Attenzione: quello che diciamo si distingue in “Langue” e “Parole”. Lo scoprì, un secolo e mezzo fa o quasi, Ferdinand de Saussure, il fondatore della linguistica. Significa che un conto è la teoria della lingua (quella su cui ci si mette d’accordo per capirsi). E un conto è il modo in cui ciascuno la usa.
Insomma, la lingua è insieme generale e personale. Di più: la lingua è mobile. Cambia, si adatta, salta passaggi. E più di tutto: la Parole è insieme lo specchio e l’ambiente del suo tempo. Per questo, a me pare anacronistica, la polemica sulle parole usate da Papa Francesco, dalla Meloni e da chiunque altro pubblico personaggio negli ultimi giorni. “Frociaggine” e “stronza” sono vocaboli ascrivibili al campo semantico del turpiloquio? Non più. Esattamente come “casino”. Si tratta di termini dell’uso comune nella lingua parlata. Il cui successo, in termini scientifici , si spiega con i fondamentali della evoluzione del linguaggio. La lingua cerca sempre economicità (sprecare meno fiato possibile) e efficacia. “Stronzo” e “casino” sono un bisillabo e un trisillabo che comunicano quanto una costruzione di frasi principali e subordinate o un cumulo di aggettivi. Lo stronzo è un individuo odioso, che agisce senza rispetto per i bisogni dell’altro, in funzione del suo unico interesse, e può calpestarti senza rimorsi. Chi lo usa invita nel paratesto il suo interlocutore a condividere questo giudizio. Il casino è una situazione molto difficile da districare, densa di complicazioni e foriera di disastri, a cui è difficile porre rimedio.
Resta “frociaggine”. Termine desueto, tipico di una società del tardo Novecento, dove l’omosessualità veniva allontanata attraverso la derisione. La derivazione sostantivata dall’aggettivo si connota come gergo, cioè linguaggio destinato alla condivisione di un solo gruppo di persone. Le parole sono le cose. E le cose sono che nel 2024 il mondo è differente da come era anche solo 10 anni fa. Oggi la società è fluida. Non solo per quello che riguarda il sesso. ma anche e soprattutto per i ruoli. Non è più il linguaggio che connota lo status. Non esiste più un tipo di lessico adatto a questo o a quello, al potente o al povero, al capo di Stato o al senzatetto. Le parole sono oggetti d’uso condivisi da tutte le classi sociali. Quando facevo la ricercatrice in Filosofia del Linguaggio col professor Giovanni Nencioni, studiavamo la differenza tra Scritto e Parlato. Lo scritto richiedeva termini e strutture sintattiche di cui il parlato già si infischiava.
Ma adesso c’è la rete.
E la rete è la Livella di Trilussa alla millesima potenza. Le parole hanno cessato di essere “alte” o “basse”, “belle” o “brutte”. Stanno tutte insieme sullo scaffale. E ognuno prende quella che gli pare.
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