In un Medio Oriente da sempre instabile, l’avversario che si sente storicamente minacciato di distruzione stavolta ha deciso di imboccare la strada della guerra per ridisegnare la geografia politica dell’area. Vincere o morire. Per Israele l’attacco all’Iran è la partita della vita, il percorso verso un nuovo equilibrio del Medio Oriente, una ‘New age’ con l’ombrello americano nel ruolo di garante. Dunque la strage di figure istituzionali, scienziati del nucleare e vertici dell’esercito e dell’intelligence fa parte di una fase che precede un’evoluzione definitiva sul piano bellico, ma anche politico. Nelle intenzioni di Israele si è giunti all’Armageddon, la battaglia finale, tra le forze del bene e quelle del male. Che farà l’Iran al di là dalle attuali ondate quotidiane di missili che non possono essere eterne? Per ora il regime resiste, si mostra solido. Molti analisti però sono convinti che Benjamin Netanyahu voglia far fuori Khamenei, mentre si parla di una possibile successione con figlio Mojtaba. Può farcela a breve? Possibile, anche se la leadership teocratica per ora si mostra ancora radicata, con l’appoggio della popolazione contaminata dal fanatismo religioso.
Il Paese degli ayatollah, che pure continua promettere vendetta, tremenda vendetta, si trova comunque davanti a un bivio. Deve decidere se insistere sul conflitto, invocando il martirio, oppure rinunciare all’opzione nucleare e alle dinamiche di guida a distanza dei proxy, indeboliti anche se non battuti: i miliziani di Hamas a Gaza, Hezbollah in Libano, gli Houthi in Yemen. Se cambia lo scenario in Iran ovvio che anche i guerriglieri diventano armi spuntate...
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