Ersilio Tonini, il cardinale Ersilio Tonini, scomparso all'età di 99 anni, non era un prelato come gli altri. Era uomo di fede sorretta da profonda autentica cultura, dall'amore per l'umanità e dalla certezza che il futuro, migliore, un giorno arriverà, se sapremo costruirlo. Noi lo abbiamo conosciuto. Fu in incontro speciale che ci piace raccontare.
Nell'estate del 2004 dirigemmo l' edizione del Festival delle Nazioni di Città di Castello, in Umbria. Ci prefiggemmo di dare una immagine della 'nuova', 'giovane' Italia musicale, proprio in un festival che era sempre alla ricerca di nazioni da mostrare, magari in formato 'turistico', dimenticando, colpevolmente, la nazione ospitante, l'Italia appunto.
La scelta apparentemente facile, imponeva un lavoro impegnativo per mostrare l'Italia musicale che meritava davvero di essere conosciuta. Il cartellone si mosse su due direttrici: far ascoltare la musica italiana, in ogni genere, quella che meglio ci rappresentava nella storia e nel presente, ed affidarla ai musicisti più valorosi, nonostante la giovane età. Avemmo la fortuna della presenza , come orchestra residente, di ospitare l'Orchestra sinfonica 'Giuseppe Verdi' di Milano, in quei mesi travagliata dal dissidio fra Chailly e Corbani, che portò al definitivo allontanamento del direttore. L'Orchestra si esibì in varie formazioni: sinfonica, cameristica, quartettistica con impegno e successo notevole. Al quartetto d'archi, composto dalle prime parti dell'orchestra milanese, affidammo uno dei concerti più belli ed indimenticabili, nel quale coinvolgemmo il cardinal Tonini, allora già novantenne ma in grandissima lucida forma intellettuale.
Un concerto domenicale, matinée, in un Oratorio della campagna castellana, a Morra. Voluto con tutte le forze, nonostante l'opposizione di alcuni componenti il consiglio di amministrazione del festival che, come è facile supporre, in fatto di musica e di organizzazione festivaliera non sapeva assolutamente nulla e che, anche per questa ragione, continua ad essere ancora lì, a tutt'oggi. Un oratorio preziosissimo, come stiamo per raccontarvi. In quell'Oratorio, dedicato a San Crescentino, si potevano ammirare, da poco restaurati, gli affreschi sulla 'Passione' di Gesù, di Luca Signorelli. Decidemmo di farvi eseguire il capolavoro di Haydn:
'Le sette ultime parole del Redentore sulla croce'. Dieci 'adagi' sublimi fra i quali, come espressamente voluto dal committente settecentesco, un prelato doveva dettare delle meditazioni sulla Passione di Gesù. Per quel compito, oggi spesso affidato a inutili parlatori, improvvisati cantori del sacro, al nostro festival, invitammo il cardinal Tonini, con la preziosissima mediazione di Antonio Lubrano, che volemmo al nostro fianco come 'consulente per la comunicazione' del festival. Il cardinale arricchì di profondo senso spirituale quella magnifica esecuzione haydniana, che abbiamo ancora nelle nostre orecchie. L'oratorio di San Crescentino apparve quella domenica mattina infinitamente piccolo, incapace di contenere tutti coloro che non vollero mancare quel prezioso appuntamento e che si accontentarono di ascoltare, anche fuori dell'Oratorio. Salutammo il cardinale e lo ringraziammo; non fece altrettanto uno dei consiglieri del festival, motivandolo così: non vado a salutare un rappresentante di un mondo reazionario, come la Chiesa. Quel consigliere, tuttora tale, era un politico di mestiere, comunista, ed era interessato al festival innanzitutto perchè due dei suoi famigliari esercitavano la professione musicale. Consumammo con il cardinale un pranzo frugale, terminato il quale, dopo un breve riposo, Tonini riprese la via del ritorno per Ravenna.
Pietro Acquafredda
domenica 28 luglio 2013
Grazie cardinal Tonini
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Giovanni Allevi straparla
"Un giorno ho capito che dovevo uscire dal polverone e cambiare approccio
con la musica, anche se si trattava di quella classica. Stavo ascoltando a
Milano la Nona Sinfonia di Beethoven. Accanto a me un bimbo annoiato che
chiedeva insistentemente al padre quando finisse.Credo
che in Beethoven manchi il ritmo. Jovanotti, con il quale ho lavorato, ha capito cos'è il ritmo, elemento che manca nella tradizione classica. Nei
giovani manca l'innamoramento nei confronti della musica classica proprio
perché manca di ritmo".
Così parlò Giovanni Allevi, compositore classico contemporaneo, filosofo, direttore ( d'orchestra, lui dice!), davanti ad una platea di ignari ragazzi al Festival di Giffoni. Dunque se Beethoven fosse vissuto dopo Jovanotti, avrebbe almeno appreso da lui la nozione di ritmo, mancandogli del tutto. Dopodomani, martedì 30, il compositore classicocontemporaneo e filosofo e direttore si presenterà davanti alla platea romana dell'Auditorium per far ascoltare il suo 'Sunrise', con sua grande soddisfazione, perchè:" ho la possibilità di dirigere la musica che viene a trovarmi - ha dichiarato ad un 'devoto' giornalista di Repubblica - lasciarsi avvolgere dal suono dell'orchestra e dimenticare le mie ansie, ascoltare attorno a me la musica che fino a ieri era solo nella mia testa, è un'esperienza fantastica,da capogiro! Invece, dirigere altri compositori non è ciò per cui mi brillano gli occhi". Ed ha aggiunto al sempre devoto giornalista di Repubblica:"voglio coinvolgere il mio pubblico il più possibile, la nostra è una storia d'amore inossidabile, è importante sapere cosa pensa la mia 'fidanzata', cosa vorrebbe ascoltare". E, a proposito della dichiarazione su Beethoven, ha precisato: "Non ho mai fatto quella dichiarazione su Beethoven in quei termini. Basta vedermi o sentirmi parlare per capire la mia indole delicata, per nulla provocatoria. Quanto all'ascolto di Ludwig, se volete posso fischiettarvi tutta la Sonata op.110, fuga compresa".
Sulla medesima dichiarazione è intervenuto anche Corrado Augias, forte dei suoi trascorsi musicali, anche beethoveniani, sollecitato da un lettore di Repubblica, argomentando che Beethoven è senz'altro fra gli 'inventori' del ritmo, della melodia no, superato da Schubert. Chi non crede, Allevi compreso, provi ad ascoltare l'ultimo movimento della Settima Sinfonia , diretta dal giovane Omer Meir Wellber - consiglia il giornalista.
Ciò che non è stato detto all' Allevi filosofo, più semplicemente, è che egli confonde la 'ripetitività' del ritmo, sfruttata da Jovanotti, con il 'senso' del ritmo, la sua 'invenzione', la sua 'varietà'. Chi ripete fino alla noia lo stesso ritmo, anche nel corso di una breve canzone, avrebbe secondo il filosofo musicista, più ritmo di colui che un ritmo si inventa ad ogni passo, che ne produce di nuovi, e che, nella storia della musica va considerato senza ombra di dubbio l'inventore del ritmo, il primo musicista ad avere 'senso' del ritmo, ed a costruirci proprio su di esso addirittura interi movimenti di sinfonie o sonate o variazioni. Come fece appunto Beethoven e non fecero né Bach, né Haydn e né Mozart.
Pietro Acquafredda
Così parlò Giovanni Allevi, compositore classico contemporaneo, filosofo, direttore ( d'orchestra, lui dice!), davanti ad una platea di ignari ragazzi al Festival di Giffoni. Dunque se Beethoven fosse vissuto dopo Jovanotti, avrebbe almeno appreso da lui la nozione di ritmo, mancandogli del tutto. Dopodomani, martedì 30, il compositore classicocontemporaneo e filosofo e direttore si presenterà davanti alla platea romana dell'Auditorium per far ascoltare il suo 'Sunrise', con sua grande soddisfazione, perchè:" ho la possibilità di dirigere la musica che viene a trovarmi - ha dichiarato ad un 'devoto' giornalista di Repubblica - lasciarsi avvolgere dal suono dell'orchestra e dimenticare le mie ansie, ascoltare attorno a me la musica che fino a ieri era solo nella mia testa, è un'esperienza fantastica,da capogiro! Invece, dirigere altri compositori non è ciò per cui mi brillano gli occhi". Ed ha aggiunto al sempre devoto giornalista di Repubblica:"voglio coinvolgere il mio pubblico il più possibile, la nostra è una storia d'amore inossidabile, è importante sapere cosa pensa la mia 'fidanzata', cosa vorrebbe ascoltare". E, a proposito della dichiarazione su Beethoven, ha precisato: "Non ho mai fatto quella dichiarazione su Beethoven in quei termini. Basta vedermi o sentirmi parlare per capire la mia indole delicata, per nulla provocatoria. Quanto all'ascolto di Ludwig, se volete posso fischiettarvi tutta la Sonata op.110, fuga compresa".
Sulla medesima dichiarazione è intervenuto anche Corrado Augias, forte dei suoi trascorsi musicali, anche beethoveniani, sollecitato da un lettore di Repubblica, argomentando che Beethoven è senz'altro fra gli 'inventori' del ritmo, della melodia no, superato da Schubert. Chi non crede, Allevi compreso, provi ad ascoltare l'ultimo movimento della Settima Sinfonia , diretta dal giovane Omer Meir Wellber - consiglia il giornalista.
Ciò che non è stato detto all' Allevi filosofo, più semplicemente, è che egli confonde la 'ripetitività' del ritmo, sfruttata da Jovanotti, con il 'senso' del ritmo, la sua 'invenzione', la sua 'varietà'. Chi ripete fino alla noia lo stesso ritmo, anche nel corso di una breve canzone, avrebbe secondo il filosofo musicista, più ritmo di colui che un ritmo si inventa ad ogni passo, che ne produce di nuovi, e che, nella storia della musica va considerato senza ombra di dubbio l'inventore del ritmo, il primo musicista ad avere 'senso' del ritmo, ed a costruirci proprio su di esso addirittura interi movimenti di sinfonie o sonate o variazioni. Come fece appunto Beethoven e non fecero né Bach, né Haydn e né Mozart.
Pietro Acquafredda
Abbattuti da una nave San Marco,il campanile e Palazzo Ducale. Creati a Venezia 10.000 nuovi posti di lavoro
Il giorno 27 dell’era idiota, la grande nave da crociera
‘Carnevale di Venezia’ guidata dal comandante Minghione ha fatto il miracolo
che da anni i 70.000 veneziani non si stancavano di richiedere a San Marco: dacci oggi il nostro lavoro quotidiano. San Marco
le aveva tentate tutte. Da ultimo, non riuscendo da solo ad esaudire la
accorata preghiera dei lagunari, aveva fatto tornare in patria quel Cardin,
emigrato in Francia dove aveva fatto, con la moda, una barca di soldi. E Cardin
sembrò per un attimo l’uomo della Provvidenza. Solo che voleva costruire un
grattacielo, un po’ distante dal Canal Grande e da Piazza San Marco. I
veneziani, alla fine, per attaccamento alla propria terra, non hanno digerito
quella emigrazione, seppure interna, e il progetto è naufragato definitivamente, con grande
disappunto del sindaco di Venezia, che
vedeva in Sancardin il nuovo patrono della storica repubblica lagunare. Riprese le
novene ed il mensile triduo solenne in San Marco, alla fine il miracolo s’è
compiuto. La nave da crociera ‘Carnevale di Venezia’, guidata dal grande
comandante Minghione, con un inchino
davanti a Piazza San Marco in onore del Santo protettore, in un sol botto ha sfondato il molo della storica
Piazza, abbattuto la Basilica e palazzo Ducale ( dove, fino all’altro ieri si
sono viste le repliche dell’Otello di Giuseppe Verdi) e sbriciolato il
campanile - ma per il campanile non era la prima volta. Il sindaco Orsoni,
mentre ancora la grande nave si
allontanava fra gli appalusi dei presenti, ha riunito il Consiglio comunale ed
ha dato a tutti la notizia che da anni si attendeva. Finalmente si erano creati
a Venezia quei diecimila posti di lavoro che l’avrebbero salvata da sicuro
affondamento nella disoccupazione. I fondi per la ricostruzione che il Governo
non aveva e non poteva dare, venivano
messi a disposizione da due notissimi francesi, il già citato Cardin e Pinault
che, a Venezia, possiede già mezza città e non vedeva l’ora di acquistare anche
san Marco ed il Palazzo Ducale. Del campanile, aveva fatto sapere al sindaco,
non gli importava, lui da Punta della Dogana poteva già godersi un bel panorama
lagunare. Il sindaco Orsoni ha illustrato le due proposte, ed alla fine il
consiglio comunale ha scelto quella di Cardin. San Marco ed il Palazzo Ducale
saranno ricostruiti, con lo stesso volume, ma si svilupperanno in altezza: 200
piani, una enorme torre in acciaio e plexigas, e, di conseguenza, del campanile
non c’era più bisogno. Per una volta quell’antica norma – troppo antica! - del
‘com’era e dov’era’ non veniva osservata, in nome della modernità. Lo sviluppo
in altezza presentava due grandi vantaggi, secondo Orsoni.
Circoscrivere la base del cantiere che avrebbe tenuto occupati diecimila
veneziani per dieci anni, e ridurre,
facendolo rientrare di molto, il molo in corrispondenza di Piazza San Marco, il
che avrebbe consentito per gli anni a venire
un maggiore spazio agli inchini delle grandi navi, per grazie ricevuta.
Pietro Acquafredda
giovedì 18 luglio 2013
Muti continui a fare il direttore. Faccia altri il senatore a vita
Volendo o dovendo fare la mia biografia come membro del Parlamento, non vi sarebbe che a stampare nel bel mezzo di un foglio bianco, a grandi caratteri - i 450 non sono realmente che 449, perchè Verdi, come deputato, non esiste.
Quel che scriveva Giuseppe Verdi, in una lettera autoironica all'amico librettista Piave, della sua esperienza di parlamentare, ci è venuto in mente leggendo della recita di 'Nabucco' diretta da Riccardo Muti all'Opera di Roma, nel corso della quale il noto direttore ha bissato il coro 'Va pensiero'. I giornali hanno sottolineato la commozione che sempre prende nell'ascoltare quell'intenso canto di prigionia. Ma, sempre a leggere i giornali, si veniva a sapere che, durante il 'Va pensiero', dai palchi sono piovuti sulla platea migliaia di volantini, a disturbare ( profanare?) quel coro. 'Viva Verdi', si leggeva in tanti; 'Viva il presidente Napolitano', in tanti altri, 'Muti senatore a vita', in altri ancora. Ci è parso allora che la commozione sulla quale avevano insistito i giornali fosse finta, e, comunque, artefatta per via di quei volantini, preparati e lanciati ad arte nel clou della rappresentazione. E, ancora, ci sorprendeva la campagna per la nomina di Muti a senatore a vita. Le parole di Verdi siano di monito. Riccardo Muti, per fare il senatore - che non sappiamo con quali esiti avrebbe a farlo ( in quell'aula tante buone intenzioni si sono arenate)- dovrebbe lasciare di fare il direttore- che sappiamo egli fare ai massimi livelli. Sempre che non accetti di farlo, per far contenti i suoi sostenitori, ma sapendo in partenza che la sua presenza in Senato sarebbe molto simile a quella di Verdi nel parlamento di Cavour, cioè a dire nulla.
Quel che scriveva Giuseppe Verdi, in una lettera autoironica all'amico librettista Piave, della sua esperienza di parlamentare, ci è venuto in mente leggendo della recita di 'Nabucco' diretta da Riccardo Muti all'Opera di Roma, nel corso della quale il noto direttore ha bissato il coro 'Va pensiero'. I giornali hanno sottolineato la commozione che sempre prende nell'ascoltare quell'intenso canto di prigionia. Ma, sempre a leggere i giornali, si veniva a sapere che, durante il 'Va pensiero', dai palchi sono piovuti sulla platea migliaia di volantini, a disturbare ( profanare?) quel coro. 'Viva Verdi', si leggeva in tanti; 'Viva il presidente Napolitano', in tanti altri, 'Muti senatore a vita', in altri ancora. Ci è parso allora che la commozione sulla quale avevano insistito i giornali fosse finta, e, comunque, artefatta per via di quei volantini, preparati e lanciati ad arte nel clou della rappresentazione. E, ancora, ci sorprendeva la campagna per la nomina di Muti a senatore a vita. Le parole di Verdi siano di monito. Riccardo Muti, per fare il senatore - che non sappiamo con quali esiti avrebbe a farlo ( in quell'aula tante buone intenzioni si sono arenate)- dovrebbe lasciare di fare il direttore- che sappiamo egli fare ai massimi livelli. Sempre che non accetti di farlo, per far contenti i suoi sostenitori, ma sapendo in partenza che la sua presenza in Senato sarebbe molto simile a quella di Verdi nel parlamento di Cavour, cioè a dire nulla.
domenica 14 luglio 2013
La critica insicura
Ne siamo certi, senza neanche averlo visto. Lo spettacolo teatrale 'Carlos Kleiber, il titano insicuro', firmato dal giornalista del Corriere Valerio Cappelli e dal critico cinematografico Mario Sesti, con la regia di Pier Luigi Pizzi ( un tavolo al centro del palcoscenico, due sedie alle estremità con due microfoni, alle spalle uno schermo sul quale scorrono le rare immagini del mitico direttore), interpretato da Remo Girone ( Kleiber) e Anita Bartolucci ( intervistatrice), che ha debuttato al Festival di Spoleto e che martedì 16 e giovedì 18 si vedrà anche alle Terme di Caracalla, per la stagione estiva dell'Opera di Roma, che l'ha coprodotto assieme al festival umbro, siamo certi che è un capolavoro. Ne siamo certi perchè conosciamo la bravura dei suoi autori - lo diciamo senza ironia alcuna, semmai con una punta di invidia. Come siamo certi che, d'ora in avanti, leggendo i numerosi - troppo numerosi - interventi del noto giornalista sul Corriere, a proposito dell'Opera di Roma come anche del Festival dei Due Mondi, ci verrà sempre il dubbio che con i produttori del suo spettacolo egli possa essere comunque tenero, benevolo, per naturale,umana deferenza. Sulla prima certezza, mai nutriremo dubbi, sulla seconda siamo pronti a farla vacillare.
Pietro Acquafredda
Pietro Acquafredda
Avanti Bray
Ursini, parlamentare PD, ha detto pubblicamente, qualche settimana fa, in un raduno sindacale nazionale all'Auditorium di Roma, che al Ministero dei beni culturali, in questi anni hanno sbagliato praticamente tutto. Ed ha esortato il nuovo ministro Bray- che noi speriamo abbia consigliato alla stessa maniera anche a quattr'occhi - a guardarsi dai suoi consiglieri più diretti che sono quelli di Oranghi, di Galan e di Bondi: il peggio che si sia visto sfilare in questi ultimi anni nella sede del Collegio romano. Ursini si riferiva in particolar modo a Nastasi, direttore generale dello 'Spettacolo dal vivo' - un altro degli inamovibili italiani - che in questi anni ha fatto la politica delle Fondazioni liriche, mettendo e levando sovrintendenti, mettendo e levando Commissari straordinari, quando non si è fatto commissario egli stesso; premiando ( Tutino, ad esempio, messo nella Commissione centrale musica) ed elogiando pubblicamente ( Gioacchino Lanza Tomasi che aveva dovuto lasciare il San Carlo) alcuni responsabili di buchi di bilancio macroscopici; emanando decreti e regolamenti che avevano come scopo quello di sbaraccare, destrutturalizzare l'intero sistema. Perchè il progetto di Nastasi, subito accolto dagli incompetenti Ministri ai quali l'ha confidato, è quello di cancellare la gran parte dei grandi teatri dalla geografia italiana, e di creare due o tre complessi orchestrali/corali che fanno 'le ospitate' nei vari teatri: una o due compagnie stabili che girano per la penisola. E questo progetto già in qualche teatro si sta sperimentando, sempre con la benedizione di Nastasi: vedi il Petruzzelli di Bari, dove è stato azzerato tutto il personale artistico esistente( mentre negli uffici ci sono le stesse persone, per alcune delle quali si ravviserebbero macroscopici conflitti di interessi; ai quali vanno aggiunti altri che si è portato da Roma, senza i quali evidentemente egli non viaggia mai!) ed assunto uno nuovo, a seguito di audizioni, prevalentemente giovane, con contratto triennale.
Non sappiamo se la sperimentazione proseguirà fino al tragico epilogo, che non sarebbe quello delle periodiche verifiche del rendimento degli orchestrali - verifiche sacrosante che dovrebbero essere fatte in ogni compagine artistica - ma quello di mandare tutti a casa e di assumerne di nuovi con nuovi contratti; il tutto per ridurre al massimo le spese - perchè non crediamo che i giovani orchestrali abbiano stipendi in linea con la media italiana - e lasciando che la gran parte dei fondi venga spesa per le regie 'moderne' che il Commissario Fuortes sta proponendo al pubblico barese.
Bray, intanto, un primo altolà ad un suo alto dirigente l'ha dato, facendo rimangiare alla dott. Antonia Pasqua Recchia ( la stessa che avrebbe miracolosamente salvato il MAXXI in pochi mesi!) il decreto che voleva i sovrintendenti di Musei, Gallerie statali, Siti archeologici e monumentali con contratto triennale. Via quel decreto. Ora ci si attenderebbe che qualche altolà, al prossimo passo falso, lo desse anche a Nastasi, secondo il consiglio esplicito di Ursini. Anzi forse lo ha già dato, quando ha decretato che il saldo del FUS venisse immediatamente corrisposto alle fondazioni liriche, già bistrattate dal ministero di Nastasi - è chiaro che è lui il vero ministro, se il ministro che ha giurato nelle mani del presidente della Repubblica non ha competenza in materia. Sì, è proprio così, Nastasi ha sempre tenuto sotto schiaffo le Fondazioni liriche non allargando fino all'ultimo momento, i cordoni della borsa. Nastasi deve lasciare il Ministero - questo sarebbe una bella notizia ed una sacrosanta rotazione - per la stessa ragione per cui si voleva che i Sovrintendenti e i Direttori di Musei non restassero per più di tre anni al loro posto: per evitare, si argomentava, combriccole, camarille, comitati di affari - come tanti se ne conoscono nell'ambiente musicale, dove fanno carriera solo quelli che hanno il lasciapassare di Nastasi, unito a quello del suo più importante sponsor/protettore, come ci hanno fatto sapere, anche di recente, le cronache cagliaritane, a proposito della nomina dell sig.ra Crivellenti a sovrintendente della Fondazione lirica, dove lavorava alla biglietteria.
Ma Bray ha anche proposto, accogliendo un'idea venuta fuori proprio in quella riunione all'Auditorium di Roma, per bocca del sovrintendente Chiarot, di costituire un fondo dal quale le fondazioni in difficoltà possono attingere dopo aver presentato un piano 'industriale' (riorganizzazione) ed un piano di rientro dal deficit con conseguente restituzione della somma prestata, ma a tasso vicino allo zero, lo stesso tasso al quale la BCE ha dato soldi al sistema bancario italiano. Innanzitutto per salvare il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, le cui sorti pare non freghino assolutamente al sindaco Renzi, distratto dagli affari della sua città, per via delle varie candidature (segretario Pd, premier ). A Bray chiediamo più coraggio e di proseguire, non ascoltando i consiglieri.
Pietro Acquafredda
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Calderoli ha le sembianze di un decerebrato
Non fa bene il vice presidente del Senato, e non farebbe bene nient'altro in questo paese. Ed è Lui che fa tornare indietro in America tanti turisti che vorrebbero venire in Italia. Non possiamo consolarci. Poi, quando navighiamo in Internet e vediamo le foto di Calderoli, che presiede la seduta del Senato, non possiamo non pensare, anche se non diciamo che lo sia, alle sembianze di un un decerebrato.
Pietro Acquafredda
sabato 13 luglio 2013
quando si crede più nel gadget che nella stampa
Ora gli editori se la prendono con il governo per via di quella norma secondo la quale gli allegati a giornali di ogni genere e periodicità - parliamo soprattutto di CD e DVD, ma il discorso varrebbe per qualunque altro gadget che va in edicola impacchettato nei giornali - non avrebbe più l'Iva agevolata al 4% bensì l'Iva regolare, e cioè al 21%. Gli editori e distributori si fingono interessati alle sorti delle edicole che, secondo le statistiche, in un anno avrebbero tirato giù le saracinesche in almeno 5000. Se togliete alle edicole tutti quei gadget che costituiscono il 35% circa delle loro entrate - così argomentano - sarebbe la fine per la distribuzione dei giornali e per i punti vendita. E, di conseguenza, anche la vendita dei giornali, oggi fra le più basse in Europa, calerebbe ancora.
Quando si cominciò a parlare dell'innalzamento dell'IVA, si disse che il Governo avrebbe esentato da tale tassa tutti i prodotti audiovisivi che accompagnano testi per uso scolastico, o di formazione in generale.Questo codicillo è scomparso per cui dalla nuova mannaia dell'aumento dell'IVA non si salva nessuno, neanche ciò che sarebbe sacrosanto salvare.
Il problema della vendita dei giornali non ci riguarda da vicino, mentre ci riguarda l'innalzamento dell'IVA su quei prodotti che, in certi periodi dell'anno, in autunno, alla ripresa delle scuole, invadono le edicole. E ci riguarda da sempre, perché siamo stati sempre convinti che sui CD o DVD, ad esempio, dovesse essere applicata l'IVA ridotta del 4%, come sui libri. Invece, dal nostro Stato la lettura, meglio l'acquisto di un libro, considerato una sorta di punizione andava addolcita con l'IVA ridotta, mentre l'acquisto di un CD, che so di Mozart ma anche dei Beatles, considerati 'divertimento' e 'sollazzo' andavano tassati, perché il piacere non arrivasse quasi gratis. La, sottintesa, concezione ad un simile ragionamento non merita ovviamente commenti.
Senonché in un'epoca di grave crisi del mercato discografico le case produttrici hanno pensato di chiedere aiuto ai giornali, per vendere i loro prodotti con un'IVA praticamente inesistente, al confronto di quella con cui vendevano i loro prodotti, nei punti vendita normali. Per fare un esempio, su un CD che viene venduto a 20,00 Euro circa, l'IVA regolare grava per 4,00 Euro ( per un quinto del suo prezzo), l'IVA ridotta invece per 0,80 Euro. La differenza c'è e si vede. In quel tempo,anni Ottanta, le case discografiche invasero le edicole , per anni, con i loro prodotti audiovideo, allegati a prodotti editoriali veri o falsi. Quante volte abbiamo visto un cartoncino con il nome della testata, quattro pagine con i testi che solitamente accompagnavano un cofanetto di CD e l'imbroglio era fatto. Questo giochetto l'hanno praticato per anni ed anni anche grandi major, alle quali avremmo voluto chiedere: perché un vostro prodotto deve costare diversamente, a seconda che l'acquistiamo in negozio o in edicola? Poi un giorno il mercato, così gonfiato, attraverso l'éscamotage delle finte riviste di musica, nuovamente si saturò, ed allora entrarono in campo i grandi quotidiani e settimanali che cominciarono ad allegare CD e DVD a rotto di collo - ci dicono che le 'Lezioni di musica',vendute recentemente da La repubblica, ma realizzate con l'apporto dell'incompetente Augias - abbiano raggiunto record di vendite. Nel frattempo i punti vendita normali avevano chiuso i battenti e la crisi si abbatteva anche sulle edicole.
E veniamo ad oggi. Gli edicolanti lamentano vendite basse e, senza i gadget che sono ormai sempre più frequenti nella speranza di attirare lettori, le entrate diminuirebbero ancora. E, così, un nuovo problema si aggiungerebbe a quello della scarsa lettura e dello scarsissimo acquisto di giornali. Il problema, perciò, esiste. Non vogliamo nascondercelo. Permetteteci, però. Noi che facciamo i giornalisti e non i discografici, le riviste gradiremmo che venissero acquistate non per i gadget, ma per quello che vi si scrive.
Quando si cominciò a parlare dell'innalzamento dell'IVA, si disse che il Governo avrebbe esentato da tale tassa tutti i prodotti audiovisivi che accompagnano testi per uso scolastico, o di formazione in generale.Questo codicillo è scomparso per cui dalla nuova mannaia dell'aumento dell'IVA non si salva nessuno, neanche ciò che sarebbe sacrosanto salvare.
Il problema della vendita dei giornali non ci riguarda da vicino, mentre ci riguarda l'innalzamento dell'IVA su quei prodotti che, in certi periodi dell'anno, in autunno, alla ripresa delle scuole, invadono le edicole. E ci riguarda da sempre, perché siamo stati sempre convinti che sui CD o DVD, ad esempio, dovesse essere applicata l'IVA ridotta del 4%, come sui libri. Invece, dal nostro Stato la lettura, meglio l'acquisto di un libro, considerato una sorta di punizione andava addolcita con l'IVA ridotta, mentre l'acquisto di un CD, che so di Mozart ma anche dei Beatles, considerati 'divertimento' e 'sollazzo' andavano tassati, perché il piacere non arrivasse quasi gratis. La, sottintesa, concezione ad un simile ragionamento non merita ovviamente commenti.
Senonché in un'epoca di grave crisi del mercato discografico le case produttrici hanno pensato di chiedere aiuto ai giornali, per vendere i loro prodotti con un'IVA praticamente inesistente, al confronto di quella con cui vendevano i loro prodotti, nei punti vendita normali. Per fare un esempio, su un CD che viene venduto a 20,00 Euro circa, l'IVA regolare grava per 4,00 Euro ( per un quinto del suo prezzo), l'IVA ridotta invece per 0,80 Euro. La differenza c'è e si vede. In quel tempo,anni Ottanta, le case discografiche invasero le edicole , per anni, con i loro prodotti audiovideo, allegati a prodotti editoriali veri o falsi. Quante volte abbiamo visto un cartoncino con il nome della testata, quattro pagine con i testi che solitamente accompagnavano un cofanetto di CD e l'imbroglio era fatto. Questo giochetto l'hanno praticato per anni ed anni anche grandi major, alle quali avremmo voluto chiedere: perché un vostro prodotto deve costare diversamente, a seconda che l'acquistiamo in negozio o in edicola? Poi un giorno il mercato, così gonfiato, attraverso l'éscamotage delle finte riviste di musica, nuovamente si saturò, ed allora entrarono in campo i grandi quotidiani e settimanali che cominciarono ad allegare CD e DVD a rotto di collo - ci dicono che le 'Lezioni di musica',vendute recentemente da La repubblica, ma realizzate con l'apporto dell'incompetente Augias - abbiano raggiunto record di vendite. Nel frattempo i punti vendita normali avevano chiuso i battenti e la crisi si abbatteva anche sulle edicole.
E veniamo ad oggi. Gli edicolanti lamentano vendite basse e, senza i gadget che sono ormai sempre più frequenti nella speranza di attirare lettori, le entrate diminuirebbero ancora. E, così, un nuovo problema si aggiungerebbe a quello della scarsa lettura e dello scarsissimo acquisto di giornali. Il problema, perciò, esiste. Non vogliamo nascondercelo. Permetteteci, però. Noi che facciamo i giornalisti e non i discografici, le riviste gradiremmo che venissero acquistate non per i gadget, ma per quello che vi si scrive.
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