Si è letto nelle passate settimane, subito dopo la presentazione dei cartelloni di alcuni teatri, primo fra tutti La Scala, che ciascuno deve cercare e trovare la propria 'identità'.
Il Governo di Destra, sovranista senza sapere cosa sia e cosa voglia dire per un teatro, ha chiesto che in Italia trionfi la italianità nelle grandi istituzioni, e per questo ha fatto fuori Lissner, da Napoli e Meyer da Milano, dove ha piazzato Ortombina (campione di italianità? campione tout court? di che?), il quale, a sua volta, per difendere la italianità del teatro ci ha nominato Chung invece che Gatti, candidato della vigilia e meritevole.
Poi i giornali, archiviata la italianità calpestata da Chung ma perseguita dal Governo, che comunque è restato muto, hanno scritto che la Scala cerca anche una sua identità oltre quella ortombiniana.
E cioè quale repertorio coltivare, se solo italiano, o il grande di tutti tempi e di qualunque paese. Se deve mantenere viva una tradizione interpretativa 'italiana', come ogni giorno va predicando e difendendo Riccardo Muti, che si appella al suo maestro Votto, toscaniniano.
In questo senso la negazione della tradizione e del suo valore da parte di Boulez è fuori posto. Perchè 'tradizione interpretativa' non vuol dire soltanto, eventualmente, vizi e incrostazioni inutili ed anche dannose che nel melodramma incidono sulla prassi esecutiva più che nel repertorio sinfonico e cameristico.
Chi va alla Sala, specie quando in cartellone c'è uno dei nostri grandi operisti, deve poter sentire l'interpretazione più vicina alle fonti e la tradizione che ne deriva. E per questo soprattutto ci va.
Dunque almeno la Scala, oltre il repertorio internazionale, la sua identità in proposito ce l'ha.
Certo c'è poi il problema, riproposto ogni volta che si rappresenta un classico, o un testo qualunque, della regia. Problema irrisolto ; ed anche un secondo che riguarda la 'commissione e presentazione' di opere nuove che un grande teatro non deve mancare di fare. E così facendo la identità della Scala, che forse Ortombina va cercando chissà dove, è bella che individuata. Magari riuscisse a realizzarla. sarebbe già più che sufficiente.
Ma su tutto e sempre l'identità della Scala di Milano deve essere la qualità altissima nella scelta di direttori interpreti e registi.
Sulla venezianità, napoletanità e... torneremo un'altra volta, perchè forse, proprio parlando di Venezia e Napoli una loro specifica identità quei due teatri l'avrebbero, a differenza - forse - di Milano.
Certo perseguendo ad ogni costo le regie 'innovative' , senza le quali il teatro sarebbe morto- come va farfugliando Fuortes, che la musica non la conosce e forse neanche gli interessa - non si crea nessuna identità. Semmai scompiglio, allo scopo di uscire sui giornali, che comunque sono sempre più assenti, salvo i casi in cui lo fanno a pagamento ( come nei casi delle pagine Eventi') e che, alla fin fine, non se li fila più nessuno, diventati poco credibili. E le ragioni di tale mancanza di credibilità sarebbero tante e impegnative da esaminare. A cominciare dai tanti conflitti di interesse fra critici musicali e istituzioni.
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