Il presidente della Biennale, Paolo Baratta, il cui mandato è in scadenza - e non è il primo mandato, è il secondo, o terzo(?), della seconda serie di quelli veneziani - in una recente intervista alla domanda se sarebbe contento di essere riconfermato ancora una volta a Venezia, ha risposto: gli incarichi non si domandano né si rifiutano. Si accettano ( come farebbe qualunque fedele servitore dello Stato, quale Baratta si ritiene, ndr.).
Baratta da molti anni alla Biennale ha insegnato anche ai curatori delle varie sezioni la sua stessa morale sugli incarichi, anche ad Alberto Barbera, alla fine del suo mandato di direttore della sezione 'cinema', in scadenza con l'edizione 2015.
E Barbera, da bravo discepolo, l'ha fatta sua. Infatti, ad una precisa domanda, ha risposto esattamente, come il suo capo: gli incarichi nè si domandano nè si rifiutano. Si accettano. Dunque anche lui amerebbe essere riconfermato a Venezia, dopo quattro anni, ma la sua riconferma dipende dal presidente. Baratta o non Baratta - questa seconda non è voce del verbo 'barattare', anche se potrebbe sembrarlo, o forse lo è - non è la stessa cosa.
Ma Barbera ha avuto l'impudenza di fare un'aggiunta: in Italia si fanno troppi film. Che potrebbe fare il paio con altre similari affermazioni: in Italia ci sono troppe orchestre, troppi teatri.
Per Barbera, allora, un messaggio fuori dalla bottiglia. Non sarebbe il caso che lui, ed anche Baratta, lascino il Lido, dove sono sbarcati da troppi anni?
Restare per troppi anni in uno stesso posto, con il medesimo incarico, fa male sia al titolare dell'incarico che al settore cui egli è preposto. Dopo troppi anni anche i più acuti non riescono più a vedere bene , ed a distinguere quando è poco e quando è troppo, come nel loro caso.
E perciò sarebbe opportuno e salutare per tutti che sia Baratta che Barbera salutino Venezia e vadano a svernare altrove.
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