Le arti a Spoleto (1958)
GIAN
CARLO MENOTTI alla ricerca di una degna sede per il Festival dei due
mondi ha finito per scegliere Spoleto. Questa iniziativa di Menotti
rientra in una tradizione europea ormai antica; molte infatti in
Italia e in Europa sono le piccole città illustri che hanno il loro
“maggio” o “ giugno”, il loro festival, la loro settimana
teatrale o musicale. Sarebbe molto ingiusto oltre che superficiale
attribuire queste celebrazioni ad un intento soltanto turistico. In
realtà esse nascono da un sentimento più profondo e disinteressato
che chiamerei la nostalgia delle corti. Infatti, nei tempi andati,
era proprio in queste piccole città che le corti più o meno
illuminate giustificavano la loro esistenza con un mecenatismo
misurato e decoroso. Fiori terminali di una lunga e antica vita
comunale e civica, le società locali, dopo le fortificazioni e le
chiese delle prime età feroci e mistiche, avevano costruito palazzi
e case, teatri e sale da concerto; ma la rivoluzione industriale
imprevista e spietata aveva fermato per sempre uno sviluppo che
presupponeva l'eternità della civiltà rustica e artigiana. Con la
seconda metà dell'ottocento, difatti, tutte queste piccole città,
un tempo capitali di regni minuscoli, scadono a prefetture; nasce
così ufficialmente la provincia mai prima esistita, destinata a
diventare una dei luoghi comuni della letteratura naturalista
ottocentesca. Che cos'è essenzialmente la provincia, nel senso ormai
corrente della parola? Un luogo lontano della metropoli, dove la vita
della cultura giunge di riflesso, debolmente e indirettamente e
sempre con grande ritardo. Ma ecco che verso il principio di questo
secolo quella che ho chiamata la nostalgia delle corti, ossia del
mecenatismo illuminato e aristocratico, risveglia le piccole città
con i festival e le altre celebrazioni artistiche. Improvvisamente la
provincia diventa in più e più luoghi altrettanto moderna che la
metropoli, anzi più moderna perché lontana dalle folle, più
rarefatta socialmente e più selezionata artisticamente. Il nuovo
vino dell'arte moderna, talvolta diabolicamente alcoolico, viene
versato senza danni, anzi con evidente vantaggio di tutti, nei vecchi
recipienti delle piccole città storiche; la società della metropoli
si dà convegno in provincia. Così le grandi automobili scintillanti
si arrampicano per le quiete e un po' meste strade di
circonvallazione; e le rampe a gradoni, tra i vecchi palazzi,
risuonano dei tacchi prepotenti di esigenti bellezze del mondo
cosmopolita; negli alberghi tranquilli affacciati su immensi panorami
verdeggianti o su vicoli e piazzette erbose risuonano voci insolite
tra lo sbattere degli usci e il fruscio delle gonne. Un festival
musicale in una città come Spoleto è dunque molto di più che
un'occasione turistica ed estetica. Giocando sul titolo del festival,
si potrebbe dire che è addirittura un incontro tra due mondi.
Meditazioni
trasognate di fronte a meravigliose facciate di calde pietre indorate
dal sole di secoli, passeggiate per la campagna circostante o sui
monti sparsi di ville e di santuari, indugi sui belvederi cittadini
rinfrescati dalle brezze della sera, vagabondaggi notturni per le
viuzze deserte e oscure, tutto questo che forma di solito l'incanto
delle antiche città medievali, Spoleto può offrirlo in
soprammercato agli spettacoli del festival. Giancarlo Menotti
eleggendo la città umbra a sede del suo festival ha senza dubbio
fatto assegnamento su queste attrazioni , per adoperare una parola
falsa e scintillante da luna park. Sono le attrazioni profondamente
intime ed esclusivamente psicologiche dei luoghi lontani dalla vita
moderna, conservati intatti dalla gelosia della storia, i quali
chiedono al viaggiatore soltanto una disposizione d'animo
contemplativa. Spoleto certamente non si spettava di diventare sede
di un festival per opera di Giancarlo Menotti; lo stesso Menotti e
coloro che accoglieranno il suo invito non si aspettavano fino a poco
tempo fa di trovarsi a Spoleto per un festival. Da queste due
situazioni imprevedute e sorprendenti senza dubbio scaturirà il
successo dell'impresa.
Alberto Moravia
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