La regola che sembra valere nel campo dello spettacolo e della musica, senza che nessuno alzi la voce, sembra essere l'esatto contrario della cosiddetta 'delocalizzazione' in ambito industriale, contro la quale tutti protestano, giustamente. In tempo di crisi si va a produrre dove il lavoro costa meno, per risparmiare e rendere i propri prodotti più competitivi.
Nella musica avviene esattamente il contrario. In uno degli ultimi numeri di Music@ affidata alla nostra direzione - ora il Conservatorio aquilano, che ne era l'editore, ha cambiato testata, la sua rivistina si chiama ' Musica + o -', ed ha altre finalità - abbiamo lanciato l'ennesimo appello contro questo schifo italiano. Prendendo ad esempio due prestigiose stagioni sinfoniche, una più prestigiosa dell'altra - quella di Santa Cecilia rispetto a quella della Rai di Torino, ambedue con reggitori in comune, il che stabilisce un legame non casuale - abbiamo dimostrato come la presenza di artisti italiani di valore in ambedue i cartelloni della corrente stagione sia prossimissima allo ZERO. E ciò nonostante che la crisi dovrebbe consigliare i dirigenti di ambedue le istituzione a risparmiare ed a dare lavoro ad artisti italiani di valore uguale a quelli stranieri che vengono, invece, solitamente preferiti e che , sicuramente, costerebbero meno.
Il problema viene sollevato in questi giorni ancora una volta da una intervista di Roberto Bolle e da una lettera inviata da Luca Barbareschi a 'Repubblica'. Nell'uno e nell'altro caso ci si riferisce alla programmazione della prossima stagione della Scala che coinciderà con il tormentato, e forse non più così sicuro, arrivo di Pereira e con le manifestazioni dell'EXPO 2015. Ed il riferimento preciso è fatto alla presenza del 'Circle du soleil' - complesso straordinariamente bravo ma straniero - quando Milano dovrebbe essere in tutti i campi vetrina delle eccellenze italiane; ed alla 'Turandot' inaugurale, diretta da Chailly, in un allestimento acquistato da Amsterdam, voluto da Lissner.
Barbareschi attribuisce tale scelta come altre simili, al PROVINCIALISMO italiano. Troppo facile e semplice. Non basta. Non da ora e da noi soltanto questo problema è stato sollevato e mai risolto. E' stato ipotizzato che dietro questi giri che portano lontano ci sono strani percorsi e scambi di artisti, ci sono agenzie potenti in grado di influenzare le scelte delle istituzioni, e qualcuno vi ha anche visto l'ombra di tangenti. In tutti questi anni di denunce il Ministero è stato alla finestra a guardare, e non crediamo che Franceschini, finchè avrà al suo fianco Nastasi, cambierà rotta e logica. La presenza, ora più ridotta, in Italia di un potente agente monegasco è stata foriera di tanti danni e soldi buttati, nelle sue tasche - non sappiamo se Nastasi lo conosca ed ancor meno se abbia mai avuto a che fare con lui.
Certo è che il Ministero che potrebbe imporre direttive volte a invertire drasticamente tale rotta, non lo fa. E forse ha la colpa maggiore, giacchè è lo stesso il Ministero che finanzia gran parte dell'attività musicale in Italia , senza di lui molte botteghe chiuderebbero. E invece , curiosamente, rimane alla finestra. Con la tragica conseguenza che gli artisti stranieri in Italia vengono pagati più che altrove - lo hanno più volte dichiarato essi stessi - e che ad usufruire di questa 'america' dello spettacolo non siano, se non in minimissima percentuale, gli artisti italiani. Della crisi, che dovrebbe far riflettere, non frega, evidentemente, a nessuno.
Per convincersi del tutto, si sfoglino i cartelloni delle stagioni europee, anche di grandi istituzioni, e si vedrà che in ciascuna di esse la presenza di artisti italiani o di altra nazionalità è occasionale, diciamo abbastanza rara, specie in questi ultimi anni difficili. Esattamente come dovrebbe essere anche in Italia. Ed , invece, non è.
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