I giornali, specie quelli che seguono da vicino e
con occhi di particolare benevolenza le sorti dell’Opera di Roma – tanto per parlar chiaro: Corriere e Messaggero – non hanno potuto non notare con sorpresa
che alla presentazione della stagione
2013-2014 , fatta come sempre con un ritardo che rimanda al paleolitico della managerialità, e
cioè il 30 settembre 2013, a meno di due mesi dall’inaugurazione della nuova
stagione (con Muti direttore, ‘Ernani’ di Giuseppe Verdi), il sindaco di Roma,
presidente della Fondazione operistica cittadina, era assente. Assenza
giustificata , diplomaticamente, con ragioni di ‘forza maggiore’ per ‘impegni
isituzionali’, evidentemente più istituzionali della stagione dell’Opera. La stessa assenza che, però, non
destava particolari sospetto negli anni di Alemanno, perché, giornali compresi,
tutti sapevamo che Alemanno sebbene assente, giustificato o ingiustificato che
fosse, era sempre presente al momento in cui occorreva mettere denaro fresco
mano nella casse dell’Opera. Ora forse non sarà più così, e perciò
quell’assenza desta sospetti. E,
infatti, a chi ha letto i giornali non sarà sfuggita qualche frase buttata qua
e là dal principale fiancheggiatore/sostenitore/cantore del teatro, dal ‘Corriere
della Sera’, nella persona di Valerio Cappelli, il quale, per la prima volta,
s’è lasciato scappare – proprio lui che
non ha mai fatto trapelare, prima d’ora, eventuali e neppure possibili
falle nell’amministrazione del teatro
– che il sindaco vuole vederci chiaro
nell’amministrazione del teatro; perchè al Comune, che ha un buco difficile da
coprire, lasciatogli evidentemente dall’ottimo amministratore Alemanno ( perché
quasi 900 milioni di Euro di buco neppure
un Marino superman avrebbe potuto farli in pochissimi mesi), l’Opera costa la non modica cifra di 20
milioni per anno. Bilancio reso ancora più negativo, dalla constatazione che quella enorme costosissima macchina , ha
scarsa produttività e i ‘tutto esaurito’ sono solo nei ricordi di un tempo. E
già. Lo stesso Marino, presente alle recenti
repliche di ‘Nabucco’, ha notato parecchi buchi in platea e nei palchi , e, dopo i successi a Salisburgo di Muti, si va domandando come mai il direttore, lì
faccia ‘tutto esaurito’ ed a Roma no!
Verrà, poi, anche il momento in cui si domanderà
perchè questo dato non sia emerso mai dalle pagine del ‘Messaggero’ e ‘Corriere’, che un giorno sì e l’altro pure
cantano le glorie dell’Opera e inneggiano ai suoi amministratori. Muti,
naturalmente, è fuori discussione, senza di lui, l’Opera di Roma sarebbe già
affondata. Ma non basta Muti a evitare al teatro l’analisi di costi e benefici che
Marino sta compiendo. Dalla quale al sindaco
risulterebbe che l’Opera di Roma - come anche altre istituzioni o iniziative di
spettacolo ( leggi: Festa del Cinema, carrozzone, inutile per qualcuno, troppo
costoso per tutti!) – il Comune dà troppi soldi, non sempre ben amministrati e
fatti fruttare.
Chi segue da vicino queste faccende sa che cosa
succede ad ogni giro di poltrone nel
potere cittadino. Si mandano a casa i manager messi nei vari posti di comando dall’amministrazione precedente,
per metterci i propri. E per compiere una simile operazione, talvolta suicida,
ci si inventa qualunque cosa, anche falsità. Esattamente come ha fatto Alemanno
prima di Marino, per estromettere Ernani e metterci il suo eroe, Catello De Martino,
al suo primo incarico al vertice di una impresa, per giunta culturale. A
volerla dire tutta, Catello e Alessio Vlad, il quale per il ‘Corriere’ è un
ottimo direttore artistico, senza discussione!- hanno avuto il beneplacito di
Muti, nel caso di Catello, e per Vlad, figlio di Roman, una sua precisa
indicazione. Quindi nella scelta dei manager c’è, eccome, lo zampino anzi la
zampata di Muti. De Martino ha chiuso per il quarto anno consecutivo il bilancio
in pareggio, è vero; però al modico costo per le casse comunali di 20 milioni
di Euro, per anno. E, se adesso, a causa delle difficoltà economiche del
Comune, Marino decidesse di tagliare questo suo consistente finanziamento,
come chiuderebbe il bilancio, Catello? Indovinate!
Se Marino
dovesse mettere in atto, senza sbandierarlo ai quattro venti anche per non
urtare Muti, un taglio al finanziamento del Comune, anche perchè nonostante
questa montagna di soldi, l’Opera governata ‘magnificamente’, secondo i
fiancheggiatori della stampa, non è riuscita a trovare risorse proprie, e
dipendendo quindi quasi esclusivamente dal finanziamento del FUS e del Comune,
nel bilancio si aprirebbe una grossa crepa, e De Martino potrebbe essere
mandato a casa. E l’ottimo direttore artistico Alessio Vlad che quest’anno ha
messo in cartellone a Caracalla anche una pièce di Valerio Cappelli, suo poeta di corte, che
fine farebbe? Muti lo difenderebbe a spada tratta, nonostante gli errori di
programmazione ai quali forse solo quest’anno si pone rimedio, con una sterzata
evidente verso il repertorio più popolare, nei confronti del quale il
professorino Vlad mostra disprezzo -
perché quegli ‘errori’ di programmazione recano anche la sua firma? E come
giustificare il botteghino non sempre assediato dai melomani, anche quando è in
cartellone Muti? Non c’è scusa: questa si chiama inefficienza ed incapacità di
gestione. Noi stessi presenti ad una magnifica lezione di Muti alla Sapienza,
in occasione della prima di ‘Attila’ di Giuseppe Verdi, abbiamo notato, non
senza sconcerto, la platea mezza vuota e in gran parte occupata da liceali
costretti dai loro insegnanti ma recalcitranti e rumorosi, e dalla corte universitaria del gaffeur Frati. All’indomani, sui giornali
leggemmo della folla che aveva riempito l’Aula magna dell’Università. Beh,
Catello come giustifica i tanti vuoti delle prime, almeno fin quando le
frequentavamo, mentre adesso non siamo più ospiti graditi né di Catello né di Arriva, e noi immaginiamo, indirettamente, con la
complicità di Muti !)in platea, nonostante gli inviti sempre abbondanti al
‘generone’ romano. Cattiva gestione, nessuna attenzione alla creazione di un
pubblico, quando non c’è.
Si apre per
l’Opera di Roma, certamente una fase delicata, molto delicata. Forse qualche
freno ad una forte possibile azione di Marino sarà costituita dalla presenza di
Muti, che non si può far scappare da Roma. Sarebbe la fine. Ma certo non si può
subire una cattiva amministrazione, anche se Muti dovesse risentirsi. Noi,
facciamo notare, indipendentemente dalla valutazione della gestione dell’Opera
di questi anni, sulla qual tante volte abbiamo espresso riserve oltre che
qualche appunto al comportamento inqualificabile di suoi dirigenti – che, come
sempre, si comincia a tagliare la cultura che, evidentemente, anche Marino, considera
un bene non necessario, anzi accessorio.
Infine, un
piccolo appunto; a Muti, questa volta. Ma era proprio necessario affidare a sua
figlia Chiara, caro maestro, la regia di ‘Manon’, dopo che quest’estate aveva
già ‘registrato’ Purcell a Caracalla, e negli anni passati al Nazionale, sia
Chiara che sua moglie, Cristina, avevano debuttato come attrice e regista? Con
tutto il potere che ha e le conoscenze in mezzo mondo, non le riesce, caro
maestro, di trovar lavoro per la sua famiglia altrove e non nel teatro dove lei
è sovrano assoluto? Perché, anche se
nessuno glielo dice apertamente - come stiamo facendo noi - sono in tanti,
quasi tutti, a pensarla in questa maniera.
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