Ieri sera, Villa Aurelia, sede di rappresentanza dell'Accademia Americana a Roma, suggestiva nella sua illuminazione, ha accolto un bel gruppo di Americani residenti a Roma, ma anche di Italiani per una bella festa. Tanto bella da strapparci al caldo tepore domestico per raggiungerla.
Sbaglierebbe però chi pensasse che la festa intendeva celebrare il primo contatto telefonico fra il nuovo presidente americano ed il nostro premier . Niente a che vedere con la nuova presidenza americana, che anzi, a capire tutto il chiacchericcio prima della festa vera e propria, si sarebbero sicuramente ascoltati commenti non molto lusinghieri in proposito, benché non possiamo giurarci, e ci limitiamo a dedurlo solo dall'aria 'antitrumpiana' dei presenti.
La festa era musicale, e per questo ci eravamo portati sul Gianicolo, attraversando quasi tutta Roma. In verità c'era anche un'altra ragione, benché secondaria, anzi due. La voglia di tornare in quella bella villa, nella quale, alcuni decenni fa, per concessione dell'Accademia riunimmo la giuria di 'Piano Time', in occasione di un concorso di composizione, presieduta da Elliott Carter, allora ospite dell'Accademia.
La seconda ragione era costituita dalla presenza alla festa di ieri di Majella Stockhausen, pianista di grandissima qualità, figlia del noto compositore, e spesso complice delle sue avventura musicali, alla quale volevamo far dono, per l'archivio del padre, di un gruppo di lettere che il compositore ci aveva scritto negli anni in cui dirigevamo 'Piano Time', una delle quali, lunghissima e particolarmente interessante, in risposta a molti compositori giovani italiani che dalle pagine di 'Piano Time', avevano criticato la sua opera, Licht.
Ma la vera ragione del richiamo di Villa Aurelia era la possibilità di ascoltare un capolavoro, Pierrot lunaire (1912) di Schoenberg ( su 21 poesie di Albert Giraud, tradotte in tedesco per il musicista) manifesto dell'Espressionismo, tuttora ricco di fascino, e non solo per gli aspetti tecnici a tutti noti, come quello della recitazione fra canto e parlato.
A nostra memoria non ci era ancora mai capitato di ascoltarlo dal vivo, eppure di concerti ne abbiamo frequentati a migliaia e non solo a Roma, fra stagioni e festival. Mai prima d'ora. Semplicemente perché rarissimamente si esegue (se a qualcuno viene in mente una esecuzione recente ce la segnali!)
E perciò esattamente come fece Puccini che si mosse da Lucca a Firenze per ascoltarlo ( 11 aprile 1924, alla prima italiana), ci si perdoni l'accostamento sacrilego, abbiamo fatto noi.
Ma non vi abbiamo ancora detto della ragione di quella festa, che era l'omaggio annuale dell'Accademia ai suoi borsisti. Nulla di simile accadrà mai ai borsisti italiani nelle nostre accademie all'estero, anche perché non esistono.
Fino a ieri eravamo convinti - e lo abbiamo scritto spesso - che a Roma l'unica Accademia che teneva in grande considerazione i suoi borsisti, nei vari campi dell'arte, era quella tedesca, l'Accademia di Villa Massimo, dalla quale puntualmente, poche settimane fa, ci è giuntò l'Annuario riguardante il 2015, come al solito ricco, elegante, completo.
A fine residenza, ogni anno, per i borsisti tedeschi musicisti, l'Accademia di Villa Massimo invita a Roma l'Ensemble Modern, e affida alla loro sapiente cura le loro opere. Da ieri sappiamo che a Roma, anche l'Accademia Americana fa qualcosa di altrettanto pregevole. Villa Massimo invita ogni anno l'Ensemble Modern, l'Accademia Americana fa venire lo Scharoun Ensemble di Berlino ( il nome del gruppo, nato nella celebre Filarmonica, prende il nome dall'architetto che progettò l'altrettanto celebre Philharmonie di Berlino).
Allo Scharoun era affidata l'esecuzione del Pierrot, mentre per la parte vocale l'Accademia aveva scritturato una notissima cantante israeliana, Rinnat Moriah. Ascoltare un Pierrot curatissimo, quanto un brano del grande repertorio, è stata la sorpresa massima per noi. Ci veniva da augurare - sebbene consapevoli che il nostro augurio fosse disperato perchè irrealizzabile!- ai giovani musicisti italiani di ascoltare le loro opere, talvolta anche le prime, da esecutori altrettanto straordinari. Come è capitato al compositore americano, non giovanissimo, ma residente a Roma, Jonathan Berger, del quale tre composizioni occupavano per intero la seconda parte del concerto, e delle quali non c'è spazio per riferirvene una per una, come meriterebbero.
Questo pomeriggio - ma noi non ce la siamo sentiti di riprendere la macchina per raggiungere l'Accademia americana - il secondo concerto dello Scharoun. In programma il Brahms del Quintetto con clarinetto, che occupava la seconda parte; mentre nella prima parte, fra opere prime e commissioni, due giovani, non giovanissimi - loro sì a differenza di Berger , nato nel '54 - Christopher Trapani e Giuliano Bracci, classe 1980. Dei quali sono stati proposti brani per ensemble ed anche uno con la partecipazione della voce di Rinnat Moriah.
P.S. Una semplice nota di cronaca, non musicale, ma paesaggistica, nel senso del paesaggio 'umano'. Per quanto abbiamo cercato di scrutare, uno per uno, gli oltre duecento ascoltatori, non ci è parso di vedere nessun volto noto, di quelli che si vedono, in carovana o in gruppi, anche a Roma, accorrere a popolare le salette di festivalini con 'operette' ( non nel senso del nobile genere musicale omonimo) , cioè opere 'piccole' di amici fatte da amici, eseguite da amici, rivolte ad amici. Sempre i soliti ( ignoti). Perchè mai?
Abbiamo pensato che, dopo un rapido passaparola, avevano pensato bene di disertare l'Accademia Americana per non autoinfliggersi altra sofferenza.
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