Era ora che qualcosa cambiasse, almeno per la terza, o prima, delle tre teste 'cadute': quella di Enzo Restagno, musicologo, critico musicale, consulennte editoriale, da oltre trent'anni direttore artistico prima del torinese Settembre Musica e poi del fratello gemello milano/torinese MiTo. Il quale Restagno, ha giustificato l' uscita - meditata da tempo (?) - con la sua volontà di dedicarsi agli studi. La Biblioteca nazionale di Parigi l'attende per studiare Debussy. A 74 anni, quanti ne ho - ha dichiarato - val la pena cambiar vita, se la salute ci assiste.
Ed ha ragione. Magari avrebbe dovuto pensarci al cambio di vita anche prima, molto prima, perchè la permanenza alla guida di una istituzione o manifestazione per una trentina d'anni è sinceramente troppo. Torino in fatto di longevità ai vertici delle istituzioni, almeno quelle musicali che conosciamo, non vanta il solo primato di Restagno, c'è Vergnano che farà prossimamente vent'anni da quando sovrintende al Regio, ed anche - si parva licet... - Pugliaro che all'Unione musicale ci sta da prima che noi fossimo nati.
Aggiungere che alcuni di questi direttori artistici a vita, hanno nel frattempo e contemporaneamente fatto anche i giornalisti ed hanno, nel caso di Restagno, lavorato, sempre contemporaneamente, anche per una casa editrice musicale, Ricordi, per nulla interessata alla programmazione del Restagno direttore artistico, sembra particolare di poco conto ma che rappresenta un conflitto grande quanto una casa. Superato e reso innocuo dalla integrità professionale e morale dell' interessato, va da sè. E comunque noi lo diciamo per prevenire le malelingue sempre pronte ad accusare anche persone le più integerrime.
MiTo dunque, per tornare al nostro festival, è stato decapitato, in un sol colpo, del burattinaio amoroso, animatore acutissimo ed elemosiniere ascoltato, qual è stato Micheli; della mente, Restagno, e del braccio operativo, l'ing. Francesca Colombo che, dopo aver terminato ingloriosamente l'esperienza fiorentina, si è accasata a Cremona ed ora sta per sbarcare a Bologna a capo del Mast, porto più sicuro dell'infida Milano dove, cessato l'Expo, comincerà la guerra dei lunghi coltelli.
Che forse è ciò che temevano i tre di MiTo, quando hanno preso la saggia decisione di lasciare 'gloriosamente' e prima che qualcuno metta a fuoco e fiamme la cultura della capitale lombarda. Dove le prossime elezioni già agitano le acque e non solo dei navigli.
La decurtazione, anzi il dimezzamento dei finanziamenti da parte delle due municipalità, potrebbe essere una concausa, dal momento che ha certamente creato nuovi grattacapi all'eccellente elemosiniere che forse fa lo stesso mestiere anche all'interno del CDA della Scala. Va bene che sono un banchiere - avrebbe sbottato Micheli - e so dove sono i soldi, ma non potete tutti venire da me chiedendomi di procurarvene sempre di più. Non sono fra Cristoforo, anche se resto pur sempre uno che sa far soldi e questo fa.
A questo punto i due sindaci sperano di poter trovare dei sostituti all'altezza; e forse senza andare tanto lontani, uno almeno potrebbero trovarlo in casa (il direttore artistico del festival che prima è stato torinese ora potrebbe essere milanese): Filippo Del Corno, assessore a Milano, in scadenza, che potrebbe coronare la sua carriera politica con un incarico artistico. E non sarebbe la prima volta: a Palermo, a Giambrone, mettendosi alle costole del sindaco amico, Leoluca Orlando, è riuscito ben due volte di fare la stesa strada che dal Comune lo ha portato al Teatro Massimo.
Chissà se il fin troppo evidente spreco di denaro pubblico, anche con MiTo, a Milano, dove già la Scala s'è pentita di essere rimasta sempre aperta, per spettatori che non sono arrivati, avendole preferito la fiera dell'EXPO, non abbia giocato un ruolo in questa decisione che, seppure tutti tentano di darla per normale avvicendamento - il che è anche giusto - nasconde sicuramente una frattura traumatica, come tutti hanno supposto, senza che nessuno però si sia spinto ad esaminarne cause ed elementi. E tanto meno siamo in grado di farlo noi che non frequentiamo salotti e sedi di partito dove queste decisioni vengono prese.
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