Una decina di anni fa, all'epoca dei primi numeri di Music@ - la nostra amata rivista ridotta ora a Musica+ - affrontammo il problema dei 'guadagni' dei musicisti - categoria tuttavia molto complessa ed articolata - mettendo in copertina un giovane violinista che suonava per strada con la custodia dello strumento aperta a terra, a mò di cappello per l' elemosina.
Dall'inchiesta, all'interno della rivista, emergeva un duplice realtà. E cioè che, coloro i quali, per loro fortuna e merito soprattutto, erano inquadrati nelle orchestre lirico-sinfoniche nazionali, non se la passavano poi tanto male. Guadagnavano tanto? Poco? Più dei loro colleghi europei? Meno? Inutile tornare sull'argomento. Perchè ciò che più ci premeva illustrare all'epoca era la situazione dei musicisti 'giovani' , non ancor inquadrati in nessuna di quelle strutture stabili, che in Italia sono una quindicina, e sulla estrema precarietà del loro lavoro.
Da quella immagine che noi ponemmo in copertina parte l'inchiesta pubblicata ieri sul 7 del Corriere della Sera, ora diretto da Beppe Severgnini, ed affidata a Rita Querzè, che dovrebbe essere una giovane giornalista, collaboratrice del settimanale, dunque precaria ella stessa, e non del settore musicale.
Fare i conti in tasca ai musicisti, anche a quelli stabili o stabilizzati, fino a quando - e la data attesa con grande trepidazione è quella del 31 dicembre 2018 - lo saranno , nelle Fondazioni lirico- sinfoniche, non è facile. Il 7 pensa di poter affermare che un musicista italiano, a differenza di molti suoi colleghi europei, ad inizio di carriera guadagna quasi quanto un metalmeccanico, o poco più. Naturalmente, considerato che le Fondazioni lirico sinfoniche italiane, pur inquadrate con il medesimo contratto nazionale di lavoro ( vi consigliamo tuttavia di non leggerlo, capireste molto poco: è lunghissimo, prevede infiniti livelli di inquadramento e stipendiali, e arrivati all'ultima pagina non saprete quando guadagni un musicista stabile in Italia) hanno anche contratti integrativi delle singole fondazioni, le loro buste paga sono differenti e talvolta molti distanti le une dalle altre e tutte da quelle del metalmeccanico.
Quelle della Scala - ovvio - sono al vertice, ma non si capisce perché siano altrettanto alte, ad esempio, quelle dell'Opera di Firenze ( non sarà anche questa la ragione dello stratosferico buco di bilancio dell'ente fiorentino che ora il neo sovrintendente, Chiarot, dovrà cercare di colmare?), mentre sono basse quelle della Fenice come anche quelle dell'Opera di Roma ecc... ( le tabelle illustrative le abbiamo prese da un articolo di Mattioli per La Stampa). Almeno così erano fino a qualche tempo fa.
Leggendo, anche se di fretta, il Contratto di lavoro nazionale, l'ultimo ma di molti anni fa, vi scorgiamo infiniti appigli per altri emolumenti, indennità di vario genere, da quella per la 'mensa' a quella per lo 'strumento' proprio, a quella per spettacoli all'aperto a quella per le tournée, a quelle per il matrimonio ( e chi si sposa più d'una volta ha sempre diritto a quel premio/indennità che è pari quasi ad una mensilità?).
Ciò che stupisce e sorprende nell'articolo del 7, è il numero di mensilità che i musicisti inquadrati percepiscono ( o percepirebbero?) all'anno, e cioè 16. Non tredici come i comuni mortali, e neanche 14 come alcune categorie di privilegiati e di pensionati poveri, ma sedici addirittura. Come si arriva a 16? Tredicesima, quattordicesima, cui vanno aggiunte altre due mensilità che figurano nel contratto come premi vari di produzione e che, in Italia, si danno a tutti, anche ai dipendenti di istituzioni che hanno bilanci in profondo rosso; perciò, senza dire che quel rosso l'hanno creato i lavoratori, una qualche parte l'hanno avuto anch'essi.
Da 12 a 16 il passo non è breve e neppure normale. E' come se, a livello di stipendio, l'anno per i nostri orchestrali avesse un quadrimestre in più: quattro e non tre, come il calendario.
Se qualcuno sapesse spiegarci le 16 mensilità ci farebbe un enorme piacere, a noi ed ai lettori.
Perciò è evidente che le 16 mensilità spalmate sui mesi dell'anno, che sono 12, fanno salire un bel pò il compenso mensile. E dunque gli stipendi dei primi che vengono definiti 'come quelli dei metalmeccanici' non sarebbero più equiparabili ai secondi. E perciò non ci preoccuperemmo più di tanto dei musicisti stabilizzati.
Destano invece seria preoccupazione i musicisti, freschi di studi, capaci e meritevoli che non sanno a quale santo votarsi, per intraprendere una carriera musicale che non sia quella del solista ( la notissima musicista che dirige il Conservatorio di Milano invita a non farsi illusioni: si tratta di una carriera quasi impossibile! bella prospettiva), dove pure, a seconda della notorietà e del settore ( i solisti di canto ed i direttori guadagnerebbero enormemente di più dei solisti strumentali; fra i quali i grandi pianisti guiderebbero la classifica dei compensi) ci sono dislivelli di compenso inimmaginabili.
All'inizio sembrerebbero tutti sfruttati, come forse tutti i giovani del mondo che desiderano fare sul campo un apprendistato non retribuito: il guaio è che tale situazione, chi regge le istituzioni la vorrebbe perpetrata nel tempo e forse anche all'infinito ( le cosiddette orchestre ' di formazione' sono da includere in questa casistica?).
E i giovani di cosa vivono? Di matrimoni, serate, improvvisazioni per strada? Domandatelo a chi queste cose le vive sulla sua pelle, a tutti quelli che conoscete, ma non a quella giovanissima direttrice - come ha fatto il 7- che già deve ringraziare il cielo se sale sul podio, data la sua evidente inesperienza. E non si citi il caso di Gustavo Dudamel, che è e resta comunque una eccezione.
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