martedì 24 dicembre 2024

Irene Pivetti condannata. Non era presidente della Camera, esponente e vanto della Lega? ( da La Stampa)

 Per l'imputata Irene Pivetti, condannata lo scorso 26 settembre a 4 anni di reclusione, i «fatti appaiono gravi», sia per il «quantum di imposta evasa» conteggiabile in 3,4 milioni di euro, sia per la circostanza che l’imprenditrice ed ex presidente della Camera, «dopo aver realizzato un meccanismo particolarmente capzioso, pur di scongiurare il rischio» che i proventi delle operazioni commerciali in Cina fossero soggette a tassazione, «ha portato avanti il suo proposito criminoso per lungo tempo, provando a precostituire successivamente giustificazioni, creando un apposito canale che le consentisse il trasferimento di quelle somme di denaro, trasferite su altri conti, senza di fatto mai ravvedersi del suo operato». Lo scrive il Tribunale di Milano nelle motivazioni della sentenza di primo grado.

L’evasione fiscale

A processo Pivetti ci era finita perché - secondo il pm Giovanni Tarzia, titolare delle indagini della Guardia di Finanza - avrebbe nascosto nel 2016-2017 al Fisco i proventi milionari dell’operazione commerciale nel 2016 di acquisto per 1,2 milioni di euro di tre auto Ferrari Gran Turismo e il marchio della scuderia Isolani Racing Team dall’ex pilota di rally e dell’immediata rivendita di tutti i beni a 10 milioni a una società cinese. «L'imputata, come accertato dalla Guardia di Finanza e dall'Agenzia delle Entrate, ha indicato nelle dichiarazioni dei redditi relative agli anni 2016 e 2017 elementi attivi notevolmente inferiori a quelli effettivi», osservano le giudici Scalise-Cecchelli-Castellabate della quarta sezione penale.

Centotredicimila euro e quasi 36 mila euro dichiarati rispettivamente nel 2016 e 2017, a fronte di elementi attivi per quasi 7,9 milioni di euro nella prima annualità e 239 mila in quella successiva. «Né le dichiarazioni dell’imputata», che aveva reso interrogatorio sia in fase di indagini e ancora nel corso del processo «né la documentazione dalla stessa prodotta sono idonee a scalfire il solido impianto probatorio atteso che dalle stesse emerge unicamente la realizzazione di qualche iniziativa, di viaggi per intessere relazioni, ma l'assenza, sia sul piano formale che di fatto, della struttura di un vero gruppo societario».

Il modus operandi

Oltre a ciò, «il Collegio ritiene che Irene Pivetti – che negli anni precedenti ai fatti non risulta avesse raggiunto rilevanti successi imprenditoriali – si sia avvalsa di alcune delle società, utilizzandole come soggetti interposti, di meri intestatari e di meri canali di trasferimento di redditi di cui esse non erano effettive titolari in quanto non esisteva – come emerso chiaramente con particolare riguardo alle società costituite all'estero – un'effettiva attività di impresa che giustificasse le operazioni finanziarie». L’avvocato Filippo Cocco, legale di Pivetti, ha già annunciato l'intenzione di presentare ricorso: «Prendiamo atto del pensiero del tribunale, ma siamo convinti di avere fornito ampia prova positiva circa la non sussistenza degli illeciti contestati e pensiamo che in appello potranno essere valorizzate meglio le nostre tesi».

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