lunedì 28 luglio 2025

Dazi, accordo. Debolezza strategica della UE succube di Trump ( da Lettera 43, di Paolo Madron)

 

Perché i dazi segnano la debolezza strategica di un’Europa succube di Trump

La postura, come il verso per D’Annunzio, è tutto. Da quella di Ursula von der Leyen verso un tronfio Donald Trump che la trattava con la rudezza del mega direttore galattico verso i sottoposti, traspariva mestizia e rassegnazione. Niente della smodata e imbarazzante adulazione di Mark Rutte nei confronti dell’inquilino della Casa Bianca, ma il risultato è lo stesso: la resa strategica dell’Unione europea di fronte alla pressione commerciale americana, mascherata da diplomazia economica.

Rischiano i Paesi più esportatori, Germania e Italia in testa

L’abolizione dei dazi su acciaio e alluminio in cambio di un sistema di quote non risolve le cause profonde delle tensioni commerciali, ma le congela, favorendo gli interessi statunitensi a scapito di quelli europei. Gli Usa mantengono il controllo del mercato d’importazione, limitando l’accesso ai produttori europei attraverso contingenti che rischiano di penalizzare i Paesi più esportatori, Germania e Italia in testa, senza ottenere in cambio concessioni significative. È la sconfessione della fantomatica corsia preferenziale nei rapporti con l’altra sponda dell’oceano che Giorgia Meloni ha lungamente sciorinato come un vanto. Il suo giudizio, almeno, rivela una tardiva parziale presa d’atto: mi sembra un buon accordo, ma voglio vedere i dettagli. Che, notoriamente, sono il posto dove il diavolo si nasconde.

Donald Trump con Giorgia Meloni (foto Ansa).

Non abbiamo strategia industriale né strumenti di contropotere

Sul piano politico, l’intesa rivela una dipendenza strutturale nei confronti degli Stati Uniti da parte dell’Europa, incapace di difendere con forza i propri interessi in un contesto di crescente unilateralismo americano. Washington impone misure protezionistiche come l’Inflation Reduction Act – che di fatto sovvenziona massicciamente l’industria verde americana escludendo i produttori europei –, noi rispondiamo con gesti simbolici e accordi di comodo, senza una strategia industriale autonoma né strumenti di contropotere efficaci.

La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen (foto Ansa).

Leonardo e Fincantieri reagiscono con pesanti ribassi in Borsa

L’accordo sui dazi diventa così un premio agli Stati Uniti per aver allentato una morsa da loro stessi costruita, mentre l’Europa accetta di fatto di subire l’agenda commerciale americana. Cede su tutti i fronti, con l’evidente unico intento di limitare i danni e non irritare l’alleato al punto da spingerlo ad alzare ulteriormente le pretese. In più, a margine, l’insaziabile Trump attacca 600 miliardi di dollari in acquisti di manufatti americani, principalmente armi (tant’è che i colossi italiani del settore, Leonardo e Fincantieri, dopo l’accordo hanno aperto in Borsa con pesanti ribassi), e 750 di gas. Insieme fanno circa l’1 per cento del Pil europeo.

L’accordo verde, un nuovo strumento di esclusione

Inoltre il cosiddetto “accordo verde” sull’acciaio, che punta a promuovere produzioni a basse emissioni, rischia di trasformarsi in un nuovo strumento di esclusione. Standard ambientali definiti unilateralmente dagli Usa potrebbero essere usati per giustificare future barriere non tariffarie, penalizzando l’industria europea non per la qualità del prodotto, ma per il suo luogo di origine.

L’Ue sceglie la subordinazione, sperando in una stabilità illusoria

L’Europa scopre che il suo sbandierato proclama sul primato nella transizione ecologica diventa grottescamente velleitario, con giubilo dei suoi leader sovranisti che sono il cavallo di troia attraverso cui Trump fa leva per far passare i suoi desiderata. Il testo sembra inevitabile propaganda, tesa a far passare l’intesa raggiunta in Scozia un successo della diplomazia, quando invece è un ulteriore esempio di debolezza strategica. L’Ue, invece di costruire un’autonomia economica e difendere con fermezza il principio della reciprocità, sceglie la via della subordinazione, sperando in una stabilità illusoria. Quella di Trump, che ha già dimostrato come gli accordi (vedi l’Usmca, il vecchio Nafta) lui li fa e li disfa a piacimento. Il rischio è che accada lo stesso con l’Europa. Nella sua psicologia l’avversario debole è qualcuno su cui non bisogna mai smettere di infierire.

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