Arianna Meloni, sorella della premier e capo della segreteria politica di Fratelli d’Italia, centellina i commenti con la prudenza di chi sa quanto conti la sua parola all’interno del primo partito di maggioranza del Paese. Per questo non è irrilevante quello che dice a La Stampa nei giorni di passione del Collegio Romano: «Alessandro Giuli ha certamente il sostegno di Fratelli d’Italia, non gli è mai mancato». È un avviso ai naviganti con un sottotesto evidente, rivolto al futuro: chi ha puntato al logoramento del ministro della Cultura – nell’ombra più che alla luce del sole – deve smettere di farlo. L’ex presidente del Maxxi, del resto, è stato voluto personalmente dalla presidente del Consiglio. Ora, però, persino ai vertici di Fratelli d’Italia, c’è chi comincia a credere che la scelta sia stata incauta.
Che il sostegno a Giuli non sia «mai mancato» è contraddetto dai fatti. Si potrebbero citare le chat in cui esponenti locali rivolgevano insulti omofobi al suo ex capo di gabinetto. Si potrebbe citare, soprattutto, l’evidente mancanza di dichiarazioni solidali con il ministro in questi giorni di travaglio. È lo stesso Giuli ad ammettere le difficoltà interne in un’intervista che andrà in onda oggi su Rai Radio 3. Ai microfoni de “La lingua batte” con Paolo Di Paolo racconta: «Ho ottime relazioni, alla luce del sole, con scrittori, artisti, cineasti», rapporti persino «migliori di quelli che ho con molti esponenti politici, compresi quelli del mio partito». Rivela, in maniera quanto mai esplicita, la consapevolezza di non essere completamente gradito. Non si tratta di un banale scontro di potere. È la contrapposizione fra due visioni. Giuli si fa teorico di un futuro prossimo: «In un governo il cui partito di maggioranza ha il 30 per cento deve esserci spazio per una destra progressiva, non reazionaria, allergica a qualsiasi lacerto di nostalgie identitarie, perché in quel 30 per cento c’è una maggioranza che deve riconoscersi nella Costituzione». Una «destra progressiva» che a una parte di Fratelli d’Italia suona immediatamente come un ossimoro. Eppure, è un orizzonte che Giuli rivendica di condividere con la presidente del Consiglio: «Questo è chiaro anche al primo ministro, che mi ha voluto qui, altrimenti non ci sarei».
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