Il Corriere della Sera di oggi, ancora a firma di Giuseppina Manin, torna a parlare di melodramma, per riferire della puntuale inchiesta mensile di 'Classic Voice' che questa volta con grande acume giornalistico e ricchezza di dati prende di mira il repertorio dei teatri. Concludendo, in base alla sua iricerca, che i teatri italiani vivono di 'repertorio'- peccato che dimentica quelli stranieri che vivono più o meno come quelli italiani di repertorio - dimenticando anzi ignorando le 'opere originali' ( che vuol dire 'originali, che quelle di verdi e Puccini originali non sono?) - e qui ci ha messo le mani il solito asino del titolista che in tre giorni toppa solennemente almeno due volte.
Non più tardi di tre anni fa, un'altra rivista di musica, edita dal Conservatorio aquilano, Music@, dimostrava che il repertorio italiano, che secondo Classic Voice si vuole dominante in Italia, era ancor più dominante all'estero. Dati alla mano, con tabelle, titoli e teatri, in Italia e nel mondo risultava che Traviata o Butterfly e Bohème erano rappresentati con più frequenza e regolarità all'estero di quanto non accadesse in Italia. E' successo forse che nel giro di due anni le cose sono completamente capovolte? Allora? Tutti idioti? Tutti che voltano le spalle alle novità?
No, semplicemente i classici del melodramma sono i più rappresentati e più amati e perciò anche quelli più richiesti e seguiti. E' un peccato se Traviata riempie i teatri più di Co2 di Battistelli che nelle poche recite scaligere di quest'anno il teatro non l'ha mai riempito?
Se il medesimo discorso si facesse per i classici di altri ambiti artistici, come la letteratura o il teatro, noi dovremmo bandire i grandi capolavori in nome della modernità. Non è possibile.
Se poi un tempo si facevano a teatro più novità di oggi, non è detto che sia la strategia migliore, forse occorrerebbe, ma senza intenti punitivi, farsi coraggio e presentare una qualche novità ogni stagione od ogni due, che moltiplicata per i teatri, vuol una trentina circa di novità a biennio. sarebbe un bel traguardo. Va anche aggiunto che le più frequenti novità di un tempo miravano ad attirare i contributi specifici del ministero destinati ai titoli nuovi.
Con aria snob, infine, la Manin e i suoi suggeritori di Classic Voice che, evidentemente, con il Corriere ha un filo diretto - chissà per quale ragione o quale tramite in carne ed ossa - afferma che il teatro d'opera italiano, dal punto di vista del repertorio, si sta 'arenizzando', sta virando cioè velocemente verso il 'popolare', come se fosse una offesa. No, cara Manin, le opere più popolari - ci vogliamo mettere fra queste anche il teatro di Shakespeare - sono tali perchè rappresentano le vette della umana creatività nei secoli. Si deve semmai esigere che la riproposta delle opere popolari non diventi occasione per 'spedizioni punitive' come può accadere anche nei teatri a danno del pubblico più affezionato.
Secondo il suo (della Manin) ragionamento e quello dei capoccioni della sua rivista di riferimento, dovremmo farla finita anche con Bach e Vivaldi ed anche Beethoven, meglio sostituirli con le 'quattro stagioni' di Max Richter o con quelle di Piazzolla o Glass ( ma perchè, sia detto per inciso, hanno bisogno di attaccarsi a Vivaldi; facciano qualcosa di nuovo e lascino in pace Vivaldi che, di suo, ancora funziona!).
Nicola Sani, sovrintendente a Bologna, impegnato anche su molti altri fronti a lui totalmente estranei, in chiusura di inchiesta, si augura che l'Italia abbia 'manager culturali capaci di unire COMPETENZA GESTIONALE ED ARTISTICA'; che è poi l'augurio che noi abbiamo fatto all'Italia, dopo aver letto delle nomine di Sani oltre che a Sovrintendente a Bologna, a Direttore artistico a Siena e Direttore dell' Istituto di Studi verdiani di Parma ecc... Da dove prende tanta energia oltre che tanta competenza, ci è venuto da chiederci?
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