Roma, 28 luglio 2025 – Daniel Gros, economista, direttore dell’Institute for European Policymaking della Bocconi, non ha dubbi: “I dazi al 15% fra Europa e Usa non saranno l’optimum ma sono il male minore e, forse, anche accettabile. Si tratta di un livello più basso rispetto all’accordo raggiunto con la Cina e non più alto dei concorrenti asiatici come il Giappone e la Corea”.
Rispetto all’era pre-Trump, come è cambiata la situazione? E, soprattutto, l’Europa è messa meglio o peggio di prima?
“Stiamo meglio rispetto ai cinesi e un po’ in vantaggio anche nei confronti di giapponesi e coreani”.
Non sarebbe stato meglio non fare l’accordo? Che cosa sarebbe successo?
“Ci sarebbe stata solo un altro po’ di incertezza sui mercati seguita da un nuovo tentativo di negoziato. Trovare l’accordo sarebbe stata la strada obbligata”.
Però l’Europa dovrà cedere terreno sul fronte del ‘digitale’ dando ulteriore vantaggio alle imprese americane. Questa non è una sconfitta?
“Non sono così pessimista. Anche perché c’è poco che si può mettere nero su bianco, in un accordo commerciale, su questo terreno. Con i giapponesi, ad esempio, è successa la stessa cosa, solo qualche promessa vaga e soprattutto orale. E poi non dimentichiamo che, qualunque cosa si scriva, sarà poi lo stesso Trump a interpretarla...”.
Se questo è vero, e lo abbiamo visto sia con il Canada sia con la Cina, ci si può fidare del presidente americano?
“Non bisogna fidarsi. Ma non vale neanche la pena andare a uno scontro frontale con gli Stati Uniti. Anzi, l’Europa ha fatto bene a dare agli Usa l’impressione di voler arrivare a un accordo, anche facendo qualche concessione”.
Insomma, è stata una partita a poker?
“La psicologia ha avuto un ruolo importante in tutto il negoziato”.
Nel frattempo, però, la strategia altalenante di Trump ha creato incertezza e sta frenando l’economia. L’accordo può mettere la parola fine a questa situazione?
“Diciamo che gli scenari diventano meno insicuri. L’accordo può dimezzare l’incertezza ma non cancellarla del tutto”.
Anche per questo la Bce ha frenato sul taglio dei tassi di interesse? Secondo lei ha fatto bene?
“Sì, meglio essere prudenti e aspettare un po’. Rinviare di qualche mese non cambia nulla”.
Nel frattempo, però, le industrie europee pagheranno un prezzo molto alto, perché accanto ai nuovi dazi stanno subendo anche gli effetti della svalutazione del dollaro. Preoccupato?
“La svalutazione della moneta americana è stata molto forte. Una decina di anni fa il dollaro era a 1,5 rispetto all’euro e l’Europa ha goduto degli effetti della svalutazione della moneta unica. Ma ora la situazione è diversa. L’industria europea è ancora troppo concentrata sul manifatturiero, che è la parte che viene colpita dai dazi, mentre quella americana si è ormai specializzata nell’hi-tech, nel software”.
Allora perché la politica di Trump, per ora, ha avuto effetti negativi sull’economia americana?
“Rispetto agli annunci iniziali, Trump ha fatto marcia indietro perché il mercato era andato giù. Ora, però, anche se continua a sbandierare i dazi, la situazione a Wall Street resta più o meno calma. La verità è che, almeno per un po’ di tempo, nell’economia americana, l’effetto positivo delle nuove tecnologie collegate all’intelligenza artificiale compenserà il danno dei dazi”.
E quella europea?
“È molto più indietro in questo settore e a breve si può fare ben poco. L’industria hi-tech non si crea in due settimane, serve uno sforzo prolungato e una politica europea con un orizzonte a lungo termine. Sarebbero necessari più investimenti in ricerca e sviluppo ma anche un nuovo mercato del lavoro più snello che consenta alle imprese di licenziare e assumere. L’attuale regolamentazione europea non favorisce la crescita e lo sviluppo di un’industria come quella americana”.
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