Peggio delle grandi navi in laguna, dei coriandoli a carnevale, di una bella donna che esagera nel mostrare. La sua Venezia è un implacabile bianco e nero, una felicità modesta. Non il set di una sceneggiata sfavillante su cui posa gli occhi il resto del mondo. Il matrimonio di Jeff Bezos non lo riguarda (“non mi interesso più di cose mondane”) ma sta dalla parte dei veneziani che lo vedono come l’ennesima traduzione sbagliata. Gianni Berengo Gardin, classe 1930, uno dei grandi della fotografia italiana, a Venezia ha lasciato il cuore. È la città in cui non è nato ma ha trascorso gli anni più belli, a lei era dedicato il primo libro nel 1965, Venise des Saisons, racconto emozionante di un luogo che forse non c’è più. La rivede nella controra asfissiante di Milano, al fondo di un sogno: “È fragilissima, va maneggiata con cura”.
Però, maestro, non pensa che un matrimonio di gente miliardaria faccia meno danni del turista con il panino nello zaino, di una scolaresca?
“Dipende da cosa si intende per danno. Qual è il suo contrario? Portare soldi e fare felice qualcuno? Accendere i riflettori su una città già fin troppo illuminata? Diciamo allora che eventi come questo non corrispondono al mio modo di vivere. Sono solo la versione più facoltosa del turismo becero e ignorante che alla fine si rivela una forma di sfruttamento”.
Il suo è un giudizio morale sui troppo ricchi?
“I ricchi proprio non si riesce a educarli, diventano padroni di tutti i posti che conquistano. Ma faccia finta di non avere sentito. Le mie denunce sociali le ho sempre fatte con il teleobiettivo, a cominciare dai reportage nei manicomi che aiutarono a fare passare la legge Basaglia. Spiegavo ai malati perché volevo fotografarli, aspettavo la loro approvazione. E poi sono arrivati gli zingari, che mi hanno insegnato la generosità, la poesia, la musica”.
Cosa rimprovera a Jeff Bezos? In fondo è un uomo innamorato che può permettersi di sposarsi nella città più bella del mondo.
“Ma ha visto in che stato è il mondo? Un buco nero, la Fossa delle Marianne della speranza. Chi veramente può fare qualcosa per cambiarlo invece che andare a fare sceneggiate a Venezia dovrebbe interessarsi a chi subisce la violenza e muore di fame. Questo sì è un giudizio morale. Non solo su Venezia e non solo su Bezos”.
Anche lei si è sposato lì.
“Nella chiesa di Santa Maria dei miracoli, era il 1957. Sono ligure ma ho abitato a Venezia fin da bambino, andavo dalle zie che avevano un’altana affacciata su piazza San Marco. Sono stato educato al bello fin da piccolo. Ecco, forse per avvicinarsi alla bellezza ci vorrebbe un minimo di preparazione. Venezia aveva 150mila abitanti, oggi ridotti a 50mila. So che è impossibile, ma per salvare la sua essenza bisognerebbe riportare indietro tutti coloro che sono fuggiti a Mestre. Va ripopolata di indigeni, non di turisti, per quanto abbienti. Vede che non ce l’ho con Bezos?”.
Dicono che i veneziani veri si lamentino sempre e a prescindere.
“È fragile e fumantino chi si sente rubare l’anima. Una nave grande come un palazzo offende, l’ostentazione fa arrossire chi sceglie per carattere la vita in bianco e nero”.
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