Suoni per l'EXPO del 2015. Era
il 2009. Mancavano sei anni all'appuntamento milanese dell'EXPO 2015.
Si discuteva soprattutto di cubature, terreni, vie d'acqua,
metropolitane di superficie, padiglioni, infrastrutture e di imprese
edilizie da impiegare, oltre naturalmente che di fondi necessari. E
di questi ultimi, si sapeva che tanti ce ne volevano, ma non ancora
chi avrebbe dovuto metterli.
Al
contrario, come tener viva e mostrare la grande tradizione italiana
di vocazione alla bellezza, sembrava non importare assolutamente a
nessuno. Figurarsi della musica, ultimo dei pensieri degli
organizzatori, ancora indaffarati nelle nomine di commissari, sub
commissari, dirigenti, responsabili.
Fu
allora che MUSIC@, il bimestrale musicale edito dal Conservatorio
dell'Aquila, ebbe l'idea di interpellare alcune personalità del
mondo musicale italiano, e chiedere loro di formulare dei progetti da
offrire GRATUITAMENTE ai sonnacchiosi e distratti organizzatori
dell'EXPO milanese.
Una
decina di noti musicisti italiani di varie generazioni, inviarono il
loro progetto che MUSIC@ pubblicò. Alla rivista, successivamente
giunsero le congratulazioni ed i ringraziamenti dell'allora sindaco
di Milano, Letizia Moratti, con la promessa che quei progetti,
davvero preziosi, avrebbe girato agli organizzatori dell'EXPO.
A
sei anni di distanza, ed alla viglia dell'EXPO, non sappiamo se la
Moratti mantenne la promessa e se gli organizzatori si siano presi
la briga di esaminarli e di dare eventualmente corso alla
realizzazione di qualcuno di essi.
Nel
frattempo uno dei compositori che rispose all'appello, Filippo del
Corno, con il cui progetto apriamo questo dossier, è diventato
Assessore alla cultura del Comune di Milano.
Una giornata ideale…
nel 2023 di Filippo Del Corno
Se pensiamo al significato
originario delle Esposizioni Universali possiamo leggerle come grandi
rappresentazioni epiche della modernità. In altre parole le
Esposizioni erano l’unico modo per raccontare il presente in
un’epoca dove non esistevano i mezzi di comunicazione che si
sarebbero poi sviluppati nel corso del Novecento. Progressivamente
questi eventi hanno perso la dimensione narrativa e rappresentativa
per diventare altro, ma credo che per Expo 2015 Milano potrebbe
recuperare questa ispirazione originaria e tendere
ad un obbiettivo ambizioso
ma innovativo: mettere in scena una rappresentazione epica degli anni
che verranno, e raccontare così non più il presente ma il futuro.
Come? Semplicemente dando una forma concreta a ciò che si narra. Se
dovessi riassumere tutto in uno slogan sarebbe: a Milano il futuro è
presente. Un progetto artistico musicale per Expo 2015 potrebbe
rispondere a questa sollecitazione attraverso la costruzione di un
padiglione musicale, un’autentica “stanza sonora”, dove sette
diversi compositori contemporanei vengano chiamati a narrare, in
forma di teatro musicale, o installazione, o video-opera, o qualsiasi
altra forma sappiano o vogliano ideare, una “giornata ideale” che
immaginano il mondo potrebbe essere in
grado di vivere di lì a
otto anni (quindi nel 2023). La grande libertà concessa ad ogni
singolo compositore per realizzare la propria “giornata ideale nel
‘23”, a partire dall’individuazione di una specifica forma
rappresentativa o performativa, deve al contempo essere vincolata ad
un rigoroso rispetto del budget che verrà assegnato ad ognuno
secondo un principio di assoluta equità ed uguaglianza. Da questo
punto di vista ciascun progetto dovrà rispondere a quel concetto di
“sostenibilità” che, a mio avviso, dovrà diventare il vero
valore discriminante per ogni azione futura, sia questa di natura
politica, artistica, industriale o culturale. L’alternanza tra i
sette compositori che abiteranno la “stanza sonora” dovrà
garantire a ciascuno eguali opportunità per i tempi di allestimento
e di visibilità al pubblico di visitatori. E’ nello spirito del
progetto che ogni compositore possa godere della massima libertà nel
coinvolgere, per l’ideazione e la realizzazione della propria
“giornata ideale nel ‘23”, altre figure creative, da qualsiasi
sfera del sapere essi provengano (letteratura, scienza, architettura,
ecc.) purché ovviamente non si verifichino casi di sovrapposizione o
intersezione. Ogni singola “giornata ideale nel ‘23” dovrebbe
essere progettata in modo che possa essere possibile replicarla otto
anni dopo, in occasione della futura Esposizione Universale.
Dei delitti e delle
pene di Giorgio Battistelli / Franco
Marcoaldi
Il progetto prende
idealmente spunto dal libro di Cesare Beccaria, uno dei capolavori
dell’Illuminismo europeo, l’opera italiana più diffusa e
discussa del Settecento. Attraverso la musica, la parola poetica, il
suono rielaborato elettronicamente e l’immagine, si utilizza quel
testo per riflettere sull’idea di delitto e pena nella società
odierna, attraverso la forma di ‘un oratorio civile per orchestra,
coro, coro di detenuti, live electronics e dispositivo video’.
L’esecuzione potrebbe avere luogo nella stessa piazza Beccaria di
Milano e dovrebbe prevedere l’intreccio in tempo reale tra il suono
dell’orchestra e del coro professionale con il coro dei carcerati
che cantano dall’interno di San Vittore. Quanto al dispositivo
video, le telecamere, piazzate tanto in carcere quanto nel luogo
dell’esecuzione, saranno come finestre che consentiranno ai
detenuti di vedere ciò che accade nella piazza e al pubblico
presente di vedere e sentire quel che accade all’interno del
carcere, rumori compresi. La spazializzazione del suono, la parte
orchestrale e i due cori verranno elaborati elettronicamente da
Alvise Vidolin. L’intento dichiarato del progetto è quello di
creare, senza pedagogismi di sorta, un ponte ideale tra il passato
più alto della civiltà milanese e il nostro presente, tra il
‘fuori’ della società libera e il ‘dentro’ di chi patisce la
pena.
Raccontare l’Italia
di
Giorgio Barberio Corsetti
Vorrei fare uno spettacolo
sull’Italia. Raccontare le storie di vari personaggi di diverse
regioni italiane che si incrociano a Milano, dove vivono per ragioni
di lavoro. Cosa resta delle origini quando ci si trasferisce in una
grande città? Come sono le famiglie di provincia, ora, e cosa resta
della cultura contadina? lavorando con parole, dialoghi, immagini,
musiche, con attori di luoghi diversi, con influssi dialettali che si
mischiano all’italiano, vorrei fare un affresco sulla confusione e
l’identità del nostro paese. Poche parole per un progetto.
Ultimi 50 anni di
musica di Lorenzo Ferrero
Ciò che resta e ciò che
è da dimenticare Do per scontato che, come già annunciato dalla
Scala per 'Licht' di Stockhausen, le istituzioni milanesi
concorreranno nel migliore dei modi. Tuttavia l’Expo 2015 sarà, e
sicuramente dovrà essere, una vetrina dell’Italia. Nel nostro caso
dell’Italia musicale. Una domanda che ci si potrebbe porre è se
l’Italia musicale ha bisogno di una vetrina. Penso di sì, perché
a parte qualche fortunata eccezione, negli ultimi tempi siamo
diventati più importatori che esportatori. Ci sono dei campi in cui
lo siamo di più e altri in cui la siamo di meno, tuttavia un
panorama globale è perfino difficile averlo all’interno
dell’Italia stessa. L’occasione potrebbe essere utile anche per
fare il punto su ciò che resta e ciò che si può dimenticare degli
ultimi cinquant’anni. Farei una proposta ai principali festival e
istituzioni lirico- concertistiche: trovare una risposta a questa
domanda, che riguarda il teatro musicale, la concertistica, la danza,
ma anche il jazz e una parte della musica popolare. Il risultato
potrebbe costituire il palinsesto per un festival intenso e
concentrato, eventualmente nel periodo di maggiore prevista affluenza
di visitatori. Per il resto dell’anno, oltre che un programma
potrebbe essere un itinerario, che tocchi i principali centri di
attività, una sorta di Skipass musicale anche multiplo, con percorsi
tematici che assecondino ma soprattutto stimolino gli interessi dei
visitatori.
La passeggiata delle
Cattive di Azio Corghi/ Emma Dante
Teatro musicale in un
atto, da un racconto di Emma Dante. Sceneggiatura/libretto/musica di
Azio Corghi 'CAPTIVE' . Dal latino: imprigionato, reso schiavo. Nel
caso delle vedove palermitane: imprigionate nella memoria del marito
morto. Il termine ha il medesimo significato nella lingua in- glese
(varia solo la pronuncia) ovvero CAPTIVE (‘kaeptiv) significa:
prigioniero, schiavo, in gabbia, in cattività, nel recinto. Ma TO
CAPTIVE può pure significare (fig.): affascinato, attratto, sedotto
da…." Le mura delle cattive è un'antica via sopra le mura di
Palermo, dove le vedove (dal latino cap- tive, cioè imprigionate
nella memoria dei mariti morti) passeggiavano la domenica, lontane
dallo sguardo indiscreto del cassero che era l'attuale corso Vittorio
Emanuele (la via principale di Palermo). Sugli spalti di queste mura
potrebbe essere ambientata la nostra storia di passione e vergogna di
una donna che, per salvare il marito dalla vendetta di una famosa
famiglia mafiosa, lo nasconde, facendolo credere morto. Il marito ha
ucciso il boss della suddetta famiglia, che voleva infangarle
l'onore. Dopo il duello lei fa credere a tutti che anche il marito è
morto. Lo fa scappare e dopo aver allestito un finto funerale, si
veste di nero ed entra definitivamente nella clausura del suo lutto.
I due coniugi, però, spinti dalla passione e da un amore
sconsiderato, s’incontrano di nascosto, durante la passeggiata
delle vedove, cercando di non farsi scoprire dalle altre donne velate
di nero. Verranno scoperti e comincerà la tragedia."
Cantantibus organis
mediolanensis di Francesco Filidei
La mia doppia formazione
di compositore ed organista indirizza la mia proposta verso il mondo
dell'organo. L'Expo 2015 potrebbe rappresentare in effetti un'ottima
occasione per evidenziare lo straordinario patrimonio artistico
costituito dai numerosi organi delle Chiese di Milano: accanto ed
attraverso di essi passa una tradizione certo sottovalutata, che dai
Gabrieli e Frescobaldi ha continuato, sebbene in sordina, fino a
Marco Enrico Bossi, autore che non ha niente da invidiare ai
compositori/organisti europei della sua epoca. Berio, Donatoni,
Bussotti, Sciarrino, Fedele ed an- cora Mauro Lanza, fra i più
giovani, hanno contribuito ad arricchire il repertorio; ma, ancora,
manca una attenzione più generale in Italia per uno strumento
imprescindibile nella storia della musica. Presentando un percorso
musicale attraverso le Chiese milanesi scelte secondo la loro
ubicazione, le loro caratteristiche e la qualità degli strumenti, si
potrebbe avvicinare un pubblico numeroso e non necessariamente
abituato alla musica di ricerca. Ad ogni concerto sarebbe quindi da
associare una commissione proposta ad un compositore contemporaneo e
legata oltre che al tema proposto per l'Expo, alla specifica
disposizione fonica dello strumento, dai Tamburini, a quattro e
cinque tastiere, della Chiesa di Sant’ Angelo o della Cattedrale
ai Mascioni della Basilica di Santa Maria della Passione, ad una
tastiera, con temperamento ‘inequabile’. Ogni nazione coinvolta
potrebbe presentare un organista ed una prima assoluta di un
compositore possibilmente della stessa origine. In ogni programma
dovrebbe inoltre essere presente un pezzo di compositore italiano di
un qualsiasi periodo storico che bene si associ con le
caratteristiche dello strumento a disposizione. Essendo l'organo a
canne l'antenato naturale dei sintetizzatori moderni, potrebbe essere
interessante presentare concerti con pezzi per organo e
sintetizzatori alternando anche pezzi elettroacustici predisposti per
lo spazio in questione. Il lato visivo, fino ad oggi trascurato nei
concerti d'organo per evidenti ragioni, deve essere valorizzato,
presentando una curiosa ed interessante esperienza per il pubblico
non abituato la visione di un interprete impegnato fisicamente in
modo totale, mani e piedi, su registi, pedali, tastiere, staffe. Una
o meglio più telecamere, con attenta regia, dovrebbero riprendere da
diversi punti di vista gli esecutori e gli organi o altri dettagli
della Chiesa interessanti, proiettandone le immagini su uno o diversi
schermi giganti. Ad alcuni concerti si potrebbe associare inoltre la
creazione di video realizzati su pezzi in programma da videoartisti
di differente nazionalità.
Pianeta immateriale
di Michelangelo Lupone
La presenza dell'acqua
caratterizza il progetto della nuova area espositiva della Expo, che
si allunga dal padiglione Italia all'ingresso ovest. La scelta di
creare un percorso costeggiato da canali e stagni, che congiunge i
padiglioni con slarghi limitrofi al percorso d'acqua, segnala sia
l'attenzione per questo componente generativo e imprescindibile della
vita, sia il bisogno di accompagnare con continuità il visitatore
con un elemento dinamico, sempre diverso nelle forme del fluire e
accogliente e rilassante nella stasi proposta dagli slarghi. Pianeta
immateriale è un'opera musicale pensata per vivere proprio in quei
corsi d'acqua. É un'opera interattiva, adattiva ed evolutiva:
avverte la prossimità, i movimenti, la voce del pubblico e può
instaurare con lui giochi timbrici e traiettorie impreviste;
trasforma i suoni e gli andamenti, in funzione delle condizioni
sonore, luminose e ambientali circostanti, seguendo il corso del
giorno; si evolve offrendo ogni giorno una diversa interpretazione
della musica che le dà vita. La musica percorre i corsi d'acqua in
modo non invasivo, può accompagnare il visitatore per tratti anche
lunghi, fermarsi e allontanarsi rapidamente. Le sue trasformazioni
sono lente e progressive quando non interagisce con il pubblico,
vivaci quando i movimenti umani, le voci, le luci sono prossimi al
corso d'acqua. L'intero percorso è diviso in ventidue diversi tratti
spaziali o sezioni musicali; ogni sezione è caratterizzata da una
identità acustica che si ispira alla cultura musicale e ai suoni di
ciascuno dei paesi partecipanti. Ogni sezione rinnova la propria
iden- tità sette volte al giorno, affinché anche gli elementi
espressivi di ogni tratto del percorso siano rinnovati. Due volte al
giorno, per trenta secondi, tutte le se-
zioni diventano
“comunicanti”, le identità convergono in un solo pregnante
elemento musicale che corre lungo le sponde, compare in ogni tratto e
scompare allontanandosi verso una delle uscite. L'interazione con il
pubblico non è costante lungo il percorso, le risposte dell'opera
dipendono dal tratto in cui ci si trova, ossia dal carattere musicale
attivo in quel momento. Si alternano, di conse- guenza, tratti in cui
si può parlare con la musica e ricevere “risposte” come il
movimento improvviso e concitato dei suoni, il loro avvicinamento al
pubblico, o tratti in cui l'interazione è più lenta, riflessiva,
dominata da trasformazioni timbriche. N.B.: Il suono si propaga
nell'acqua a velocità anche cinque volte superiori rispetto
all'aria; ciò permette di realizzare movimenti del suono molto
complessi, e permette di percepire sulla superficie trasformazioni di
timbri straordinari, sconosciuti alla esperienza comune. Nelle aree
dove sono presenti gli slarghi, la musica è percepibile solo nelle
immediate vicinanze dell'acqua. Questo rende discreta e accogliente
la partecipazione dell'opera alle attività di riposo e di incontro
del pubblico. Pianeta immateriale conserva tutte le informazioni
relative alle proprie trasformazioni di timbro, di altezza, di ritmo,
di spazializzazione, mantiene una traccia storica del processo
adattivo (es. quando prolungate perturbazioni climatiche ne fermano
i processi), conserva gli elementi salienti e/o ricorsivi attivati
dall'interazione con il pubblico. I dati sono analizzati da un
sistema di auto-regolazione dell'opera musicale che, durante la notte
(momento di inattività), in base a regole di condotta formale,
compositiva, attiva i processi di selezione, di trasformazione e di
generazione dei suoni. Anche i modi di comportamento interattivo
vengono sottoposti ad analisi e regolati quando risultano ridondanti,
decorrelati dal carattere espressivo o temporalmente non associabili
al materiale sonoro (es. suoni con evoluzione lenta in attività
interattive rapide). Ogni anno l'opera effettua una sorta di sintesi
del proprio trascorso sonoro, organizza i materiali sonori in una
grande forma e dona un concerto di circa trenta minuti, utilizzando
tutte le le sorgenti di suono a sua disposizione. La musica viene
eseguita senza in- terruzioni durante il concerto, è presente
simultaneamente in tutti i tratti del percorso e tutti i processi di
ricezione sensoriale e di risposta sono disattivati. Si possono
seguire le evoluzioni dell'opera anche attraverso Internet. Pianeta
immateriale è presente nella rete con una speciale pagina
interattiva che permette di ascoltare lo stato attuale di ogni
sezione. Si possono scaricare le trasformazioni del giorno precedente
e possono essere introdotte variazioni musicali in ogni sezione, come
se l'utente interagisse in prossimità del corso d'acqua. Tutte le
azioni interattive introdotte attraverso internet sono analizzate
durante la notte e, se congruenti, sono rese attive il giorno
seguente.
Passio in memoriam Pier
Paolo Pasolini di Paolo Cavallone
Il progetto prevede la
realizzazione di un oratorio laico con testi recitati e cantati che
coinvolga scrittori/librettisti/poeti e musicisti classici e pop
(compositori di classica contemporanea e di mu- sica pop/interpreti
pop e classici). In occasione dell’Expo 2015 si intende celebrare e
valorizzare la grande creatività dell’arte italiana con la
partecipazione di musicisti viventi (Senior e Junior). Pensare ad una
“vetrina” musicale per L’Expo 2015 mi spinge, da musicista, a
“tradurre” in movimento sonoro il confronto con la società
contemporanea (nella fattispecie quella occiden- tale), tentando di
restituire la molteplicità dei con- tenuti generati da tale società.
Nel 2015 ricorrono, inoltre, i quaranta anni dalla morte (2 novembre
1975) di Pier Paolo Pasolini, una delle figure centrali della cultura
italiana del XX secolo. Pasolini, idealmente rappresenterebbe una
sorta di “collante” su cui inserire il lavoro dei vari artisti
coinvolti nel progetto. Il “genere” Oratorio: un veicolo di
comunicazione di un testo drammatico liberamente tratto dal Vangelo
di San Matteo, su cui si innestano versi e testi tratti dall’opera
di Pasolini e da quelle di altri poeti, scrittori ed autori di testi,
provenienti da diversi generi letterari e musicali. Il risultato è
la realizzazione di un oratorio laico. La collaborazione fra artisti
di diversi “generi” musicali costituirebbe un tentativo di
generare una
sorta di caleidoscopio
sonoro inteso come specchio delle ramificazioni delle sovrastrutture
generate dalla nostra società; come anche capace di esprimere la
capacità della musica, o meglio, del suono di bucare la rete
invisibile, generata da tali sovrastrutture, e che impedisce al
“poeta” di raggiungere l’anelata “verità”, nascosta dietro
le “cose”. In sostanza le dinamiche ed i movimenti sonori ci
avvicinano e forse sono l’unico mezzo capace di tornare alla
realtà. Pasolini è termine di confronto e spunto per una
riflessione; il suo essere sempre attuale, mi spinge, da musicista, a
proporre un tentativo di “tradurlo” in movimento sonoro, in una
sorta di percorso introspettivo che, nel confronto, tenti di
restituire la purezza dei contenuti e soprattutto di generare un
“entrare” ed “uscire” dalle tematiche, dalla soggettività
alla oggettività del pensiero, dalla visione in- trospettiva alla
porta astratta capace di veicolare ogni gesto. Peraltro, Pasolini
aveva espresso la volontà di tradurre musicalmente la sua
espressività. Non si vuole riproporre il noto, quanto emotivo, topos
che vede Pasolini come una sorta di martire, un santo laico. Il
soggetto sacro è assunto a simbolo di un mondo puro, agrario, il cui
referente primario è la natura con la sua verità (che lo stesso
Pasolini rimpiangeva: “parli con un giovane nato in questi anni…
la terminologia agricola è per lui incomprensibile, bisogna
tradurgliela… il Vangelo e Cristo sono espressione di un mondo
contadino arcaico che è sopravvissuto per duemila anni... c’è
stato un rovesciamento di tutto questo… credo nel progresso, non
credo nello sviluppo, e nella fattispecie in questo sviluppo… sono
direttamente interessato ai cambiamenti storici… a questo punto uno
si chiede anche se sarà possibile continuare a scrivere delle
poesie, io … non scrivo più versi… l’impossibilità… a fare
un vero discorso sulla realtà… perché questo rapporto con la
realtà è soffocato… un poeta non riesce mai ad individuare, a
vincere… questo può urlare un profeta che non ha la forza di
uccidere una mosca la cui
forza è nella sua degradante diversità, solo detto questo e urlata
la mia sorte si potrà liberare e cominciare il mio discorso sopra la
realtà”) che oramai non esiste più, som- mersa dalla società
contemporanea. La morte di Cristo si identifica così con quella di
una civiltà che ormai non ci appartiene se non come “violenza
delle memorie”: “il momento più sublime della chiesa cattolica è
il momento dell’ascensione, il momento in cui Cristo ci lascia soli
a cercarlo…”. In questa ottica, tale citazione si configura come
una possibile tensione alla Verità (Cristo/mondo
agrario/reale/terreno); la scelta della Passione tratta da Matteo è
dettata dalla volontà di sottolineare il carattere “umano” (“…
per me il Vangelo è una grandissima opera intellettuale, una
grandissima opera di pensiero, che non consola, che riempie, che
integra… ma della consolazione che farcene… è una parola come
speranza…”) come più volte Pasolini evidenziò durante la
realizzazione del suo film sul Vangelo, testimonianza della sua
visione “religiosa”, ma non mistica del mondo. Le metafore dei
due poli: Cristo (la realtà umana e sociale strettamente connessa al
referente natura), Pasolini (l’interprete del nostro tempo, una
sorta di trait d’union fra la cultura storica e la cultura
contemporanea, la nuova preistoria) racchiudono l’ossimoro
esistenziale contemporaneo e consentono di proiettare ogni
significante - che esploderà in una serie indistinta di significati
nell’attualità più estrema, in una sorta di percorso interiore
che si innesti in simbiosi con il discorso sociale. In sostanza si
tenta di affrontare lo stesso oggetto da diverse prospettive –
esattamente come avviene nella società di oggi, legata a meccanismi
ciclici che impediscono il “naturale” decorso degli eventi –
proprio per cercare di restituirne la purezza. Il tutto in una
“ricerca”, in una realizzazione, ed una collaborazione fra
artisti tutte italiane.Riferimento precipuo potrebbe essere la
'Passione secondo Matteo' di J. S. Bach, che Pasolini utilizzò come
colonna sonora del suo Vangelo… possibile utilizzo del latino per i
testi sacri e ovviamente dell’italiano per i testi di Pasolini. La
lingua latina in quel caso simboleggerebbe un mondo scomparso e
rafforzerebbe l’ossimoro insito nel lavoro, con tutte le
implicazioni che ne conseguono…
Elogio del folle.
Carmelo Bene di Riccardo Panfili
In questi tempi di crisi –
una crisi e crisi “reale” che viene troppo spesso additata come
scusa per tagli selvaggi alla cultura – in cui di nuovo sof- fiano
venti che inneggiano all’ordine, alla disciplina, a norme severe,
ad un Stato più forte, muscoloso, autoritario, mi sembra un buon
antidoto rendere omaggio ad un grande “folle”, “anarchico”,
“indisciplinato” artista italiano (e insuperabile Maestro di
libertà): Carmelo Bene. Sarebbe interessante – in occasione
dell’EXPO del 2015 – costruire uno spettacolo teatral-musicale
che parta da una delle opere più dirompenti e libertarie di Bene:
ossia da Nostra Signora dei Turchi (1968), facendo riferimento sia
alla versione romanzesca sia a quella filmica dell’opera. Il fulcro
del lavoro dovrebbe ruotare intorno alla figura del protagonista
dell’opera beniana: il folle che tenta disperatamente di diventare
“più cretino”, di uscire fuori dalla maglie e dalle norme
dell’io sociale e dei valori imposti; tentando l’estasi di chi si
è liberato dalle leggi introiettate dall’esterno. Sarebbe
divertente costruire un’opera comica, bur- lesca, surreale,
maleducata, tutta infarcita dalle bizzarre metamorfosi del
personaggio beniano. L’opera può essere articolata attraverso
alcune scene madri, che sviluppano precisi spunti drammaturgici
tratti da Nostra Signora dei Turchi. La voce registrata di Bene,
tratta dalla colonna sonora del film o da altre opere dell’attore,
risuonerà come una sorta di commento esterno, di voce interiore
dell’opera. Il personaggio principale sarà incarnato da una voce
recitante; gli altri (Santa Margherita, L’Editore, La Serva)
saranno affidati a cantanti tradizionali.
1) Innanzitutto, una
scena iniziale svilupperà le evoluzioni folli del personaggio
beniano che tenta il volo dell’estasi e della perdita del proprio
io, gettandosi ripetutamente da un balcone e ricopren- dosi quindi di
bende e fasce. In questa scena ini- ziale la voce recitante rimarrà
muta: la voce dell’orchestra e quella “interiore” di Bene
tesseranno l’intero ordito sonoro. 2)Un’ulteriore scena-madre
svilupperà il rapporto del “folle” con Santa Margherita, discesa
dal Paradiso per assistere il suo amato. Sarà ripresa la scena
surreale di Nostra Signora dei Turchi, in cui la Santa – con una
posticcia aureola di ferraglia – abusa sessualmente del “folle”
ripetendo, come un automa, la formula cristiana “io ti perdono”,
mentre una vecchia Fiat Cinquecento, con i fari accesi, entra
magicamente in camera parcheggiandosi ai piedi del letto. Il folle si
addormenterà sul cofano dell’auto come se essa fosse un cuscino.
In questa nuova scena irromperà la figura della Serva, sviluppando
la sequenza del film in cui il “folle” cerca di amoreggiare con
la povera donna immersa in una cucina grondante di sugo e invasa di
piatti lerci; l’amplesso si rivela impossibile: in una delle sue
metamorfosi, il folle si è mascherato da cavaliere medievale bardato
da una pesante armatura di ferro, ed entra in scena in sella ad un
cavallo bianco! La santa, delusa, contempla l’amplesso mancato
dalla cripta di un altare: è ritornata in paradiso e di lei non
rimane che una statua.3) Rompendo lo sviluppo temporale del film (e
del romanzo) la scena successiva ritornerà indietro, attingendo alla
sequenza in cui il protagonista si maschera contemporaneamente da
vecchio frate e da frate novizio, interpretando nello stesso tempo i
due ruoli (nel film, Bene non fa altro che mettere e togliere una
barba posticcia). Il vecchio frate – cucinando, ingurgitando di
continuo cibi e vino, ruttando (con l’ausilio dell’elettronica si
potrebbe elaborare una sorta di 'Concerto grosso' fatto di rutti e
fonazioni digestive, come si trattasse di una raffi- nata eco della
voce recitante:una sorta di vademecum musicale del bon ton) e
imprecando – si prodiga in consigli improbabili riguardanti il
rapporto tra il “folle”, la Santa e la Serva. 4) Un Intermezzo
fermerà l’azione dell’opera: sulle parole dello splendido
monologo “ci son cretini che hanno visto la madonna e cretini che
non hanno visto la madonna” recitato da Bene nel film, l’orchestra
tesserà una sorta di controcanto ele- giaco e sognante. 5) L’ultima
scena svilupperà i rapporti tra il “folle” e L’Editore, e
quindi tutto il discorso “anarchico” di Bene contro le varie
forme di Potere. Lo stravagante alter-ego di Bene (soprattutto nella
versione romanzesca dell’opera) scrive in conti- nuazione lettere e
missive, indirizzate a produttori, politici, a uomini di potere: mi
ha fatto sempre pensare – per una sorprendente somiglianza – agli
ultimi mesi torinesi di Nietzsche – i giorni febbrili che precedono
l’esplosione definitiva della follia, nel Gennaio del 1889 – in
cui il filosofo (anti-)tedesco si prodiga in una compulsiva attività
epistolare. Sono lettere esaltate, folli, dirompenti, terribili;
delle vere dichiarazioni di guerra “contro tutto ciò che finora è
stato creduto, pensato, venerato”. Quindi, all’inizio della
scena, mentre il “folle” legge all’editore la sua lettera
indirizzata ad un fantomatico Ministero (lettera presente nel
romanzo), nell’enfasi della recitazione – come prima si era
mascherato da frate o da cavaliere – si compie l’ultima
definitiva metamorfosi: il folle si traveste da Nietzsche, l’altro
grande “libertario” e “dinamitardo della cultura”, il
Nietzsche “folle” delle ultime lettere di Torino, che dichiara
guerra, con deliranti missive, ai più importanti Stati e so- vrani
europei. In uno stato di febbrile esaltazione, il “folle” (no-
vello Nietzsche) legge – in una danza ebbra – stralci delle
ultime lettere della follia nietzscheane: frattanto l’editore, la
Serva e la Santa (rientrate in scena), come in una festa liberatoria,
indosseranno maschere che ritraggono i tiranni della storia del
Novecento (Mussolini, Hitler, Stalin etc.). La recitazione forsennata
del folle si fermerà sulla frase agghiacciante presente nell’ultima
lettera nietzscheana indirizzata a Burckhardt (6 gennaio, 1889): “Io
sono tutti i nomi della storia”. Tutti si bloccheranno
improvvisamente, come in un meccanismo inceppato; dall’alto
scenderà una croce fosforescente, come quella usata da Bene nel
finale del film Salomé. Prendendo spunto dall’auto-crocifissione
che chiude quest’ultimo ruti- lante film, anche il nostro
protagonista tenterà di crocifiggersi da solo: ma, per forza di
cose, una mano rimarrà libera e, come ultimo sberleffo salu- terà
idiotamente e sghignazzando il pubblico. Ovviamente, in queste poche
righe, abbiamo sem- plicemente tratteggiato, in modo
impressionistico, un’idea complessiva dell’opera, senza entrare
in particolari drammaturgici, musicali e formali. Sarebbe utile
affiancare – alla rappresentazione dell’opera – tutta una serie
di convegni, conferenze, incontri incentrati sulle grandi figure dei
“folli”, dei non-integrati, degli “irriducibili”, dei
marginali, dei proscritti della cultura occidentale: su Giordano
Bruno, su Max Stirner, su Friedrich Nietzsche, su Antonin Artaud, su
Carmelo Bene etc.Una sorta di allegra sagra dell’“uomo in ri-
volta” – per dirla con Camus – dell’uomo estatico: liberato –
una buona volta – da Norme, Leggi, altari della Patria, valutazioni
di Mercato.
Nord e sud del mondo
di Marco Stroppa
Devo confessare che non ho
mai provato un amore speciale per le esposizioni universali, in
particolare quando sono organizzate da un paese "del nord",
cioè da uno di quelli che da secoli comandano al nostro pianeta
quello che vogliono, e impongono i loro modelli socio-economici,
morali, politici e talvolta filosofico-re- ligiosi con una violenza
inaudita e un'arroganza infinita.Facendo io stesso parte di questa
cultura, non vorrei affermare che tutto quello che abbiamo costruito
sia da gettare, ma questa "esposizione" un po'
megalomaniaca della potenza del "vincitore" mi ha sempre
disturbato, io che da culture cosiddette "minori" ho sempre
tratto delle sorgenti di ispirazione formidabili per il mio lavoro,
anche se poi, per rispetto delle sorgenti originali, le ho "digerite"
a modo mio, e assimilate nella tradizione della quale, per forza di
cose, faccio parte. Un altro aspetto che mi piace poco è il
carattere "effimero" e ecologicamente disastroso di tali
esposizioni: una volta terminate, si distrugge tutto, o quasi, anche
delle cose che avrebbero potuto e dovuto continuare ad esistere.
Nel campo della musica, ad esempio, l'utopico "Pavillon Philips"
del 1958 a Bruxelles, realizzato da Le Corbusier con la musica di
Edgard Varèse è ora soltanto un pezzo di storia. Per queste
ragioni, fra tante altre, ho formulato un progetto diverso e,
soprattutto, un progetto che possa restare. Per quest'ultimo aspetto,
farei equipaggiare una sala da concerto (da scegliere in funzione di
varie ragioni tecniche, musicali, geografiche, e, naturalmente,
politiche) con un sistema di "Wave Field Synthesis" (WFS),
che per- mette una resa sonora tridimensionale e un posizionamento
di sorgenti acustiche reali o virtuali con una precisione sino ad
ora ineguagliata. Poche sale, per lo più sperimentali, sono oggi
dotate di un dispositivo completo, che comporta centinaia di
altoparlanti disposti intorno a tutta la sala e controllati da un
insieme di computers: ad esempio, la Hörsaal della Technische
Universität di Berlino, o quella dell'istituto Fraunhofer a Bonn.
Tale sistema, naturalmente, rimarrà installato anche dopo la fine
dell'esposizione o potrà servire per l'amplificazione di strumenti
tradizionali, per l'esecuzione di pezzi con elettronica, per
installazioni sonore, e infine, come mezzo sperimentale e di ricerca
a disposizione di artisti e scienziati. Imposterei inoltre il
contenuto del progetto sul tema del dialogo fra la nostra cultura
dominante "del nord" e le culture dei paesi del sud, non
nella forma di una paternalista "pacchetta" sulla spalla,
ma di un vero scambio di esperienze, valori, proteste, idee, o altro.
Chiederei a uno scrittore africano (non vorrei fare ancora dei nomi
precisi, tanto la scelta è ricca), di scrivere un testo ispirato dal
"Discours sur le Colonialisme" di Aimé Césaire, ma
pensato per una rappresentazione teatrale e adattato alle problema-
tiche odierne. Penserei all'Africa, perché mi sembra che sia il
continente attualmente più sacrificato e sottomesso a delle enormi
pressioni da parte dei predatori finanziari ed economici
globalizzati, che stanno metodicamente distruggendo le basi stesse
dell'esistenza di culture straordinarie. Si pensi, per citare
soltanto due esempi fra mille altri, alle sovvenzioni
all'esportazione di materie agricole, che l'Europa dà ai propri
agricoltori e che provocano la sparizione delle colture alimentari
locali, i cui prodotti non sono più competitivi rispetto a quelli
importati dall'Europa e che hanno viaggiato per migliaia di
kilometri, o all'assalto violentissimo di Monsanto per imporre gli
OGM dovunque, con mezzi al limite della criminalità. Chiederei
inoltre a uno scrittore "italiano" che ne abbia la voglia e
il talento, di scrivere un testo "in contrappunto"
all'altro, nello spirito di un dialogo, più o meno semplice, ma
sempre pensato per una rappresentazione teatrale. Chiederei, infine,
a un artista visivo, di pensare a un progetto artistico, che includa
delle esperienze multimediali, su questi testi, se possibile con una
proiezione in tre dimensioni, o su schermi diversi, con degli
elementi in tempo reale che possano reagire a quello che succede
sulla scena. Infine, penserei a un "meta-contrappunto"
musicale su questi testi e queste immagini, cioè un lavoro
elettronici diversi, pensati per e diffusi dal sistema WFS, e sei
cantanti con un trattamento in tempo reale. Concretamente: due attori
o attrici (una/o africana/o e una/o italiana/ o), amplificati, sei
cantanti, amplificati e trattati, qualche strumento amplificato, un
direttore d'orchestra (forse), immagini multimediali ed elettronica.
Desidererei che ogni "realtà", i testi, quella visiva e
quella musicale, abbia una certa autonomia e bellezza "proprie",
ma che l'avvenimento ne permetta l'incontro, il dialogo e, perché
no, l'apparizione di un tutto superiore al valore intrinseco di ogni
aspetto. Ma mi sembra importante che ciascuno possa anche avere una
vita autonoma, come un testo di teatro, ad esempio, o un pezzo di
musica, o un'installazione multimediale. Naturalmente, non esiste
"un" autore del progetto, ma una cooperazione fra i vari
artisti di pari valore.
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