Noi, limitatamente all'Italia, lo andiamo dicendo e scrivendo da anni, da quando in maniera lampante ci siamo accorti per la prima volta che i cartelloni di alcune nostre importanti istituzioni musicali pullulano quasi esclusivamente di artisti stranieri.
Ora se ne sono accorti anche in Francia, dove evidentemente la situazione è risultata lampante, come in Italia, mentre ci sono paesi che a mantenere certi equilibri - non servono le quote,banali - stanno molto attenti.
Se ne accorge la Francia, e sorprende , perché si tratta di uno dei paesi nei quali, se si eccettuano i teatri d'opera, dove forse il problema è lampante, nelle stagioni concertistiche balza subito agli occhi la presenza massiccia, diremmo esclusiva salvo eccezioni, di artisti francesi e la sporadicità di quelli stranieri, eccettuati ovviamente i big che appartenono non più a questa o quella nazione ma al mondo.
Si scrive che in Francia la 'scrittura' di un artista, se francese, costa alle istituzioni più di quelli stranieri, perché la tassazione di chi paga le tasse in Francai è più alta. E dunque sotto tale profilo conviene alle istituzioni musicali scritturare artisti stranieri. Ma solo se non si tiene conto che poi quei compensi, sebbene meno esosi alla fonte, escono dal paese, producendo quindi un danno di non poco conto. Ai francesi tale fenomeno è parso simile a quello delle delocalizzazioni industriali in paesi dove la mano d'opera - perché anche di mano d'opera si può parlare sebbene in un campo 'alto' - costa meno. E per questo, dopo gli idraulici, riflettono in Francia, arrivano dall'estero anche cantati e direttori.
E' chiaro che questo fenomeno ha forti contraccolpi nella formazione e sviluppo della professione musicale in Francia, come in Italia. Chi penserà di intraprendere gli studi, molto selettivi e duri, per apprendere il mestiere di musicista, se poi vede che effettivamente le possibilità di lavoro nel proprio paese sono ridotte, ridottissime, quasi inesistenti?
In Francia, premesso che nessuno vuole creare frontiere anche artistiche, dicono che ci sono ruoli nei teatri per i quali, anche secondari, si scritturano artisti stranieri, quando invece potrebbero costituire l'occasione giusta per gettare sul palcoscenico i giovani.
Inutile negarsi che il problema sia reale ed anche grave e che abbia molte conseguenze negative - come abbiamo detto - ma anche molte cause altrettanto negative, a cominciare dallo strapotere delle agenzie, di contro allo scarso potere dei direttori artistici, spesso incapaci di formare un cast per il quale, più comodamente, si affidano agli agenti che hanno ben altri interessi che quelli di offrire, retribuito, un servizio alla comunità. Tante volte è stato anche detto di intrecci pericolosi e malavitosi, di interessi non specchiati delle une e degli altri, ed altrettante volte si è invocata, come profilassi, la permanenza limitata dei direttori artistici nei loro incarichi.
Un esempio: se un artista è inviso al direttore artistico, quell'artista non metterà mai piede nella istituzione che presiede e se la dovesse presiedere per un numero alto di anni, quell'artista su quella istituzione ci potrebbe fare una croce sopra. Non è che un esempio fra i più banali, al quale non si può replicare che i direttori artistici non agiscono sulla base di simpatie ed antipatie... fateci il piacere, chi non sa che tutto il mondo è paese, compreso quello della musica?
Per tornare da dove siamo partiti, noi il problema lo abbiamo denunciato da tempo; se poi a nessuno sembra importare - almeno fino a quando non scoppierà il bubbone, come avvenne tanti anni fa (ed anche allora c'erano di mezzo gli agenti, anche se per ragioni di carattere giuridico-legislativo )quando ci fu un'autentica retata di sovrintendenti, finiti, anche se per poco, dietro le sbarre - noi il nostro compito di cronisti l'abbiamo fatto.
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