Servono genitori felici. Non è uno slogan, ma una speranza per contrastare la denatalità e la conseguente riduzione della popolazione in Italia. Per permetterlo devono essere generate condizioni sociali e lavorative migliori per i giovani che i figli li vorrebbero fare: politiche per la famiglia e abitative decise ed efficaci, lavoro dignitoso per le donne, immigrazione di qualità. I dati relativi al 2024 e diffusi da Istat certificano un nuovo drastico calo.
«Il tasso di fecondità totale italiano – spiega Lorenzo Bandera di Percorsi di secondo welfare – si è abbassato ulteriormente. È arrivato a 1,18 figli per donna e il paragone col tasso di sostituzione, la differenza fra nati e morti, è impietoso: per mantenere un equilibro fra nati e morti il tasso di fecondità dovrebbe arrivare a 2.1». La tendenza a fare meno figli non riguarda solo Italia ed Europa, ma è globale: negli ultimi sessant’anni i tassi di fecondità dei Paesi Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, si sono dimezzati. «È frutto – aggiunge Bandera – di una serie di diversi fattori, ma è una realtà con cui fare i conti. L’Italia è tra i Paesi coi valori più bassi: dopo decenni di denatalità, non solo perché da tanti anni le donne italiane hanno pochi figli, ma anche perché di conseguenza ci sono meno donne in età fertile».
Non è solo una scelta, ma anche il risultato derivante dall’insieme di tutti questi fattori. Una tendenza destinata a proseguire. «Tuttavia nei Paesi con politiche più generose come l’Ungheria – dice ancora Bandera – i tassi di fecondità sono cresciuti nel breve termine. Influiscono scelte legate al lavoro, alla precarietà, all’indipendenza economica. Lo Stato deve pensare a un futuro di bassa natalità dove il sistema rimanga in equilibrio nonostante tassi diversi da quarant’anni anni fa».
Il declino della natalità non può essere invertito, ma va affrontato e prevenuto. «Fra i Paesi Ocse – spiega Stefano Scarpetta, direttore per l’occupazione, il lavoro e gli affari sociali dell’Ocse – esistono differenze molto significative dei tassi di fertilità. Differenze culturali e sociali. Ma a impattare sulla possibilità delle famiglie di avere bambini ci sono anche i fattori legati alle politiche. E questo porta a dire che le politiche per le famiglie svolgono un ruolo importante». La ricetta magica non esiste, ma c’è un insieme di fattori che possono aiutare: politiche familiari, abitative, accesso agli asili nido per tutti, congedi parentali significativi per la madre ma anche per il padre, facilitando il rientro di lei nel mercato del lavoro. E serve dare continuità a questo perché cambino i comportamenti. Scarpetta spiega: «Una politica generosa come quella adottata in Francia ha portato a un tasso di fecondità dell’1,6% con un calo molto inferiore rispetto ad altri Paesi. Perché tra numero di figli e lavoro c’è una relazione: nei Paesi in cui si partecipa di più al mercato del lavoro si hanno tassi di fertilità più elevati». Dalle statistiche emerge che attorno ai 30-35 anni si apre una voragine perché le donne si assentano temporaneamente per avere figli.
«Ma in alcuni Paesi come Francia e Svezia il divario si chiude abbastanza presto – dice ancora Scarpetta – mentre in Italia non si chiude più. Le previsioni dicono che in Italia si perderà più del 35% della popolazione in età lavorativa, in Francia pochi punti percentuali». Eppure qualcosa può essere fatto.
«Perché l’inversione di tendenza - secondo Alessandro Rosina, docente di Demografia e statistica sociale all’Università Cattolica – non è da escludere. Lo scenario mediano contempla un aumento della fecondità italiana nei prossimi decenni, ma se rimane sotto la soglia europea non è in grado di far aumentare le nascite controbilanciando la riduzione dei potenziali genitori. Dobbiamo mettere i giovani nelle condizioni di diventare autonomi: salari adeguati e politiche abitative. Se non andiamo in questa direzione continueremo ad avere giovani che posticipano la scelta del primo figlio». Finché vivono coi genitori mantengono una certa qualità della vita, ma diventando indipendenti perdono benessere. Soprattutto le donne.
«È fondamentale – spiega ancora il professor Rosina – ridurre il gap occupazionale e salariale di genere e conciliare tempi di vita e lavorativi. Migliorando le opportunità delle donne si rafforza anche la possibilità di avere figli per chi li desidera. Questo vale anche per la componente straniera. Se vogliamo attrarre immigrazione di qualità servono adeguate condizioni di lavoro e integrazione. Migliorare la condizione di giovani, donne e immigrati consente di ridurre gli squilibri attuali nella forza lavoro, ma favorisce anche una inversione di tendenza delle nascite, spostando l’Italia verso lo scenario alto».
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