ROMA. Il mondo si sta imbarbarendo. Dal passato riemergono fantasmi che credevamo svaniti: guerre, distruzioni, assalti contro interi popoli, violenze ai danni di donne e minori. Vediamo «riaffiorare razzismo, aggressioni, diseguaglianze»; assistiamo, denuncia Sergio Mattarella, all’«erosione delle libertà democratiche»; anzi peggio, a «un generale arretramento della civiltà giuridica» che mette in pericolo tutti i traguardi qui faticosamente raggiunti sul terreno delle libertà fondamentali. Come dire: è sotto attacco la dignità di ciascun individuo, quella solennemente sancita settantasei anni fa nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Vengono presi a spallate i pilastri del diritto internazionale e contestate proprio quelle istituzioni multilaterali come l’Onu che invece dovrebbero rivestire «un ruolo decisivo in quanto strumenti concreti di protezione per gli Stati come per ciascun singolo essere umano. Indebolirli», insiste il capo dello Stato, «significa esporre ogni individuo, in particolare i più vulnerabili, al rischio che l’esistenza venga regolata dalla prevaricazione e dall’abuso della forza».
È quanto accade in questo passaggio storico. Poi non ci si deve stupire, avverte Mattarella, se la pace non regge: il rispetto dei diritti umani è «premessa essenziale» per scongiurare i conflitti. Quando si afferma la «logica della sopraffazione», la parola passa più facilmente alle armi, rammenta il presidente in un messaggio reso pubblico dal Quirinale per la Giornata mondiale dei diritti umani, celebrata ieri. La Repubblica italiana, garantisce il presidente, «rinnova il suo convinto sostegno a un ordine internazionale basato sul rispetto dei diritti umani, impegno che discende dalla nostra storia e dai valori scolpiti nella Costituzione». Questi valori Mattarella li elenca uno per uno: ripudio della guerra, promozione della giustizia, affermazione della solidarietà, dell’eguaglianza e della solidarietà.
Contro il rischio che possano suonare vuote affermazioni di principio, il presidente fornisce un esempio concreto di quanto si potrebbe fare, anche in Italia, per promuovere la battaglia sui diritti delle persone recandosi al carcere di Rebibbia, nella Casa circondariale femminile, per inaugurare Benu, un’installazione luminosa e permanente dell’artista Eugenio Tibaldi che si rifà a una creatura sacra della tradizione egizia assimilata alla fenice, simbolo di rinascita e di speranza particolarmente evocativo per chi si trova dietro le sbarre.
Il presidente s’è congratulato per il progetto che ha richiesto un intero anno di lavoro tra incontri, ascolto e laboratori artistici in cui le detenute coinvolte hanno rappresentato simbolicamente fragilità, ferite e desideri di trasformazione. Sarebbe la strada da seguire anche altrove, secondo Mattarella che in un breve intervento ha insistito sull’importanza di valorizzare «il protagonismo» - così l’ha definito - ovvero lo spirito di iniziativa degli istituti penitenziari: richiamo ancora più significativo all’indomani di circolari e di recenti decisioni ministeriali di tutt’altro segno, volte ad accentrare a Roma le attività culturali e solidali promosse nelle varie sedi carcerarie.
Mattarella raccomanda caldamente che gli istituti dove scontare la pena non siano «isolati dal mondo esterno», con cui il contatto va sviluppato proprio sull’esempio di Rebibbia. Ma «non si può ignorare», ha aggiunto, «che non ovunque è così, che vi sono istituti dove c’è una condizione totalmente inaccettabile»: di chiusura e al tempo stesso di estremo degrado. Una censura severa, anche se non è la prima volta che Mattarella interviene per denunciare il sovraffollamento contro cui ben poco si fa (i detenuti risultano ormai quasi 64mila su una capienza ufficiale di 51.275 posti).
E dire che mezzo secolo fa fu riformato l’ordinamento penitenziario, rammenta Mattarella, «con il rifiuto e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità». Le nostre carceri, ovvero un luogo dove i diritti umani rimangono lettera morta.
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