Nel 1976 Enzo Siciliano, amico fraterno di Moravia e, dal 1966, anche suo collaboratore nella rivista Nuovi argomenti, pubblica per Rizzoli una biografia di Giacomo Puccini. Alberto Moravia la recensisce sul 'Corriere della sera', in data 12 dicembre del medesimo anno. Cortesia verso l'amico e l'editore, o reale interesse verso il musicista, spinto magari dalla singolare angolazione dalla quale Siciliano affrontava l'argomento? Semplice cortesia verso l'amico, siamo indotti a pensare, a voler giudicare dalla estrema scarsità di testi di argomento musicali di Moravia ( il precedente, su Giuseppe Verdi, risale a 13 anni prima). Tuttavia Moravia svolge la recensione su un terreno, che ha radici ovviamente nella biografia di Siciliano, ma che è per lui di particolare interesse - come suggerisce già il titolo del suo articolo Giacomo Puccini o la nevrosi borghese.
Il tema della borghesia, Moravia l'aveva già affrontato sia nel saggio dedicato al melodramma ( Il melodramma, 1934), sia in quello verdiano ('La “volgarità” di Giuseppe Verdi', 1963). Ora, cogliendo il suggerimento della biografia di Siciliano, torna sul tema della 'consapevolezza culturale degli artisti', per approfondirlo, al punto da dedicargli buona parte della recensione; ma premettendo che tiene fuori da detta analisi gli scrittori, i quali giocando con la parola che illustra un pensiero, non possono esserne estranei del tutto; ma con una attenzione particolare agli artisti italiani che, pur appartenenti ad una “cultura di grande tradizione”, per il fatto che essa è ormai “scontata e inoperante”, mostrano “consapevolezza sempre più scarsa”.
Annota Moravia che tale constatazione risulta evidente; perciò noi lamentiamo la 'mediocrità' di un artista, qual che sia il campo della sua attività dalla pittura alla musica, quando si cimenta con la parola, come nel caso di Puccini: “artista di straordinaria finezza e complessità, molto moderno anzi attuale, nel quale, accanto all'espressione della ferale e struggente insufficienza vitale che è propria del decadentismo europeo e che lo mette allo stesso livello di un Alban Berg, di un Debussy, di un Ravel, si accompagna, come dice Siciliano, l'appartenenza ad 'un ceto che ancora non sa quale sia il suo futuro: non più legato alle proprie origini contadine o mercantili: non è ancora borghesia e forse non lo sarà mai: è un grumo di esigenze e di velleità disposte a tutte le avventure dell'emigrazione come della politica'...un artista che sembrerebbe dotato come pochi per prendere coscienza di se stesso e del mondo in cui si trova a vivere. E invece non è così”.
E' il cuore del problema suscitato da Siciliano, condiviso in pieno da Moravia. Nel Puccini uomo tale consapevolezza manca del tutto. Ecco perché senza la musica egli appare “come un piccolo borghese toscano... malato della malattia del secolo ma non lo sa”, come buona parte dei piccolo borghesi italiani; e la esprime in “maniera 'sentimentale' cioè appunto con un massimo di comunicatività ed un minimo di consapevolezza culturale, come qualche cosa di privato e di meramente individuale” . Più precisamente, “non tanto nei contenuti che sono per lo più deplorevoli (Siciliano: “Puccini si è impantanato nel peggior romanzo per signorine”), quanto nella resa formale, perché Puccini, come non si stanca di dirci Siciliano, è un musicista molto moderno, cioè inquietante ed inquieto, capace di trasmutare tecnicamente in melodia le rimozioni, le inibizioni, i blocchi della nevrosi”.
Puccini vuole, come ogni artista, 'commuovere', come voleva commuovere Verdi e tutti gli artisti dell'Opera italiana; ma lui vi aggiunge la consapevolezza di essere “l'ultimo musicista ad esprimersi con l'Opera”. Tutto ciò non spiega ancora perché il musicista abbia espresso nelle sue opere tante cose di cui l'uomo non era consapevole. Perché?
Tentiamo di spiegarlo con una ipotesi esterna all'arte - scrive Moravia, il quale prende le mosse da una affermazione di Siciliano. “Puccini, con tutta la sua tecnica, è stato un oggetto e non un soggetto della storia”. Come del resto molti artisti suoi contemporanei, dai più grandi: Wagner e D'Annunzio, ai meno grandi: Boecklin e lo stesso Puccini.
Cosa si intende per 'oggetto' e non 'soggetto' della storia? Spiega Moravia “vuol dire, secondo me, essere onirico, cioè vivere in un sogno determinato da inconsce pulsioni sociali e culturali. Gli artisti oggetti della storia sognano anche quando credono di tenere gli occhi bene aperti... costretti dalle circostanze a sognare ad occhi aperti delle cose che non stanno in piedi se prese alla lettera...”. E' stato sempre così? Artisti oggetti della storia sono esistiti in tutte le epoche, perfino nel medioevo? Sì, ma con la sostanziale differenza che i 'sogni' degli artisti medievali “stanno in piedi” benissimo. All'epoca di Puccini non sognano solo gli artisti, sognano anche i politici e le masse. Altrimenti come altro spiegare il fascismo (un sogno romano), il nazismo (un sogno ariano), il franchismo (un sogno controriformistico), sogni culturalmente deteriori?
“Alla luce di questa forse parziale ma non arbitraria interpretazione, Puccini si rivela un borghese italiano proprio qualsiasi, cioè come ce n'erano tanti nella categoria dei cosiddetti 'professionisti'... vive la sua nevrosi dentro i limiti angusti di una professione liberale, e così approda, inevitabilmente, in maniera inconsapevole, anche se sinceramente vissuta e sofferta, alla disperazione borghese”. “ La cui originalità consiste soprattutto nell'essere incomunicabile”. Cos'altro vuol dire e può significare il “prosciugamento della vocalità” in Puccini, se non la incomunicabilità e afasia borghesi che esprimono oggi artisti come Antonioni e Bergman, nel cinema?
Moravia conclude rilevando libertà e felicità della biografia/saggio dell'amico che derivano a Siciliano dall'oggetto, lontano dalle sue più assidue preoccupazioni, ed anche dalla novità, per lo studioso, e cioè: “ l'esplorazione illuminante dell'oscuro rapporto nevrotico tra Puccini uomo e Puccini artista”.
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