Noi il Festival non lo aspettiamo, non lo abbiamo mai aspettato, a differenza di tanti altri italiani, ma siamo ancora oggi costretti, per non essere accusati di 'abbandono del talamo' a sorbircelo, almeno in parte, perchè, a notte inoltrata, avevamo le dita anchilosate a furia di battere sulla tastiera del computer.
Non tanto, però, da impedirci di vedere lo 'spacco' vertiginoso e la 'strizzata' pettorale di una giornalista sportiva di Sky, venticinquenne, bionda avvenente, Diletta Leotta. La quale è andata da Conti a mostrasi, più che a parlare della sua disavventura: di quelle foto private, rubate e diffuse in rete, mai più sexy di quanto non fosse ieri sera, svestita da gran sera. E la Balivo, che a noi fa venire l'orticaria e c'ha la lingua lunga, gliele ha cantate di santa ragione. Bella, ti vai a lamentare in tv perché hanno rubato delle tue foto private, immaginiamo non caste, e poi ti mostri all'Ariston, in formato più pruriginoso ed ammiccante, a causa di quello spacco inguinale che tenevi bene aperto, allargandotelo ogni volta che lo spacco biricchino provava a chiudersi? Suvvia, c'era una bella differenza con quell'altro spacco, criticatissimo ed agognatissimo, di Belen. Altro che. Belen è una soubrette, mentre tu Diletta sei una giornalista; e poi tu ce l'hai la farfallina, come Belen? Noi, nonostante i tuoi reiterati sforzi, non l'abbiamo vista.
Aggiungiamo e precisiamo che Diletta Leotta, vestito a parte, ha tutto il diritto di denunciare - e bene ha fatto - la violazione della sua privacy, e non è che un vestito un pò sexy, come il suo possa far riemergere la vecchia infame teoria che diceva: 'se l'è cercata'. Niente di tutto questo. Resta solo il fatto che Lei, ostentatamente ha armeggiato con quel suo spacco vertiginoso, e basta. Ci viene da aggiungere solo che è eccessivamente spigliata - talento naturale - e gioca troppo a fare la pin-up. Ma ha solo 25 anni , crescerà.
Noi però, dopo aver omaggiato le grazie, bele -n in vista, della Diletta, passiamo a dirvi qualche nostra impressione sul festival, impressione vecchia di anni, almeno da quando, dopo la maggiore età, lo seguiamo, saltuariamente in tv.
L'impressione generale che se ne ha, appena si fa un pò di attenzione, è di un Sanremo, fiera e festa del dilettantismo. Provate ad osservare, cominciamo da loro, i direttori - accenneremo, poi, anche al Vessicchio scomparso. Dirigono con le cuffie, per non sentire ciò che esce dall'orchestra e per ascoltare ciò che gli viene ordinato da chi dietro le quinte, nascosto agli occhi di tutti, dirige veramente.
Il fenomeno, in tv, non è nuovo, se ci si ricorda di quel centinaio di lolite, che si muovevano all'unisono, capeggiate da Ambra, la quale era telecomandata da Gianni Boncompagni, attraverso auricolare.
E non è nuovo neanche nella musica, in senso stretto. Alla prima, alla Fenice, negli anni Cinquanta (1951), della Carriera di Strawinsky, sul podio, visibile agli occhi del pubblico, c'era il compositore, ma a dirigere l'opera, ben nascosto agli occhi indiscreti del pubblico, c'era un direttore vero, Ferdinand Leitner che aveva concertato l'opera e che diresse, ufficialmente, senza il sotterfugio della prima, le succesive repliche dell'opera.
Ma in quel caso la ragione era esattamente opposta a quella sanremese. L'opera era troppo difficile da dirigere, perfino per lo stesso compositore, e perciò ci si rivolse ad un vero direttore, senza togliere a Strawinsky- come si sa abbastanza atteno ai soldi - anche il compenso da direttore, oltre che di autore.
A Sanremo, se uno guarda i direttori, si accorge che sono lì nel ruolo di manichini, imbarazzanti ed imbarazzati, incapaci perfino di dare chiaramente il segnale dell'inizio o della fine. Loro battono solo il tempo, secondo le indicazioni che qualcuno, che ci capisce più di loro, impartisce via auricolare. E così è svelato l'arcano di quelle vistose cuffie, che in realtà nascondono microscopici auricolari.
Che il lavoro 'professionale'- che deve necessariamente esistere - a Sanremo sia svolto da altri, lo dimostra anche l'assoluta uniformità strumentale delle canzoni che sembrano tutte scritte dallo stesso autore, da una all'altra variando solo la melodia e qualche volta anche il ritmo. E ciò perché gli 'arrangiatori', gli stessi per tutti - come si dice nella musica leggera sanremese, o 'strumentatori' come si direbbe in altri campi musicali - sono altri, sanno fare il loro mestiere e ogni anno devono dare veste strumentale a quella linea melodica con accompagnamento: um pa pa, che dai più viene inviato ai selezionatori.
Per questa ragione, si parla tanto di Beppe Vessicchio (cieco da un occhio solo in un mondo di ciechi totali) - direttore, arrangiatore, compositore come si legge nel suo curriculum, dove manca qualunque informazione sui suoi studi - e di lui si nota l'assenza al festival di quest'anno.
Lui è di quelli che ci capisce un pò, e la sua assenza serve anche a non far sfigurare tutti gli altri. Ma la ragione ufficiale della sua assenza è la mancata accettazione al festival di alcuni brani da lui strumentati; secondo alcuni invece alla base della sua assenza ci sarebbe la contestazione di Vessicchio nei confronti della Rai che non gli avrebbe pagato alcuni suoi arrangiamenti, in uso al festival. Ma forse anche un'altra ragione, di opportunità, ci potrebbe essere, come quella di aver lavorato nella factory di Maria, Amici, dalla quale provengomo alcuni cantanti ed anche la copresentatrice del festival. Un pò troppo, per non considerare anche la possibile contestazione di conflitto di interessi.
Comunque la sua apparizione Vessicchio la farà a Sanremo, ma per parlare della sua nuova attività, quella di coltivatore diretto, raccontata nel suo recente libro: La musica fa crescere i pomodori. Poi in estate si vedrà a L'Aquila, dove lavorerà con l' Istituzione Sinfonica Abruzzese, in una tournée nella regione, dirigendo colonne sonore. E qui si aprirà una altro capitolo nella vita professionale di Vessicchio, dilettante di genio, che si è fatto da solo.
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