Quella in arrivo dalla Commissione europea è una decisione largamente attesa. Si applicano è vero le nuove regole del Patto di stabilità ma le procedure restano sostanzialmente le stesse poiché sono pienamente in vigore i vecchi parametri che fissano al 60% del Pil il tetto massimo per il debito e al 3% per quel che riguarda il deficit. Poiché l’Italia ha chiuso il 2023 con un deficit pari al 7,4%, anche a causa del peso predominante dei bonus edilizi, l’apertura della procedura di infrazione per disavanzo eccessivo (che coinvolge sulla carta altri 10 paesi) pare scontata.
Quello che la Commissione europea si appresta a comunicare è l’avvio della procedura per disavanzo eccessivo. A novembre sarà la nuova Commissione a fissare attraverso le nuove “raccomandazioni” il percorso di rientro con l’eventuale correzione che sarà richiesta tenendo presente che quel che conta, alla luce delle nuove regole, è ora la “traiettoria tecnica” espressa in termini di spesa netta che riguarda tutti i paesi con debito superiore al 60% del prodotto lordo o con disavanzo superiore al 3% del Pil. Su quella base i governi preparano i piani strutturali di bilancio a medio termine da presentare entro il 20 settembre. Obiettivo: portare il debito pubblico su un percorso di riduzione “plausibile” o che si attesti su livelli “prudenti” al di sotto del 60% nel medio termine, e che il disavanzo pubblico previsto sia portato e mantenuto al di sotto del 3% del pil sempre nel medio termine. Quale impatto potrà avere sui conti pubblici l’avvio della procedura d’infrazione?
L’entità della correzione aggiuntiva sarà oggetto di trattative che la Commissione europea attiverà con i singoli Paesi proprio sulla base della “traiettoria tecnica” che sarà definita a breve attraverso un confronto che in linea di massima dovrebbe essere riservato, ma che in realtà dipenderà dall’andamento della spesa, più che dalla procedura di infrazione che al momento potrebbe avere effetti anche limitati. In realtà, se si guarda al dispositivo delle nuove regole di bilancio europee, i paesi sottoposti a procedura d’infrazione saranno esentati, nel primo periodo quindi presumibilmente per un triennio e comunque fino a quando non avranno ridotto il deficit al di sotto del 3% del Pil, dal ridurre il debito di almeno un punto di Pil l’anno. Si applicherà invece l’obbligo di ridurre il deficit dello 0,5% l’anno, che equivale a circa 10-11 miliardi di correzione, tenendo peraltro conto di alcuni fattori rilevanti che potrebbero ridurre l’impatto della correzione a circa 8/9 miliardi. Tra questi, nel triennio 2025-2027, si potrà conteggiare la maggiore spesa per interessi sostenuta per effetto dell’aumento dei tassi.
È uno degli effetti del faticoso compromesso raggiunto tra i governi, mediando tra le varie istanze: quelle più “rigoriste” tipicamente espresse dai paesi del nord Europa, e quelle all’insegna di maggiore flessibilità chieste dai paesi del sud Europa. Di certo, la prossima manovra che vedrà la luce in ottobre parte con una “dote” iniziale di almeno 15 miliardi, che serviranno a finanziare anche per il 2025 la decontribuzione per i redditi fino a 35 mila euro (la manovra sull’Irpef per 4 miliardi è già finanziata), nonché le spese indifferibili. A tale importo andrà aggiunta appunto la correzione dello 0,5% del Pil, pari ad altri 10-11 miliardi. Nel totale si parte dunque da almeno 25 miliardi, senza considerare altri eventuali interventi che il Governo riterrà di introdurre in legge di Bilancio.
Il periodo in cui concentrare l’aggiustamento di bilancio richiesto è di quattro anni che potranno essere estesi a sette anni, in presenza di un dettagliato piano di riforme e di investimenti da realizzare preferibilmente nella prima parte del piano pluriennale. È chiaro che se da un lato queste sono le condizioni previste dalle nuove regole di bilancio, dall’altro il peso della trattativa politica sarà non meno rilevante. Il nuovo assetto di vertice che sarà sancito nel Consiglio europeo del 27 e 28 giugno riguarda la presidenza della Commissione, del Parlamento e del Consiglio europeo, oltre che dell’Alto rappresentante dell’Ue per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. E poi occorrerà valutare il peso che potranno esercitare i conservatori e con essi la stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Un eventuale via libera del governo italiano alla conferma di Ursula von der Leyen alla guida dalla Commissione potrà essere “compensata” da un ruolo di primo piano da attribuire al futuro commissario italiano (e anche alla vicepresidenza dell’esecutivo comunitario), ma anche probabilmente da una maggiore flessibilità da spuntare in sede di trattativa politica sulle nuove regole di Bilancio. Tutto ciò per concludere che pare ancora prematuro stabilire fin d’ora l’esatto ammontare della correzione richiesta per il combinato disposto della procedura d’infrazione e dell’impatto della riduzione della spesa primaria netta che d’ora in poi rappresenterà il parametro principale di riferimento.
Anche il lasso di tempo su cui spalmare il peso delle riforme e degli investimenti richiesti per soddisfare le raccomandazioni che saranno diffuse in novembre potrà costituire oggetto di trattativa politica, tenendo conto che siamo comunque nel primo periodo di applicazione delle nuove regole e che dunque non vi è attendersi, almeno in prima battuta, un atteggiamento particolarmente rigido da parte della Commissione. Fermo restando che per un paese con un debito pubblico che, secondo Bruxelles, raggiungerà nel 2025 il 141,7% del Pil ridurre il proprio indebitamento è una necessità prioritaria anche al di là delle regole europee.
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