mercoledì 18 luglio 2018

I nuovi membri del Cda Rai del 'cambiamento'

Sia il Senato che la Camera nel nominare i propri membri - due  per ciascun ramo del Parlamento - nel consiglio di amministrazione Rai, hanno osservato la regola d'oro di tenere lontano dalla Rai i partiti. E ci sono  pienamente riusciti. E, infatti, salvo il caso della Borioni, membro del Cda in scadenza, in quota PD, ed ora riconfermata, che al suo primo mandato fece storcere a molti il naso, lei che era una esperta di arte ma che di tv non capiva un fico secco; la nomina della Coletti, operatrice tv, che ha seguito in tutti questi anni il Movimento Cinque Stelle e per questo è stata indicata, prima che dal Senato, dalla piattaforma Rousseau - ma insomma questi sono i membri eletti dalle Camere o dalle piattaforme? - risponde alla regola di tenere fuori i partiti dalla Rai che però ci mettono i loro servi. Ah, se il Senato si muovesse con altrettanta celerità anche nell'affaire ' vitalizi': ma la Casellati da quell'orecchio pare che non ci senta. Stessa solfa alla Camera dei Deputati.

 Ma sorprende ancora di più la nomina del Presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai: il giornalista  Alberto Barachini che ha lasciato la professione ed è stato eletto al Senato. Di lui tutti cantano la bravura e l'apprendistato di qualità alla scuola di Paolo Liguori. Non c'è dubbio che sia così. Conosciamo bene Paolo Liguori e la sua bravura, anche perché pure noi abbiamo lavorato per e con lui, ai tempi del Sabato, il settimanale. Ma la cosa ancora più interessante è che Baracchini negli ultimi anni, prima di entrare anche ufficialmente in politica, ha già lavorato per Forza Italia e più precisamente per il Cavaliere, suo datore di lavoro. Lui gli ha organizzato le apparizioni televisive.  Siamo sicuri, perciò, che ora le oscurerà per non farsi accusare di conflitto di interessi.

 Chi invece se ne è sbattuto di ciò che tutti pensano, e  cioè  che era dipendente in tutto e per tutto da Berlusconi, anche se tanti sforzi ha fatto negli anni in cui ha esercitato la professione di giornalista a capo di un glorioso settimanale, Panorama, per non darlo chiaramente a vedere, è Giorgio Mulè. Come per i magistrati, anche i giornalisti una volta dimessisi dalla politica non dovrebbero più tornare a fare i giornalisti, specie quando sono come Mulè. Chi crederebbe più a lui, ammesso che ve ne sia  qualcuno che gli abbia creduto anche prima che venisse eletto in Parlamento?

                          Non sappiamo chi l'ha detto, noi l'abbiamo letto su 'Lettera 23'.


                           La fedeltà premia sempre            rispetto alla bravura e alla competenza. E i partiti, specie quando sono al potere, hanno bisogno di servi, non di menti libere


Nessun commento:

Posta un commento