari settori.
Il calo delle iscrizioni e la miopia strategica di Washington
Rinunciare al potenziale degli studenti internazionali significa indebolire la preparazione globale degli studenti americani, rallentare la crescita e sottrarre nutrimento a settori strategici come la ricerca scientifica e l’innovazione. Guardando al primo trimestre del 2025, alcuni dati suggeriscono un calo delle iscrizioni di studenti internazionali, con una diminuzione dell’11,33% da marzo 2024 a marzo 2025. Si tratta di un calo significativo, che potrebbe avere un impatto sulle finanze delle università e sull’economia globale della conoscenza. Sebbene gli Stati Uniti rimangano una destinazione popolare, vi sono preoccupazioni circa la stabilità del contesto politico per gli studenti internazionali. Alcuni studenti stanno prendendo in considerazione paesi ospitanti alternativi a causa di potenziali problemi di immigrazione e restrizioni sui visti. Questa è già di per sé una sconfitta.
È noto, ad esempio, che oggi gli Stati Uniti formino meno ingegneri e tecnici rispetto a Paesi come la Russia. Una carenza che, nel contesto geopolitico attuale, si traduce in una limitata capacità di riconvertire l’apparato industriale per sostenere la produzione militare — una difficoltà evidente nel supporto all’Ucraina. In settori come l’informatica, l’intelligenza artificiale e l’ingegneria, il ruolo degli studenti provenienti da Paesi asiatici è stato semplicemente decisivo. È grazie a questo capitale umano importato che gli Stati Uniti hanno potuto dominare la scena globale dell’innovazione. Alle minacce di ban agli studenti stranieri si aggiungono poi quelle dei tagli previsti nella manovra finanziaria promossa da Trump, attualmente in discussione al Senato. La proposta prevede una significativa riduzione dei fondi pubblici destinati alla ricerca scientifica. Se approvata, porterebbe gli Stati Uniti sempre più lontani dai livelli di investimento di Cina ed Europa — proprio nel momento in cui la competizione economica globale entra in una nuova fase di intensità.
“The Goliath of totalitarianism will be brought down by the David of the microchip”, disse una volta Ronald Reagan, tanto per citare uno che non la toccava piano come Trump. E come si producono i microchip senza l’apporto dell’ingegno del resto del mondo? Einstein non avrebbe avuto la possibilità di continuare a essere Einstein se gli Stati Uniti non avessero saputo accoglierlo. Come lui, decine di scienziati, innovatori e premi Nobel arrivarono in America perché trovarono un sistema che investiva nel sapere. Ogni ostacolo posto oggi agli studenti internazionali è un passo indietro rispetto a quella tradizione. E un rischio reale di perdere, domani, i prossimi Einstein.
Nessun commento:
Posta un commento